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L'immagine può contenere: fiore, pianta, natura e spazio all'aperto Per tanti di noi all’estero, il 25 aprile non c’è niente come raccogliersi intorno al fiore del partigiano, anche quando diventa la “cipolla” di capelli attorcigliati (detta anche “man bun”) di un cantautore italiano, in un bar che scoppia di gente.

Ma ci andiamo lo stesso per dirci che ci siamo ancora, che ci crediamo, che qualcosa di buono nella nostra storia c’è stato anche dopo Michael Angelo, come lo chiamano certi alunni miei d’italiano, al che un conterrOneo può insorgere e argomentare che Giambattista Vico è venuto un bel po’ dopo, e avrebbe ragione da vendere.

Perché minchia, rappresentare tutte le parti in causa è un casino, e il cantautore del nord magari sa tutte le canzoni partigiane di default o se le è preparate senza troppa difficoltà, mentre qualcuno sui social protesta per la scarsa visibilità di quanto s’è fatto molto prima e altrove, a latitudini più basse e più ignorate di quelle interessate dal 25 aprile. Tutto vero, ma entrambi i momenti sono parte della mia storia, e va bene così anche se si soffoca di caldo e il cantante finge di scordarsi di Bella ciao, come se un organista a un matrimonio omettesse apposta la marcia nuziale.

… morto per la libertà!

Poi esco. Ovvio che a un certo punto, al posto del duce, è stato nominato Salvini, che – lo confesso – io non volevo alle celebrazioni della ricorrenza. Sì, la carica istituzionale e tutto quanto, ma mi sarebbe parso un modo d’insozzare la memoria di chi appunto era morto perché lui sparasse quelle perniciose frottole da uomo senza qualità: in fondo, rispetto al milionario che per vent’anni ha titillato le fantasie di mezza Italia (quello “sceso in campo”, dico), questo bomberino de noantri non ha altra dote che quella di rappresentare l’eterna voglia di dimenticarsi dei problemi complicati da risolvere, semplificando in negativo quelli risolvibili (traducendo: vedete la bufala dell’invasione migrante, mentre le famose accise sulla benzina non si eliminano).

Ma vabbe’, almeno ieri sera bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao. E se i partigiani sono morti per la libertà, noi per la libertà viviamo. Cerchiamo altre soluzioni alla tempesta d’odio in cui ci stiamo perdendo invece di spostare l’attenzione sulle cose giuste, e farlo bene, con un messaggio positivo che rassicuri, ma spaventi anche un po’ sulle conseguenze di fare gli gnorri.

Non mi sento sempre a mio agio tra i connazionali, e mi sa che è reciproco e comunque non sono l’unica. Troppe divisioni e troppo maschilismo, troppe pretese di superiorità nonostante tutto.

Ma nonostante tutto, come dimostrava il bancariello di Mediterranea Saving Humans – che aspettava la fine del concerto per tornare a vendere cammeselle – vale ancora la pena tentare.

(Donate, fetenti! O compratevi la cammesella).

 

Una delle hit della serata…

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In realtà lo Sciopero Generale è un’occasione per continuare l’acceso dibattito sulla musica alle manifestazioni, un po’ il cavallo di battaglia del Banzo che trasformerebbe il Passeig de Gràcia del 19N, come l’hanno chiamato qui, in un covo di metallari poganti… Banzo, si scherza, anzi, consiglio a tutti il tuo blog, ok? Tra l’altro sei sparito subito, non hai avuto tempo di annoiarti.

Noi del corteo di Altraitalia ci siamo annoiati eccome. Per fortuna. 20 metri in 2 ore, sbuffava Paolo. Le bandiere, però, notevoli: una dell’Arci con su l’intramontabile Quarto Stato, una di Sel (“Ragazzi, votate chi volete alle elezioni, ma alle primarie Vendola, eh!”), e un’altra della CGIL, che a un certo punto è venuto un ragazzo con la bandera republicana a chiedere una foto. Breve e incisivo il dibattito tra Sel e PD per esporre la bandiera italiana (intanto i francesi di Hollande esibivano sia il tricolore nazionale che la bandiera del sindacato), mentre la tipica icona con le forbici in divieto di transito, a significare prou retallades (basta tagli), la reggeva la piccola del gruppo. Che al primo petardo ha abbracciato la mamma italiana e la ha detto in spagnolo: “Ho paura”.

