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Dopo la festa dei quarant’anni meno affollata di sempre, mi sono ricordata che devo fa’ l’operazione alle sise (cit. Vulvia).

Ormai è tempo! Vedete, molti anni fa dissi a un’amica del forum di facoltà che mi sarei siliconata a quarant’anni, per vedere che effetto faceva “avercele anche io”. L’amica mi chiese divertita: “E a quarant’anni che te le rifai a fare, scusa?”. Io dovevo avere venticinque anni, lei qualcuno di più. Risposi: “Guarda che io sarò una quarantenne di fuoco!”. E lei si mise a ridere.

Me ne ricordo adesso, non perché sia poi così determinata a mantenere la parola, ma perché di De André mi piace soprattutto quel frammento di Princesa: “… finché il mio corpo mi rassomigli”. Come vedrete tra un po’, non lo rievoco a caso.

Perché Non una di meno, questo movimento che mi dà speranza per l’Italia, ha affisso alla sua pagina milanese una bella sequenza di disegni in spagnolo, raffigurante una donna dalle forme abbondanti e intitolata “Caro corpo”. Una delle didascalie recita: “Perdonami per aver dubitato di te, per averti biasimato, per averti voluto trasformare in qualcos’altro”. Ecco, a me questo discorso non convince del tutto, per quanto possa aiutare alcune persone schiacciate dalla pressione estetica. A mio avviso, è una forma di pressione estetica anche l’idea che esista una “bellezza reale”, cioè naturale e autentica, rispetto a quella “artificiale” creata dal bisturi, dal trucco e magari dal… parrucco: proprio le parrucche sono un elemento estetico molto diffuso tra le donne nere. Commenta questo articolo a proposito delle campagne pubblicitarie stile Real Beauty: “Si tratta di regole di bellezza che impongono le immagini femminili nei media attuali, al posto di basarsi sul diritto delle donne a cercare e definire i propri standard di bellezza”.

Adesso non è il caso che, oltre alla pubblicità, ci si mettano anche le persone che hanno deciso che stanno bene così come stanno, e buon per loro. E non commento nemmeno gli insopportabili uomini che provano ancora a insegnarci che ci vogliono belle naturali (ma guai a non depilarsi). Anche quest’ondata di femminismo italiano nella sua versione mainstream (dunque non parlo strettamente di Non una di meno), invece di puntare un bisturi contro chi i privilegi ce li ha, si concentra molto su quello che fanno “le altre donne”: a quanto pare, mai abbastanza.

Scusate la digressione, ma prendiamo un momento il nuovo governo: in ambito femminista non ho letto molto sugli uomini politici italiani, che instaurano reti basate sulla corruzione, sul nepotismo, sul lecchinaggio e sullo scambio di favori. Sono state biasimate da più parti le donne del PD (note suffragette della prima ora!) perché in un sistema del genere “non riescono a farsi avanti”. Ma che davero? Insomma, un ex portaborse che è diventato qualcuno, un politico che si è fatto strada con soldi sospetti, ci farà sempre meno impressione dell'”amante del capo”. Capisco che è più comodo così, è sempre più comodo dire “io non sono così”: gli uomini ci provano tutto il tempo! Mi sa però che, per dirla col poeta, a noi “convien tenere altro viaggio“.

Tornando al problema iniziale, lasciamo da parte De André e andiamoci a leggere cosa pensano i collettivi trans e non binari: io lo trovo illuminante. Lungi da me fare appropriazione culturale, dico solo che abbiamo molto da imparare da questo punto di vista, e come lo spiegano loro non lo fa nessuno: abbiamo il diritto di alterare il nostro corpo, finché non ci sentiamo a nostro agio.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "just n.b. things @nonbinarythings reminder that you have the right to alter your body until you feel at home in it! whether that's clothes, makeup, haircuts, or more perma- nent things like piercings, tattoos, hormones, and surgeries! it's your flesh vessel and you are the only one who should get to design it!"

Quindi sì, sia che siamo #TeamVulvia e ci rifacciamo le sise, sia che viviamo felici e contente (o contenti, o content*!) con le stesse tette di quando avevamo dodici anni (ehm…) facciamo che se volemo bene, e soprattutto: vediamo di assomigliare a noi stesse più che possiamo!

Il modello di bellezza a cui m’ispiro, da sempre.

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La presión cada vez más creciente sobre la estética y el cuerpo de las  mujeres – Mujeres para la Salud

Finalmente, grazie al lavoro di Gabriela Cistino (alias Unaelle) abbiamo una scheda completa in italiano sulla pressione estetica, un concetto fondamentale per capire la natura della discriminazione delle donne, e quella dei recenti moti collettivi di indignazione, che ancora vengono sminuiti come estemporanei e complottari. È normale, questa nazione non c’è abituata: ma le cose stanno cambiando 🙂 .

Per fortuna, per le istituzioni spagnole, questo tipo di pressione viene riconosciuto come una forma di violenza.

La bellezza ha tanti volti, ma quello che ci viene proposto è quasi sempre lo stesso. Proposto, e imposto: il messaggio dell’industria della bellezza è “Così come sei, non vai bene”. Una cosa è decidere così, perché ci va, di truccarci o depilarci o vestirci come più ci pare. Un’altra è che passino messaggi come:

“Devi truccarti se no sembri stanca, devi depilarti se no sembri una scimmia [ma povere scimmie!], devi mettere il tacco 12 anche quando fai la spesa perché la tua altezza non va bene. Non va mai bene niente, a meno che tu non ci dai i soldi per avvicinarti vagamente, e con riserva, a un ideale che non raggiungerai mai”.

