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Image result for bumble serena williams È tutta colpa del compagno che all’interrogazione rispondeva: “Uno!”.

Il prof. di biologia insisteva: “Quanti gameti ci vogliono per formare uno zigote?”. E quell’altro, sempre: “Uno!”. Al che il prof., per fargli intuire di cosa si parlasse, chiosava: “Caro mio, ‘o fattaccio si fa sempre in due!”.

È con questo motto che, nella speranza che prima o poi ci riproduciamo tutti per mitosi, ho scaricato di nuovo quelle app d’incontri che sul mio cellulare erano durate una settimana. Ma solo per lasciare un messaggio tipo: “Ciao, dalla vita ho avuto tutto quello che volevo tranne una famiglia. Se ti capita lo stesso sentiamoci”. Intuirete che la mia attività online sia l’equivalente della balla di fieno che rotola via nel deserto – a parte i messaggi di quelli che non sanno leggere, tantini comunque.

Ieri però mi è capitata quest’app che mi ha annunciato: “Da noi le ragazze fanno la prima mossa!”. Insomma, se mi piace uno (evenienza più unica che rara, figuratevi dall’altra parte!), ho 24 ore di tempo per contattarlo, o la balla di fieno fa gli straordinari. Capirete che non sia l’ideale, per una che voleva solo lanciare il messaggio-bomba di cui sopra: specie se consideriamo che, sulla questione bambini, i meglio femministi possono diventare maschi alfa che minacciano di prendere il primo volo per Timbuctù (reazione equivalente solo alla scoperta che guadagniate più di loro: lì al confronto Khal Drogo diventa una suffragetta).

In ogni caso, mentre già fumavo dalle narici per la rabbia, ho fatto una breve ricerca su Google e ho scoperto che le ‘mericane sarebbero così entusiaste di questa roba, so empowering, oh my God, che alcune famose ci hanno pure investito. 

Basta con il corteggiamento classico, che comunque schifavo da tempi non sospetti: che siano le donne a prendere l’iniziativa! Fantastico. Ma solo loro. Rovesciamo semplicemente le cose e andrà tutto benissimo.

Cosa c’è che non va? Be’, immaginiamoci un’app che connetta donne afroitaliane o afrospagnole con connazionali “bianche”: io non mi offenderei troppo se le prime fossero un po’ sul chivalà. Saprebbero benissimo che non sono tutte le bianche, ma in fondo si sono sentite dire tante volte: “Di dove sei? Sì, vabbe’, ma dove sei nata? Come parli bene la nostra lingua!”. Oppure hanno scoperto che, per le loro amiche bianche, le aree meno sicure della città sono quelle in cui tendono a vivere loro e la loro famiglia, fossero anche zone magari non fighette, ma comunque tranquille. Oppure si sono sentite chiedere se “nel loro paese” sono molto oppresse, da una che ha perso il lavoro quando è diventata madre, ed è stata appena fischiata davanti a un bar. Sì, sono molto oppresse nel loro paese.

Ultima: prendete un’app che debba connettere i gay a una categoria che gli ha sempre chiesto “Chi è l’uomo e chi la donna?”, spiegandogli magari che “hanno molti amici gay, ma non gli va bene quando ostentano”. Capirete che, anche senza generalizzare, ci andrebbero coi piedi di piombo.

Insomma, a parte che schifo le imposizioni di ogni tipo, invitare una qualsiasi categoria discriminata a risolvere la cosa “buttandosi” (non si sa da dove) non mi sembra la soluzione ideale.

Tornando alla nostra app “femminista cccosì”, un po’ lo diceva zio Marx nel famoso libro Non dirmi che non te l’avevo detto, che trovate qui in inglese. Nella fattispecie, questo incontro “in salsa rosa” tra tecnologia e capitale si chiama pinkwashing, termine ‘mericano che indica la commercializzazione del femminismo e dell’attivismo LGBTIQ: compra questo prodotto, è così empowering!

