C'è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce. (Leonard Cohen)

Visto che sta per uscire Sam, vi comincio a fare uno spoiler: c’è gente che sceglie di vivere in strada.

Una certa persona, nelle circostanze in cui si trova e con la quantità di informazioni che possiede, può decidere per vari motivi che un marciapiede è più allettante del letto sbagliato.

È successo a I., uno dei due ospiti che avevo accolto in collaborazione coi servizi sociali. Avevo prolungato l’ospitalità fino all’ultimo giorno utile, avevo chiesto in giro per trovargli un’altra sistemazione, ma il problema di I., colto e gentile, era l’ansia: quella vera. Per lui era deleterio dormire in un rifugio per senzatetto, e devo anche dire che non era il solo: più di qualcuno, per strada, mi ha spiegato che, piuttosto che andare in questi posti, preferisce pagare otto euro per un ostello (che poi, ‘sti ostelli a otto euro dove sono?). Solo che I. evitava l’unico letto disponibile per un reale problema di salute mentale.

Tra i tanti contatti coinvolti sono riuscita solo a dargli il numero di un signore (della comunità marocchina, la più generosa che abbia incontrato in queste faccende) che metteva a disposizione un garage con bagno annesso: già vi alloggiava provvisoriamente una diciottenne di seconda generazione, rimasta senza lavoro per la pandemia. Purtroppo, quando il compagno di quarantena lo ha contattato, I. ha spiegato che finalmente aveva trovato un lavoro, ma viveva in strada: “Sembrava che gli andasse bene così”, ha spiegato il compagno di quarantena, che ha opinioni tutte sue su questioni del genere.

Ma io ricordo il sollievo mostrato da I. quando gli ho esteso la permanenza fino all’ultimo giorno utile, e mi lascio tormentare dai miei “se”: se gli avessero diagnosticato l’ansia, se quel certificato gli avesse spuntato anche solo un ripostiglio, se solo potesse avere accesso a una terapia gratuita che non fosse il coaching (che è l’unica risorsa dell’associazione a cui si rivolge, e per definizione non si addentra in questioni psicologiche)…

Non vi voglio ingannare: perfino Paul Bloom ammette che non sappiamo perché la terapia funzioni. Forse perché quando vi ricorriamo siamo già alla frutta, e da lì risaliremmo con o senza sostegno. Forse c’è un effetto placebo. Intanto, però, funziona: l’unica cosa che sappiamo per certo, secondo Bloom, è che andare in terapia è meglio che non andarci. Se facessimo prevenzione, poi.

A questo punto non ci resta che capire che la salute mentale è… salute, appunto. Qualcosa di fondamentale per una vita che non sia mera sopravvivenza. Qualcosa di fondamentale, a volte, per la stessa sopravvivenza.

Ripetiamo insieme: la salute mentale è salute. Come tale, deve essere patrimonio comune.