Anzi, sapete che c’è? C’è un equivoco anche su questo: l’ideale di bellezza non è “irraggiungibile”, è proprio inutile. Zadie Smith ha dato un massimo di quindici minuti di tempo alla sua figlioletta per “farsi bella” (il figlio impiega due minuti e può fare altro). La pronta (e imbarazzante) risposta di un giornale di moda che campa anche della vendita di prodotti di bellezza spiega l’intera natura del problema.

Insomma, sono la prima a dire che può essere un gioco, ma sul serio, sappiamo bene quanto diventi un’imposizione: allora finiamo per dedicare tempo ed energie a qualcosa che non ne vale la pena, e in fin dei conti non ci serve per essere felici.

Ma bando alle ciance: vi lascio la scheda in italiano qui sotto, buona lettura!

Ok, adesso che mi è “sparito” il naso nuovo ve lo posso dire: per un anno ne ho portato uno finto addosso a quello che già avevo, e nessuno ha notato niente. Avete presente la roba che si sparano nei labbroni le dive, e le abitanti più bionde di Napoli centro? Ecco: io me l’ero fatta mettere nel naso.

Ok, vi do i tre secondi di rito per dire “sticazzi”. Fatto? Allora procediamo, perché sono riuscita a ricavare della filosofia anche da questo. Sì, ho molto tempo da perdere.

Sostanzialmente ho trovato un’offerta in una clinica che non fosse troppo sospetta (in giro ci sono perfino promozioni sotto i duecento euro, ma proprio non garantisco), e non avendo né un mutuo da pagare né un marmocchio a cui badare mi sono tolta almeno questo sfizio: accontentare la me tredicenne che si chiedeva perché, di tre nonni col naso a pippa (leggi “aquilino”) e una nonna col naso a papaccella (leggi “a forma di peperone dolce“) dovessi avere sulla faccia un pot-pourri del loro peggio. Sì, lo so, niente di drammatico, ma volevo vedere come mi stava una versione un po’ rialzata senza gobbetta, con la stessa tigna con cui ho rimesso per quattro mesi l’apparecchio, ma in versione moderna e (stavolta) efficace. Il risultato, per quanto riguarda il naso, mi ha soddisfatto un sacco: discreto e divertente. L’acido ialuronico non fa altro che aggiungere materiale, invece che sottrarlo, quindi mi sono ritrovata con un nasone assurdo, ma modellato come plastilina! Adesso che l’effetto va scemando piano piano, ed è durato quasi un anno, mi sto ritrovando col peggio del naso di prima, più il volume del naso di dopo. E, come per i capelli color pavone, mi ci sto facendo delle grasse risate.

Lo so, lo so, state ancora a dire sticazzi, ma ho pensato bene di farvelo sapere per la questione del corpo: questo “amarci come siamo” che vedo anche in articoli recenti, l’idea del corpo come problema da risolvere accettandolo e amen. Io sono d’accordo, eh: quando mi sono piaciuta così com’ero ho deciso anche che ogni tanto, più per sfizio che per altro, avrei potuto usare il mio sterminato privilegio per vedermi sotto altre sembianze, che andassero dalla tintura rosa al trucco, per passare a interventi un po’ più “drastici” come questo.

E lungi da me l’idea di fare appropriazione proprio di questi tempi, ma mi vengono in mente due personaggi di finzione: la Princesa di De André, che voleva che il suo corpo le rassomigliasse, e Agrado di Almodóvar, che conclude il suo famoso monologo con la frase: “Una è più autentica quanto più somiglia a ciò che ha sognato di sé stessa”. Io a tredici anni sognavo in ordine sparso i denti dritti, il naso all’insù e il Nobel per la letteratura. Purtroppo per il terzo sto cercando ancora la promozione giusta su Groupon.

Però c’è questo modo di trattare il corpo, che in effetti è un campo di battaglia, come se fosse il cibo messo a tavola davanti ai bambini: con quello non si scherza. Le suore, a scuola, criticavano le bambine che giocavano con gli smalti, predicando che “le unghie dovevano essere come ce le ha date nostro signore”. Parlando di bambine che giocano col proprio corpo, ho assistito da lontano a tutta la polemica su Mignonnes (Cuties). Non mi sembra di andare fuori argomento: di base c’è l’idea che specie le donne debbano compiere fin dall’inizio della loro vita una scelta decisiva tra corpo e mente, presentati in modo fraudolento come antitetici. Ovvio che le donne possono “sfoggiare” entrambi i reperti insieme, anzi in alcune occasioni è richiesto (vedi cerimonie di laurea e lavori di rappresentanza): ma, appunto, ciò si verifica giusto in alcune occasioni. Guai a postare foto del mare se sei un’ex ministra, per esempio!