Facciamo così: empowera un po’ ‘sta… e vedi di non imporre codici di comportamento a nessuno, né in un senso e né in un altro.

Intanto, in attesa che mi attiri qualcosa di più ingegnoso dell’amore eteronormativo, finisce che la mia ricerca della “famiglia tradizionale” naufraga miseramente e vado nella clinica di Carmen Russo (magari i vari amici che ci lavorano mi fanno fare uno sconto…). Oppure, visto che qua i single possono adottare, scarico su Duolingo la lingua di mia figlia – che ci metterà tre minuti a imparare la mia.

Per fortuna, con buona pace dei miei 6 risicati in biologia, il fattaccio non si fa per forza in due.

Sì, ho scritto “per fortuna”.

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Risultati immagini per marriage life funny   Conosciamoci al contrario, dico io. Tra innamorati, intendo.

Conosciamoci quando non stiamo dando “il meglio di noi” e lo sappiamo, quando abbiamo abbassato la guardia perché pensiamo di stare a casa nostra, liberi di dividerci le doppie punte davanti a Netflix e a quella tazza di surrogato del caffè che in Italia ci costerebbe l’esilio (ma abbiamo già provveduto da noi).

Mettiamoci fissi nella stessa casa, con calosce pelusciose ai piedi e occhi pesti, col bagno in disordine e tante, tante cose da dire su dove l’altro riponga le tovaglie per i pasti quotidiani (sempre troppo vicine a quelle delle occasioni speciali).

Insomma, scopriamoci nelle situazioni più quotidiane, e non quando siamo belli e impomatati, e pronti per uscire insieme un sabato sera, col solito rituale del paga lui, la prima sera al massimo un bacio, vediamo chi chiama per primo.

Che ve ne pare, della mia idea?

Lo so, penserete che sarebbe un disastro.

In realtà, più che altro, non è fattibile: prima di metterci una persona “estranea” in casa, la dobbiamo, appunto, conoscere!

Ma se l’amore dev’essere basato su un’idealizzazione dell’altro, sul corteggiamento più stereotipato e la visita obbligatoria dall’estetista, preferisco i calzini bianchi sul pigiama. Certa che tra quelli e la tutina da casa firmata Calvin Klein ci siano tante, bellissime vie di mezzo.

Si dice anche che gli amanti trasformati in partner fissi siano un disastro per questo, perché ci piacevano proprio per la scappatoia alla routine che ci offrissero.

Quando diventano essi stessi routine, che ce ne facciamo?

Boh, magari proviamo a tollerarli in questo loro aspetto “pantofolaio” e vediamo se ci piacciono anche così.

L’amore romantico uccide, dicono da queste parti. Nella maggior parte dei casi, più che altro, delude.

Io guarderei con sospetto a tutto quello che somigli a un protocollo con ruoli ben distribuiti, e che suonino come un prendere o lasciare.

Ecco, quella roba lì è più pericolosa della verdurina tra i denti.

san-valentino-mete-viaggiVeniamo alle dolenti note, che sono dolenti soprattutto per un’italiana all’estero alle prese con le connazionali inviperite perché gli uomini del loro nuovo paese “non se le filano”.

E che magari ha adorato il nuovo paese anche per questo.

Perché, vediamo un po’, cosa significa che non se le filino? Qua scoppiano proprio guerre particolarmente combattute da quelle che vogliono essere corteggiate e scambiano sta cosa per il pssst in mezzo alla strada, o giù di lì.

Allora, chiamata in causa in discussioni a cui non vorrei neanche partecipare, dal vivo o sui social, spiego che per me il pssst sulla strada non è affatto corteggiare. E personalmente, passando a metodi meno cafoni, non amo manco chi si senta obbligato a dirmi tutto il tempo che begli occhi che ho, che bella che sono, come se fosse un copione che dovesse recitare, anche perché, come dice un comico, il sottotesto quando si va a copione e non a soggetto è spesso dammeladammeladammeladammela.

