
Da terrablava.es
Il tipo del buffet take away all you can eat auannasgheps entra apposta dietro di noi, dimenticandosi di distribuire bigliettini ai turisti di altre nazionalità.
Prima che prendiamo i vassoi ci indica il disinfettante per le mani, che chiameremo Amuquinas: capisco che ci ha sentiti parlare italiano.
“Non sono offesa, avrei paura anch’io” dichiara mia madre.
Il signore che entra dopo di noi ha la pelle più scura della sua, e chiede con accento indiano se nell’insalata di pasta c’è del pesce. A lui non viene richiesto di lavarsi le mani.
Questa scena è di ieri sera: l’avevo presente insieme all’aneddoto della tizia lasciata a piedi da un tassista perché italiana, quando ho chiesto ai miei di parlare solo napoletano, davanti ai taxi in attesa a mezzanotte in Plaça Catalunya. Scrupolo inutile, magari, ma i contrattempi erano l’ultima cosa di cui avevano bisogno, alla vigilia di una partenza rimediata a stento. Il mio accento appreso da studentessa a Forcella faceva a pugni con quello loro di paese, che si erano sforzati di non “contagiarmi” (ah ah ah). Alla fine il tassista a stento capiva lo spagnolo, mentre gli chiedevo di condurli al porto.
Mentre scrivo, loro sono letteralmente in alto mare. Hanno preso la nave anche se partiva alle due e mezza di notte, invece che alla mezza come previsto. Oggi sarebbe partita all’una e mezza, invece che alle undici: mare mosso, a quanto pare. Dopo la cancellazione del volo, però, si sentivano intrappolati qua (il prossimo disponibile era previsto per il primo aprile, ma chissà che la Vueling non cancellasse pure quello). Combattuti fino all’ultimo, hanno preso la decisione quasi all’improvviso, dopo aver saputo che la compagnia di navigazione non chiude i battenti: l’avevano comunicato anche consolato e ambasciata. Le cabine a uso privato erano ancora libere. Basta pagare, e non sei costretto a mescolarti alla gente.
A quanto pare, è una questione di classe su tanti fronti. Per questo, a prescindere dagli aiuti spagnoli a chi deve restare in casa coi figli, e dalle misure che piano piano si adottano anche qua, traduco queste preoccupazioni del sindacato delle collaboratrici domestiche, Sindhogar Sindillar:
I padroni catalani, approfittando dell’epidemia del coronavirus, vogliono buttare per strada i lavoratori e le lavoratrici [suppongo si riferiscano a quelli indesiderati, che le leggi in materia di lavoro non permettevano di licenziare in uno schiocco].
Per le lavoratrici domestiche che sono in contatto diretto con le persone di cui si occupano non ci sono orientamenti chiari su come debbano proteggersi nella quotidianità.
Chi pagherà le lavoratrici domestiche, che guadagnano in base alle ore di lavoro svolte?
Che significa dover restare confinate in casa, quando condividi un appartamento con altre persone e con famiglie? [In alcune case, intere famiglie, perlopiù straniere, vivono in una stanza sola.]
Che succederà ai lavoratori che non potranno realizzare il telelavoro?
Per non concludere solo con delle domande, faccio presenti le richieste del Sindicat de Llogater(e)s, che riunisce molte persone che vivono in affitto. Fino a tre ore fa, scrivevano qualcosa che in Italia forse sarebbe accolto, con qualche eccezione, come irresponsabile: “i rischi economici e sociali del Coronavirus sono in questo momento più grandi del rischio sanitario”. Questo è il loro “pla de xoc” (sic):
Intervenire sulla totalità delle risorse sanitarie private e metterle al servizio dell’interesse generale.
Apertura dei reparti degli ospedali pubblici chiusi per i tagli alla sanità.
Moratoria del pagamento degli affitti.
Moratoria dei mutui.
Paralisi degli sfratti.
Copertura del 100% dei salari.
Copertura economica delle cure.
Interrompere tutti gli ERE [procedura di sospensione o licenziamento del personale].
Piano di supporto a chi lavora con partita IVA.
Programma per un’informazione corretta della popolazione.
L’idea è quella di proteggere sia la salute, che i diritti.
(Non voglio affatto mettere a paragone, ma… Adda passa’ ‘a nuttata.)