Io mi sono fatta colare il sudore quasi fin sul collo pur di sostenere un esame a luglio con la giacchetta addosso: sotto avevo una canotta, benché nera, e mettersi un reggiseno italiano pensato per la schiena di Pollyanna equivaleva a morire per soffocamento. A 30 gradi all’ombra non era il caso. Qualche amico spiritoso, ai tempi, avrebbe commentato “Mi ero scordato cosa rischiavi di mostrare, là!”. Sì, ma con tutte le leggende metropolitane di studentesse che “andavano discinte apposta all’esame” (meglio schiumare, no?), di quello si trattava: corpo o mente. E se si sceglie la seconda, il primo deve sparire. Che poi è una delle spiegazioni più frequenti fornite da imam e collettivi di ragazzi musulmani su perché le donne dovrebbero portare il velo: “Per rispettarti meglio, bambina cara: noi andiamo oltre le apparenze”. Oook, ma confesso che preferisco di gran lunga chiederlo alle ragazze, che spesso dicono solo: “Io sono così, questo pezzo di stoffa è parte di me” (che poi certe mie colleghe di università a Manchester si toglievano il velo alla cerimonia dei diplomi).

Il corpo, però, torna sempre: e meno male! Impone le sue leggi, riempie “troppo” i jeans in barba alle mode (e allora sono i jeans a essere sbagliati, non il corpo!). Oppure si lascia cadere fino alle costole gli scolli profondi (ehm…): ma se la scollatura non incontra gli standard di un museo famoso, scordati pure di vedere la Gioconda.

Perché il corpo è ancora un tabù, mai come ora che viene esibito tanto, e sempre in una salsa accattivante: questa versione sciapa della già triste Body Positivity dimostra quanto poco sappiamo accettarlo per com’è davvero. Leggete ad esempio i commenti sotto questa pubblicità, che di corpi non ne esibisce nemmeno granché.

E invece, tra l’imperativo di sfoggiare corpi perfetti e quello di ripudiarli per pensare “a ben altro”, ho trovato un’altra soluzione: il corpo, a modo mio. Le mie scelte estetiche continuano a essere poco rilevanti per gli standard o a non entrarvi proprio, però piacciono a me.

Perché col corpo si può giocare, anche per compiacere nessun altro sguardo che il proprio. Quando si vince la pressione estetica e si fanno le cose per “scelta” (qualunque cosa significhi) possiamo, si diceva, porci un obiettivo: quello che vediamo allo specchio deve rassomigliare davvero a quello che ci sentiamo di essere.

Specie se in realtà siamo Batman.

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Dolce sirena che vieni dal mare…

Settimana 1 di ritorno, e di ritrovamento: gli shock culturali.

I miei:

  • faccio per sciacquare la macchinetta del caffè che si è fatto da solo, e mi dico: “Ehi, dov’è il resto della posa? … Ah, già, è inglese”. Problem posing, problem solving.
  • Nel gelo notturno della stanza, la cui finestra non cambio mai (550 patane!), gli allungo un braccio avvolto nel pigiama di pile: “Tutto ok? Ti muovi molto…”. “Ho solo caldo”. E. Dorme. Senza. Maglia.

Quelli della dottoressa della famosa clinica a cui avevo chiesto appuntamento un mese e mezzo fa, come possibile madre soltera:

  • “Lui chi è? Come mai l’hai portato con te? Il suo ruolo, mi spieghi, qual è? Io volevo incontrarti da sola, semmai…”.

I suoi:

  • donna si diventa.

Cara Simone, hai voglia di ripeterlo, ma anche noi “esotiche sirene del Mediterraneo” (cit., e lasciamo perdere quell'”esotiche”…) ci mettiamo un po’ di lavoro per esserlo. Chiamalo pressione estetica, chiamalo Mito della bellezza (grazie, Naomi Wolf). Intanto è tempo, denaro… e lavoro, appunto. Come vi ho già detto, nei limiti della “libera scelta”, o qualsiasi cosa significhi, mi piace pensare che faccia tutte queste cose perché mi ci diverto, e perché ho imparato a farne a meno. Però non dimentico che in un programma di livelli altissimi come Temptation Island, che sto scoprendo su YouTube con ammirata compassione, Nathalie Caldonazzo può dire del compagno una cosa tipo: “La donna sono io, lui deve solo darsi un’occhiata allo specchio e uscire”. E Geppi Cucciari può fare una gag sul fatto che una donna, prima di un appuntamento, va dal parrucchiere, dall’estetista, in profumeria… mentre un uomo spende giusto venti centesimi di SMS (il monologo è vecchio): “Oh, domani trombo”.

Il nostro britannico dal caffè “sciacquariello” e dalle caldane improvvise non è stato circondato da molte figure femminili, quindi è rimasto tra il sorpreso e il divertito quando la dolce sirena che viene dal mare (vedi video più sotto) ha fatto le seguenti cose, in ordine sparso:

  • bombardarsi la zona sotto gli occhi con curiose lucette di dubbia efficacia, provenienti dal laserino antiocchiaie vinto coi punti della farmacia (oh, mica lo sprechiamo, hai visto mai!).
  • Bombardarsi con un laser ben più grande – e costosetto – la parte inferiore delle gambe, o credeva che le sirene vengono così au naturel senza squame? (L’annetto di pelo libero che ho celebrato tempo fa mi ha confermato che vorrei che fossimo lisci come totani, ma in paranza proprio.)
  • Rimuovere dagli occhi, con un panno già chiazzato di mascara, quei riflessi violacei sfumati di blu che tutte noi sirene abbiamo proprio per natura. Non c’entra niente quella palette di Urban Decay a metà prezzo su Wallapop.
  • Avere dolori lancinanti dieci giorni al mese senza che freghi niente a nessuno, e pronunciare frasi misteriose come: “Devo svuotare la coppetta“. E no, quella di reggiseno è già vuota da sempre, riprova a indovinare.
  • Sentirsi dire in uno studio caruccio e dipinto di fresco che con i tuoi valori del test antimulleriano non sarà facile trovarti ovuli buoni, ma bisognerà solo stimolare un po’ di più ormonalmente – con 700 euro di farmaci – e forse è meglio fare due interventi di fila, che dopo due settimane paghi solo 1800 e non 2.400 di nuovo. Per quattro anni il congelamento è gratis.