E pure io ne avevo. Non sapevo che alle 20.45 sarei stata qui a scrivere che sono tornata sana e salva, con tutti e due gli occhi, e, complici un po’ le elezioni anticipate tra 10 giorni, nessuno aveva interesse a che avvenissero pestaggi come quelli di Madrid, o quello del ragazzino di Tarragona.

Però anche gli altri gruppi, partiti di sinistra, sindacati, cittadini, hanno fatto quel che potevano: a parte l’ovvio Rajoy y Mas, no podemos más, e qualcuno che ahimé invocava il President catalano come pater patriae, bello l’onnipresente Catalonia is not CiU. Sulla falsariga di Catalonia is not Spain, eterno refrain da festa nazionale, qualcuno prova a ricordare che questo partito di destra che cavalca l’onda indipendentista non rappresenta lo stato intero (speriamo che se ne ricordino alle urne…).

Tenerissimo, poi, il cartello di un ragazzo, Va per tu, avi, nonno, questa è per te. E allora t’immagini questo nonno cresciuto a pane e franchismo e costretto a tenersi il catalano per le feste di famiglia, ma sottovoce, che non ci sentano dalla strada. Magari come l’avi Siset della canzone diceva che se tiriamo un po’ di qua e di là il palo a cui siamo legati come bestie segur que tomba, tomba tomba, sicuro che cade.

E poi, tornando alla musica, stavolta sono soddisfatta. Solo di quella, magari, perché nessuno capiva un tubo del percorso. Facevi dieci passi verso Plaça Catalunya, ed ecco una fiumana di gente andare verso Jardinets de Gràcia. Pare che ci si fermasse a Plaça Urquinaona, per gli amici Armageddon, con le leggende metropolitane di gente pestata all’uscita della metro con tanto di lacrimogeni e balines de goma. Che poi balines un corno, come ricordava bene Paolo che guardandomi ha detto: “Io ho paura di andare alle manifestazioni con lei, finisce che ci sparano!”.

E invece l’unica cosa che hanno sparato in mia presenza, ad alto volume, è stata Bella Ciao, bizarrament remixata, e allora un coro stonato e soddisfatto ha interrotto gli eterni ragguagli reciproci su dove trovare prodotti italiani: “I tortellini Eroski li fa Rana”, “Il pako al c. del Parlament ha la De Cecco a prezzi italiani!”, “A Gràcia sai che trovi? Non ci crederai: lo stracchino!”. Ci interrompe ancora il mix inedito di Bandiera Rossa e Anarchy in the UK, in un marasma culminato con la visione mistica, sotto al camioncino degli organizzatori, dei 4 mori della bandiera sarda.

Era troppo. Dovevo seguire il furgoncino dovunque andasse. E come il pifferaio di Hamelin il furgoncino ha preso Consell de Cent per scendere velocemente la snobissima Rambla de Catalunya, con canzoni di lotta tradotte in catalano (e gli autoctoni intorno a me col pugno alzato). Allora, mentre mi godevo El pueblo unido cantata finalmente con l’accento giusto, pensavo “Ora ci isoliamo e ci mazzeano”. Macché. Dopo una piroetta di uno dei sardi, libratosi nell’aria reggendosi a un segnale (le sirene della polizia, sullo sfondo, tranquille), il “pifferaio” scende in picchiata verso Catalunya, e noi decidiamo di aver rischiato anche troppo. Ci proviamo, a ritornarcene per Plaça Universitat?

Ripenso alla volta scorsa, gli spari, la gente di corsa, l’eterno dilemma se correre o rannicchiarsi in un angolo, e quel lungo fischio con botto che avevo scambiato per un petardo e mi aveva mancato di un metro o giù di lì.

Oggi, per fortuna, è il silenzio.

Mentre scrivevo si sentivano spari e sirene, però.

Spero di non dover ricredermi.

(in spagnolo)

(in catalano, un po’ swing)

PS: Mi devo ricredere. Verso la fine della manifestazione, a quanto pare, ci sono state delle cariche della polizia. Una donna è stata ferita a un occhio, probabilmente per un proiettile ad aria compressa. L’unica amica coinvolta in una carica dalla sua posizione non era in grado di dire che vi fossero state provocazioni. Per fortuna qualcuno ha aperto un portone e vi si è rifugiata. Il Presidente catalano Artur Mas ha chiesto scusa per il pestaggio del 13enne a Tarragona, ma ha dichiarato che è stato un caso fortuito.
PPS: Stop bales de goma.