Prova ne sia che quando degli amici timidi o con poco successo con le ragazze (ma è una gara?) mi hanno parlato di questa o di quella che apprezzassero, aggiungevano subito “Ma non so corteggiare”.

Allora corteggiare mi sembra sempre più sinonimo di impastoiare con una serie di complimenti che farebbero uguali a quella che dovesse venire dopo di te o mostrarsi più disposta a passare al sottotesto (che poi sta cosa di darla, mai capita, dal mio punto di vista ne prendo).

Ma la cosa che mi piace di meno dell’idea di corteggiare è questa creazione di ruoli che tiene come implicita. È un gioco, diceva un amico particolarmente affezionato a questo tipo di sceneggiata, salvo dichiarare che “Quelle che te la danno al primo appuntamento so come usarle, per quelle che m’interessano aspetto”. Sottolineo queste frasi perché me le hanno sempre sciorinate grandi corteggiatori, a confermarmi che questo gioco di ruoli non è esattamente una cosa che vorrei vivere.

Un gioco, dunque. Fantastico. Buon divertimento. Ma, appunto, bisogna divertirsi. Per divertirsi in un gioco bisogna non averne bisogno, scusate il bisticcio, se no diventa una necessità e non uno svago.

Una tizia che viveva in Germania, in una lettera a un giornale del 2007, diceva che gli uomini tedeschi erano deludenti, meno male che c’erano i turchi che ogni tanto la trattassero come un oggetto sessuale. Ripensai alla prima, meravigliosa sensazione di camminare in minigonna in mezzo a una comitiva di inglesi a Manchester che non si sentissero tenuti a fare commenti per dimostrare la propria eterosessualità. Come mi vengono in mente certe cose? Be’, compagno d’università, a Napoli, che ammette: “A volte quando sei circondato da altri ragazzi, specie tamarri, ti senti quasi in dovere di guardare una che passa facendo lo sguardo malato, ma io cerco di trattenermi”.

In dovere! Ma non era un gioco? E un gioco che si confonde pericolosamente con l’insulto per strada?

In effetti, diceva la sua anche una bella quasi-cinquantenne conosciuta qua a Barcellona: “Che simpatici, gli italiani! Erano incredibili, Ciao bella, detto a me, poi passava un’altra dietro di me e lo dicevano anche a lei”.

A proposito, battuta spagnola sugli italiani: “È così brutta che neanche un italiano se la scoperebbe”.

Battuta americana: “Qual è l’unica donna che un italiano non si scoperebbe? Una bruttiiissima bambina di 5 anni”.

Ok, questo non è un gioco, è una presa per il culo, al paese mio (e a quanto pare in quelli altrui). È un non fregarsene niente di come tu sia fatta o chi tu sia, è un vedere se ci stai, se no avanti la prossima, “bellissima” proprio come lo eri tu un secondo fa.

La questione è: perché abbiamo bisogno di questa cosa?

Perché lo so, che quelle che vogliono essere corteggiate e si difendono per questo come se fosse un tribunale, la vedono in modo diverso. Vogliono un uomo con tutti i crismi (?) che le faccia sentire desiderate, belle, capaci di sedurre col solo essere.

Fantastico. Liberissime. La questione è: lo vogliono o ne hanno bisogno?

Perché credo che ci sia un equivoco di fondo, ed è la stessa linea sottile che passa tra guardare con discrezione una donna o un uomo che passa (a me sgamano in trenta secondi nonostante faccia la vaga), e ritenersi autorizzati a fissare con insistenza e un sorriso volgare o a rivolgere la parola con eccessiva familiarità, quando ad esempio non si permetterebbero di dare del tu a una donna più grande o sfiorare volutamente un pendolare che aspetta la metro.

Quando succede questo, per me è molestia, è prendersi libertà che con persone che non ci interessano non ci prenderemmo mai e poi mai.