Donne si diventa, Simone. Ed è una lunga strada, tutta da costruire.

E pure da decostruire, mi sa.

 

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Un libro che vorrei leggere

In prima media avevo lo stesso fisico di adesso, ma per allora ero una pin-up!

È uno scherzo che faccio spesso e che dalla realtà si allontana poco, diciamo una decina di centimetri, mezza misura di reggiseno e un paio di taglie di abbigliamento (il piede è rimasto uguale). Per la verità mi era venuto il ciclo a nove anni e, a parte che crescere mi spaventava, certe dolcezze infantili passavano già sotto la morsa dello sviluppo, nelle parti sbagliate. La cosa mi angosciava perché, a quanto avevo capito, ‘sta storia di essere belle era fondamentale perché il mondo ti cacasse.

Se eri bella dentro dovevi esserlo anche fuori: in effetti, detto fra noi, la matrigna di Biancaneve mi sembrava un po’ cessa, non capivo che ci trovasse lo specchio per darle almeno la medaglia d’argento.

Quindi la prendevo come un’offesa personale quando, di qualche personaggio femminile, leggevo l’evidente traduzione dall’inglese: “Non era una bellezza”. Succedeva soprattutto in libri scritti da donne, che in realtà porelle cercavano di dirmi: “Tranquilla che non devi essere l’ottava meraviglia del mondo per essere brava, e felice”. Le protagoniste degli uomini che mi era consentito di leggere allora erano perlopiù altissime, purissime, levissime, come una pubblicità dell’epoca.

Dunque, quando in classe abbiamo letto “La mia Ilaria” di Giovanni Papini (nome che ho rimosso, per ritrovarlo dieci anni dopo accanto a una bella scrittrice) il racconto del nonno che descrive la nipote mi faceva paura quando recitava:

Forse chi la incontra non la vede neanche bella. Per me invece più bella di Ilaria non c’è.

Ma come, “Per me”? Anche mio nonno si chiamava Giovanni e mi trovava la bambina più bella del mondo, e tutti… tutti erano d’accordo. Vero? Vero? L’autore infieriva: “Eppure, non riuscirò mai a dire perché Ilaria a me sembra bella…”.

Perché lo è, a nonno! Che nonno sei, che lo dubiti pure?

Insomma, mentre perdevo il mio trono di bella bambina un po’ “pereta” per trasformarmi in una preadolescente con macchinetta e ciuffo anni ’90, mi godevo con sentimenti alterni questa descrizione di un nonno orgoglioso.

Poi sulla bellezza ho riflettuto, letto libri, e scritto vari post tra cui uno ancora in bozza, ideato quando è morta Virna Lisi. Intanto “la mia Ilaria”, cioè Ilaria Occhini, era un’attrice che ammiravo nelle sale ma che non collegavo alla protagonista di quel lontano racconto bello e inquietante. Oltre a fare bene il suo lavoro mi ha fornito alcune delle definizioni più scanzonate della bellezza: un mistero che, con qualche eccezione, è una sfida e un carico (e a volte un’arma) che grava soprattutto sulle donne.

La mia bellezza è come se fosse una cosa, una borsetta, un foulard che porto con me, non ne parlo con nessun vanto.

Non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io sono stata, si dice, bellissima. Non credo di esserlo più. Ma non è ridicolo tutto questo affannarsi?

E certo che è ridicolo, ma me ne sono accorta tardi. Il tempo di sentire uomini in strada discutere su se fossi “papabile” o no, o di sentirmi dire “I tuoi compagni una femmina tengono in redazione, ed è così” (sarò sempre grata al bambino che in un parco di Aversa mi difendeva con l’amichetto: “Pe’ mme, è bellella”). Già migrata in terre più critiche con la pressione estetica, ho riso con gli altri dell’aneddoto di un attore americano, letteralmente un “ex Romeo“, che per vincere un Oscar ha dovuto, tra le altre cose, mettere su qualche chilo e due rughe.

Quando ho scoperto che la brava attrice morta ieri era l’Ilaria del mio racconto, sono stata contenta della vita che ha fatto, della carriera e dei successi.

Ed è stato quasi comico rendermi conto pure, adesso che ho imparato a dare il giusto peso alla cosa, che era bella davvero.

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Una “vecchissima” Sibilla Aleramo! :p

Non ve lo linko nemmeno: uno scrittore francese cinquantenne avrebbe dichiarato di non cercare la compagnia delle sue coetanee, perché gli sembrano “vecchie”. Davvero, stavolta non ho neanche cercato la dichiarazione originale: ho trovato un paio di testi ben più interessanti, scritti da un uomo e una donna, che liquidano come “infelice ma legittima” la dichiarazione del tizio, e come “maschiliste” le reazioni delle tante cinquantenni, a quanto vedo bianche e con un certo tenore di vita, che hanno postato foto dei loro fisicacci al grido di “Non sai cosa ti perdi!”.

Credo che questa notizia, che in altri momenti mi avrebbe lasciata indifferente, mi risuona in testa da giorni per una battuta che ho fatto a una manifestazione, sentendomi attratta da un cronista sopra la quarantina: “Ua’, per una volta che noto uno più grande… Dice che la devo smettere di farmi piacere i ragazzini!”. E poi mi sono chiesta: “Ma per quale motivo dovrei smettere?”. E come si cambiano i gusti estetici? Gli è che mi può attrarre un uomo in particolare, a prescindere da età e caratteristiche fisiche, ma il “fascino dell’uomo maturo” con me non funziona per niente: mi pare una leggenda (con un fondo di verità, come tutte le leggende) al servizio del genere con più potere d’acquisto (e infatti è stato ufficialmente esteso alle donne quando hanno aumentato un po’ il loro, o la crisi economica ci ha equiparati nella precarietà). Un uomo, come una donna, può piacermi con le sue rughe, o anche nonostante le rughe, ma non in virtù di quelle.

D’altronde, vorrei spezzare una lancia a favore delle donne che hanno “risposto” con foto sensuali a questo signore schizzinoso: da quando ho superato i 23 è stata una lunga sfilza di “Non li dimostri!”, come se all’alba del mio ventitreesimo compleanno dovessi diventare la Sibilla cumana. E invece, forse sono ancora in quell’età (o ci ero fino a poco fa) in cui chi non è stato proprio un fotomodello a venti, senza per questo essere un quadro di Picasso, può sembrare più affascinante che in passato, senza che sia cominciata la “decadenza”.

Ma quale decadenza, poi? Magari, noi che nasciamo con la fortuna di poter fare di queste considerazioni, dovremmo semplicemente smettere di basarci su un’idea obsoleta di cosa significhi avere “una certa età”, che non significa per forza ignorare la biologia.

Perché a me dispiace che un uomo si ammazzi di palestra, o una donna digiuni, per rispondere a certi standard, e per giunta a un’età che quegli stessi standard considerano “fuori tempo massimo”. Ma, se abbiamo la fortuna sfacciata di poterci prendere cura del nostro corpo, se ci piace profumarlo, nutrirlo bene piuttosto che molto o poco, non ci vedo nulla di male.

Se poi c’è una cosa che trovo molto poco femminista (ma il femminismo è ‘na sfoglia ‘e cepolla!) è questa contrapposizione “corpo-mente”, per cui, secondo chi critica le cinquantenni in posa, le donne avrebbero dovuto rispondere in coro: “Ma l’importante è essere belle dentro!”.

E no! Possiamo essere belle fuori, e belli fuori, senza ossessionarci.

E spero proprio che, esulando dalle generalizzazioni, il “mi piaci” non venga mai declinato in modalità “nonostante”, ma completato sempre con “… perché sei tu”. Che per fortuna, mi sembra, è ciò che accade il più delle volte.

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Io lo sapevo già: ho voglia a descrivere fini spaccati di vita contemporanea e trattatelli di filosofia della strada da tre euro al discount! Quello che v’interessa di più è sapere come mi mantenga così strafiga nonostante i miei 125 anni.

Se proprio insistete a scoprirlo, allora, beccatevi questa premessa. Avete presente l’effetto lifting istantaneo che ottengono coi loro campioncini quei commessi  tutti agghindati che vi fermano in stazione? Ebbene, un mio amico “scienziato” mi ha spiegato che si può ricavare un risultato simile da qualsiasi emulsione che stimoli la circolazione facendo muovere dei granuli sulla nostra faccia. In parole povere: pure sale e burro. Vabbuo’, non esageriamo ma, come disse la commessa/relatrice di una conferenza al supermercato (a Barcellona succede anche questo!): “Se potete permettervi dei prodotti molto costosi, buon per voi! L’importante, però, è la costanza nell’applicare qualsiasi cosa abbiate scelto”.

E ora possiamo cominciare.