Le sfumature che avvengono tra questo e il non “filartisi proprio” sono infinite e di diverso gradimento, a seconda della persona.

Io ho la fortuna di avere un ragazzo che mi dice ogni giorno quanto mi trovi bella. L’ho avvertito, che dovrebbe cambiare la gradazione degli occhiali, ma non vuole saperne. Anzi, le sue appassionate dichiarazioni: “Sei bella anche in pigiama, con le pantofole pelusciose e i capelli sconvolti” mi sanno effettivamente di presa per il culo.

Ma non c’è mai stato, nel nostro rapporto, un corteggiamento.

“Come hai potuto fraintendere le mie intenzioni” mi disse un ex di quando ero appena tornata dall’Inghilterra “non c’è stato corteggiamento!”.

Allora, se vuoi starci insieme la veneri, per il resto c’è Durex.

Con quest’ex vidi la differenza tra la situazione corteggiamento e quella “irregolare”. Quando passammo da scopamici a coppia a tutti gli effetti (sì, a volte succede). Prima potevo pure morire, andare in vacanza da sola, uscire con altri uomini. Dopo, auguri di Natale non richiesti ai miei, presentazione alla famiglia, e davvero uscivo con la minigonna anche senza di lui?

No, col mio ragazzo di adesso il gioco di ruoli non l’abbiamo fatto. Non mi chiama bella perché mi stia corteggiando, non assume la funzione di quello che sa proteggere e riparare elettrodomestici mentre io perdo mezz’ora a prepararmi (“ma ne vale la pena”) e mi aspetto un regalo favoloso all’anniversario.

No, il mio ragazzo non mi ha mai corteggiata, spontaneamente mi dice quanto mi trovi bella e lo pensa. E non mi sono mai sentita così amata.

Allora, se volete l’uomo all’antica che porta rose e fa complimenti, fantastico. Quello che m’interessa è che non ne abbiate bisogno.

Che sia piacevole, ma non una necessità. Se la tipa della lettera al giornale voleva qualcuno che le facesse i complimenti la capisco, i complimenti sono carini, energia pura, un cioccolatino inaspettato a metà mattina. Se in Italia è arrivata a pensare di aver bisogno, di uno che glieli facesse, ci vedo un problema.

Perché il messaggio che passa, da quando tua madre ti spiega che riceverai attenzioni per strada, è ambiguo: non rispondere mai, ma è una cosa buona, significa che sei bella.

Allora, viene fatto di pensare, se non mi tampinano per strada non sono bella. E siccome essere bella è ancora sinonimo di esistere, in certi contesti, l’idea è “se non mi corteggiano non esisto”.

No, no. Grazie, ma passo.

L’ultima che mi ha fatto una filippica sul corteggiamento, vantandosi di aver trovato uno (italiano) che glielo offrisse, mi ha fatto un po’ pena. Ci sono uscita, col suo portentoso cavaliere, perché avevamo un’amica in comune ed entrambi eravamo appena arrivati a Barcellona. Lui aveva liquidato immediatamente la mia delusione con un coinquilino sentenziando “il problema è che ti sei concessa” (che non si sentiva dal delirio di Ophelia in Shakespeare). Poi mi aveva improvvisamente afferrato le braccia in un bar dicendomi che gli serviva calore umano (un gesto interpretabile in vari modi, ma comunque spiazzante per uno che conosci da mezz’ora). Qualche giorno dopo, suggeriva su facebook che stesse azzuppando il biscotto con una nuova (non ero io, per fortuna di entrambi).

Eliminato dai contatti, vai con Dio.

Dunque, se il corteggiamento lo vivete come un gioco, non vi partecipo ma lo rispetto. Se diventa un bisogno, specie per chi riceve le attenzioni, per me di base c’è un problema di autostima. E non sempre vengo rispettata io, quando lo dico.

Mi consolo tenendomi i miei complimenti quotidiani, sinceri.

Liberi.

E li ricambio di tutto cuore.