  1. Viso & collo. Avete la spazzola viso a 200 euro? Prestatemela e vi dico se funziona meglio della mia, che online ho trovato a 30 euro e fa pure la depilazione viso per chi voglia. Ho visto roba in farmacia a prezzi decisamente più bassi, ma di marche per me più scadenti. Su un piano generale, per il sovrapprezzo dei prodotti “per donne”, leggete qua.
  2. Esfolianti! Ne ho uno fantastico con caffè e olio. Provatelo!
  3. Brufoli! Niente da fare, quello che più funziona con me è questa soluzione superalcolica (una goccina due-tre volte al giorno) di vodka e tea tree, che mio padre, affezionato al vecchio Locoidon, ha pure giustificato scientificamente: “È la vasodilatazione”. Ok. Basta che funzioni!
  4. Creme! Vi ho già parlato della cold cream artigianale che uso al posto di fondotinta e cipria. Per il corpo mi vanno benissimo le creme da due ingredienti come questa, o riciclo creme viso che ho prodotto in eccesso, come questa qui. Potete aggiungervi oli essenziali, vitamine, antiossidanti… Online si trovano a poco prezzo e non testati su animali, ma per gli oli io preferisco l’erboristeria.
  5. Capelli! Mi snerva la loro lentezza nel crescere. E allora avete presente quella radice di zenzero che prima che l’usiamo tutta ammuffisce? Schiaffiamola sul cuoio capelluto, se vogliamo una ricrescita più veloce. Se non serve a una ceppa, almeno abbiamo provato a utilizzare quello zenzero prima di buttarlo!
  6. Piedi! Se impazzite per pedicure e unghie adornate, passate avanti. Se come me usate le estremità inferiori solo per deambulare, perché affidarsi a un tagliacalli ossidato, se i problemi ai piedi potete… grattugiarli via? Lo so che l’immagine non è proprio poetica, ma pensate a quanti scherzi divertenti potete fare in sala mensa al lavoro! Ok, sarebbe stato meglio saltare questo punto a prescindere.
  7. Calze sexy! Ovvero: cosa fare delle vostre calze carucce quando dopo un anno s’ammollano. Beh, d’ora in poi investite in un paio duraturo! E, usandolo come base, prendete la calza caruccia & smollata e tagliatela in diagonale con le forbici poco sotto il cavallo. Otterrete dei calzerotti carinissimi che a cascare un po’ faranno ancora più vamp! O adorabile sfigata, che, diciamo, è più la mia specialità. Se volete fare la cosa professionale, guardate qua.
  8. Scarpe! Avendo i piedi fatti di burro, tendo a usare maaassimo tre paia comode di stivali o sandali a stagione. Allora, per abbinarci tutti i miei vestiti (non sempre si trovano copriscarpe fantasia, e così larghi) è un po’ che provo a fare questo: creare dei facilissimi copristivali (di lana o cotone a seconda della stagione). Troppo difficile? Ok, qui li ricavate da vecchi maglioni (se XL, io li lascerei anche fuori lo stivale)! Comunque, tornando alla maglia, potete lavorate tutto a legaccio, cucire tra loro le estremità e amen. E a questo proposito…
  9. Sciarpe! Una sciarpetta di tre e più colori, fatta con quegli interminabili gomitoli in acrilico a 2.50 l’uno, permette abbinamenti spericolati tra i capi più diversi. Aggiungetevi un bel rossetto creato ad hoc con vecchi ombretti (vi metto la ricetta più facile, ma ne fa anche Clio) ed è andata.
  10. Spuntini! L’avreste mai detto, che mangio 4-5 volte al giorno? Sì, vero? Vabbe’. Ma è fantastico!  Mi aiuta a ridurre le porzioni a tavola. E difendo il sacrosanto diritto di mangiare schifezze, anche se ultimamente mi faccio da me la Nutella. Col mio estrattore a freddo riesco pure a “bere” la frutta, che non amo tanto, e ricavare latte vegetale  di mandorle, avena, soja, senza sforzo. Vorrei essiccare frutta e verdura per avere delle chips da inzuppare nelle mie salsine intrugliose. Il pomeriggio, quando non dilapido più di 3 euro in  bibite calde hipster, me le faccio io a casa con un semplice frullino e gli ingredienti che voglio. Questo blog mi suggerisce molte ricette buone buone e curiosamente poco caloriche (provate quella che mi ha fatto far pace col cavolfiore!).

Nella prossima puntata su quest’argomento affascinante (le origini del mio splendore, dico), parleremo di altre cose folli che faccio a mano, con risultati alterni ma mai noiosi (mettiamola così, va’).

Intanto, con questi consigli, non sfolgorate troppo, che m’ingelosisco!

Risultati immagini per funny model  E vabbe’, non mi sgamate subito, voi che mi conoscete di persona!

Per una volta che volevo fare la fashion blogger seria. Ok, forse ho esagerato un po’ col titolo. Ma un po’, eh.

Che poi, a darlo per buono, la risposta sarebbe da libro di self-help a due euro, nel cascione delle offerte alla Fnac. Accettandomi, cos’. Chi ha detto che la vita sia sempre complicata?

Quando mi vedevate vestita da lampadario era perché pensavo di essere un cesso a pedali, e mi premuravo di circondarmi di uomini che me lo confermassero.

È stato da quando mi sono accettata al di fuori della pressione estetica (espressione introvabile nel Google italiano), che mi sono sentita bene. E gli sforzi che facevo prima sono diventati un gioco.

Ecco quindi un elenco di pratiche, aggeggi e abitudini che, da quando sto bene anche senza, mi aiutano a giocare a prendermi cura di me. Alla faccia dei rossetti da 30 euro, della ceretta tradizionale araba venduta come sugaring solo “nei centri estetica esclusivi”, dei reggiseni che alzano, strizzano, spaccano e ti dicono le previsioni del tempo.

Ok, care amiche e cari amicHi, io per restare strafiga (prrr) faccio così.

  1. Faccia: sono mesi che non uso fondotinta, cipria né niente. Solo questa cold cream al caffè che mi colora un po’ il viso e mi fa anche profumare leggermente di moka. Per i colori, dopo aver ordinato dei pigmenti online, sto giocando a mischiare vecchie palette, o correttori, trasformare ombretti in rossetti… Tempo di preparazione? Mezz’ora è assai.
  2. Capelli. Se voglio cambiare davvero stile vado sempre da lei. Ma adesso voglio solo un taglio lungo e scalato avanti, e ho preso queste mollette per fare da sola (ok, prese nella versione pezzotta). Con bei risultati! Si possono fare anche tagli più elaborati, per chi vuole provarci. Per il colore, dopo anni a pasticciare con la chimica mi sono accorta che per tornare al biondo dell’infanzia mi bastava un intruglio di mio padre (misurino di lozione alla camomilla in 200 ml d’acqua) una volta a settimana.
  3. Peli. Superflui a chi?! Ma dopo qualche tempo in versione yeti mi sono accorta comunque che non mi piacciono né sulle donne né sugli uomini, e mi sono procurata questo depilatore a luce pulsata che economico non è (anche se si trova a 160), ma costa quanto 4 sedute in offerta in un centro estetico. E dopo un po’ si usa davvero di rado. Questo e altri aggeggi sopra i 20 euro ve li consiglio solo perché sono un investimento, li uso da anni e funzionano sempre.
  4. Tette! È inutile, cara commessa di Oysho, che mi scruti la maglia alla ricerca di qualcosa da imbottire. Secondo una ricerca americana (il cercataglie di Victoria’s Secret) porto una 34AAA! La mia taglia è l’urlo di Munch. E allora sai che? Questo massaggino a elettrodi mi rende un bel servizio ai due grammi che mi ritrovo (immaginatevi cosa fa con dimensioni più consuete) e tutto il resto è libera respirazione.
  5. Look! Niente, sono due anni che mi vestono quasi per intero i mercatini solidali. La seconda mano è fantastica! Ci trovi vestiti molto più resistenti di quelli scadenti e inquinanti di adesso, e puoi combinarli con quelli che già avevi. Senza parlare delle operazioni di restauro: ho fatto resuscitare le Dr. Martens con una bomboletta spray! Quando la lavatrice ha distrutto la manica alla mia giacchetta preferita, mi sono procurata un gomitolo in tinta per fare maniche nuove a uncinetto. È una vera minchiata, se ci riesco io… Infatti ho un reparto sciarpette ai ferri da paura.
  6. Sport! Pagavo 40 euro al mese per la palestra, poi mi sono accorta che per quello che ci facevo (squat, addominali, flessioni…) potevo portarmi le schede a casa e tutto quello che mi mancava sul serio erano due robe per il cardio. Uno step, una cyclette. Si trovano pure a basso costo e di seconda mano, e ormai mi alleno ogni giorno. Ho fatto le cosce di Maradona!
  7. Purché se magna. Perché “la bellezza comincia a tavola!” (seh). Lo so, il tempo è poco. Quando studiavo e lavoravo, l’anno scorso, cucinavo la domenica per mezza settimana e il mercoledì sera per l’altra mezza. Ma in cucina, a comprare solo materie prime, ci si guadagna in tutti i sensi. Con 1,50 di basilico faccio un pesto che Buitoni scansati. Genovesi scusate, il mortaio ce l’ho ma ho investito in un buon minipimer che mi ha risarcito presto i suoi soldi. Ci faccio pure la maionese, col basilico e altre erbette, in cinque minuti d’orologio. E dall’olio avanzato ricavo il sapone: mezz’ora. So che non vi convincerò mai, visto che pensate che Valsoia e i gourmet siano “mangiare veg”, ma con 95 cent di farina di forza faccio seitan per una settimana. E l’hummus pure, che ci vuole a frullare sesamo, olio e limone per la tahina e unirli a ceci frullati? Senza parlare di tutte le zuppette che di ritorno dal lavoro mi fa da sola la pentola a pressione, mentre mi doccio. Insomma, mangio sano, sono felice e la panzella la compenso con tanta allegria! La nasconde? No. Ma vabbe’.

Adesso mi dite che siete culturisti di professione, avete la settima di reggiseno e preferite nascondere meglio l’acne giovanile o cambiare spesso taglio (e taglia). Fantastico.

Questi sopra sono i miei giochi, mi piacerebbe conoscere i vostri. Credo che l’importante sia capire due cose: possiamo fare come ci pare, in barba a Enzo & Carla; non c’è bisogno di spendere tanto.

Buon divertimento!

tiparleròdamorNella puntata precedente si parlava della mia lacrimevole vita di bimba graziosa che si era ritrovata, all’epoca dello sviluppo, a scoprire di essere normaluccia anziché no, magari caruccia ma “non sto granché”, come sentenziai presto dietro gli occhiali da vista, che toglievo strategicamente quando i miei non erano presenti. La macchinetta era impossibile toglierla, per quello che mi è servita.

MA non buttiamoci giù, soffermiamoci sul quel “non sto granché”. Dicevo che due gemelle, una bellissima e tormentata e un’altra meno appariscente ma più serena, mi hanno dimostrato “plasticamente” gli effetti sul volto dell’autostima.

In effetti una cosa del genere era successa anche a me, quando una ragazza incontrata a un concerto dopo anni senza vedersi mi disse che ero molto più carina da universitaria che da liceale (nonostante qualche chiletto in più e un taglio sbarazzino poco “standard”), perché mi ero tolta “quella faccia da seccia” che in effetti sfoggiavo nell’ultimo anno al classico.

Ma le rassicurazioni altrui servono a poco.

Forse succede perché, una volta che vediamo che non ci toccherà sfilare in passerella a Milano, molte danno per scontato che “da quel punto di vista”, nella battaglia che ci siamo creati tra corpo e mente, sono inadeguate. Come se mens sana in corpore sano fosse una dichiarazione incomprensibile del compianto Boškov. Specie se abbiamo puntato su una carriera universitaria e ci siamo accontentate dell’equivoco per cui “le ragazze serie pensano soprattutto al cervello”.

Capisco il dare la giusta importanza alla bellezza, non mitificarla come fanno i media, ma non mi sembra giusto neanche negarla, nascondercene il fascino intrinseco che fa scattare petizioni, come mi segnalano giustamente, se il delinquente è bello.

Vedete che succede, a negare il potenziale della bellezza, solo perché non sentiamo di possederne?

Il modo in cui la viviamo fa tutta la differenza. Io, si diceva, mi sono premurata di innamorarmi solo di persone che mi confermassero la mia visione autosvalutante (e lo so, l’amore è complesso, ma sappiamo l’attrazione fisica che ruolo vi giochi). Ora che ho deciso di vedere il bicchiere mezzo pieno, è cambiato molto. Non tutto, ma molto. Ho scoperto che quando capiamo che non siamo proprio uno sperpetuo, lo trasmettiamo anche agli altri. E facciamo molto più esercizio fisico, ci prendiamo più cura del nostro corpo, ci vestiamo come ci piace senza pensare al filo di pancetta che potrebbe emergere sotto i colori un po’ più appariscenti.

A me forse è andata bene, a rivalutarmi solo adesso: conosco un ragazzo che, senza diventare un modello (peraltro è rimasto bassino), si è ritrovato da un’adolescenza con problemi di scoliosi, di acne, di miopia e quant’altro, a una giovinezza in cui si è quasi letteralmente svegliato un giorno e si è scoperto un bel giovine. Lì, immaginerete, strage di cuori, eccolo pronto a “castigare” le stesse che non se lo filavano manco di striscio.

La stessa tentazione che a 30 suonati avrei a volte qui in Spagna, in un paese più generoso coi suoi standard, in cui le donne, fresche di transizione democratica, hanno imparato da meno tempo e quindi con meno complessi a darsi valore a prescindere dall’aspetto fisico.

Ma è questo “a prescindere” che, secondo me, ci deve spaventare.

Perché una cosa è il sacrosanto ribellarsi agli standard di bellezza, e una cosa la cecità selettiva di chi, per evitarsi delusioni (torniamo al tema paure), si rifiuta di conoscere il proprio corpo a favore di una mente che, lasciata sola, può tradire peggio di Giuda.

Ma degli standard parleremo nella prossima saga.

ioaltalenaOra, perché m’importa tanto della bellezza.

Potrei scrivere: perché sono una donna. Nata in una società in cui la bellezza è ancora un fattore di potere, per le donne, o uno standard da raggiungere, qualcosa da procacciarsi o con cui fare i conti ogni giorno, nell’impossibilità di essere all’altezza di modelli che al femminile si traducono nella solita idealizzazione feroce, che sia di zoccola o di madonna.

Ma questa supercazzola la lasciamo a discussioni sociologiche che qui non mi competono. Questa è la realtà per milioni di donne (e ultimamente di uomini), e ciascuna reagisce a modo suo. La cosa più importante è capire cosa significhi la bellezza per noi, per la nostra storia personale.

E io ero una di quelle bambine che dici, magari esagerando, “dovrebbe fare la pubblicità”. E siccome ero pure una bimba sveglia (me so’ perza p’ ‘a via) intuivo che la maggior parte dell’attenzione che mi dedicavano gli adulti, anche i perfetti sconosciuti, fosse dovuta a questo. Ergo, devo aver pensato, se non sono bella non sono più nessuno. Infatti, l’avrò già detto, mentre aspettavo di vedere mia mamma nel reparto maternità (e mio fratello si approssima alle 30 primavere) a domanda “Che vuoi fare da grande” risposi convinta “Miss Mondo”. Anche perché il posto di Madonna (l’originale, non la cantante) era occupato. E che te ne fai, mi venne risposto. Ti dicono “sei bella”, e poi? Come, e poi.

L’ “e poi” dovetti chiedermelo più tardi, coi denti cresciuti un po’ alla rinfusa, un naso improvvisamente uscito dagli angusti confini dell’infanzia, e lo scherzo della natura (e del ciclo precoce) di essere pin-up a 9 anni e minuta a 13: è frustrante vedere le coetanee cambiare mentre tu rimani sempre uguale, ti sembra di perdere una maratona che non hai mai neanche corso, prima ancora di avere gli strumenti culturali per dirti che non vale la pena correrla.

Per questo penso che, più dei discorsi sociologici su una realtà che si fa sempre più complessa e superficiale (e che comincia ad affliggere anche gli uomini, coi modelli di bellezza irraggiungibili), bisognerebbe partire da noi, dalla nostra storia.

Io sulla bellezza ho avuto la mia rivelazione grazie a due gemelle, identiche e splendide entrambe. Conoscevo solo quella misteriosa e tormentata, però, ovviamente amica mia.

L’altra la incontrai per caso in strada e… Immaginate la classica figuraccia che si verifica in questi casi. Lei, abituata, la prese con filosofia, mi diede due baci allegri e rise con me dell’equivoco. In quel momento, mi accorsi che era più grassottella della sua gemella, vestita in modo meno originale, e forse anche più, non so, più propensa a rimanere inosservata rispetto all’evidente “alterità” della quasi-sosia.

Ma in un certo senso era più bella, o di una bellezza diversa, più affabile, più attraente in senso letterale. Non capivo perché, finché non le guardai meglio gli occhi. Erano sereni, senza le complicazioni della mia amica “tormentata” come me. E il sorriso non era nervoso, ma aperto, sincero. La ragazza che avevo davanti mi stava insegnando la differenza tra lo star bene con se stessi ed essere insicuri.
E questa ovvietà da salotto, tradotta su un volto umano che ti si profila davanti, è una piccola rivelazione, meglio di Photoshop.

Delle sue conseguenze parleremo tra qualche giorno