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magnaniRitorniamo un attimo al post “da salotto” sulla bellezza, perché volevo fare un esempio su ciò che intendessi, per amarsi per quello che si è ecc.

Come frase fatta lo so che è efficacissima, la questione è associarle gesti quotidiani.

Per me questo compito ingrato ce l’hanno avuto facebook e un ex, che ieri ho visto commentare il solito articolo dal risultato incerto sulle critiche agli standard di bellezza.

Ebbene, lui si dichiarava “colpevole” di apprezzare questo modello di donna tanto vituperato, bionda grissino faccia depressa. E a distanza d’anni e con la pace fatta, mi ritrovavo a contemplare la foto a cui si riferiva.

Irresistibile per il giovanotto che, invece, era riuscito senza troppi sforzi a resistere a me.

Ebbene, mi sono resa conto che, quando cercavo di farmi notare dall’uomo che si crucciava di apprezzare la foto, forse provavo pure a scimmiottare un po’ quel tipo. Quanto alle misure, l’inappetenza me la offriva gentilmente l’ex stesso, e anzi, chi avesse bisogno di vestiti taglia M si facesse un giro a Barcellona, che so’ anni che non so a chi rifilarli.

La questione altezza, già sapete, non ci si può fare molto, per i capelli vabbe’, si faceva quello che si poteva con le peggio mèches. E la tristezza veniva con la perdita di peso.

Riuscivo a essere questa della foto? No, al massimo ne ero diventata una specie di parodia invecchiata, ingrigita, un po’ bonsai quanto a stacco di coscia.

Mentre riconfermo l’epic fail e mi prendo a schiaffi da sola anche solo per averci provato, un amico mi allega in chat le foto di una serata insieme.

In una sto un po’ corrucciata, il trucco non perfetto ma espressivo, una mano messa naturalmente a reggere una testa in quel momento troppo occupata in pensieri vacui.

L’effetto? Grazioso, mi sembra. Decido di adottarla, quest’immagine, di adottarmi, in quel momento pensoso e un po’ sbavato, ma in fondo sereno.

Insomma, la imposto come foto profilo e piovono complimenti. Tanti. Commenti entusiasti, qualche paragone con bellone storiche di quelli che dici “magara!”.

Torno a guardarmi, ripensando alla modella della mattina. Non alla ventenne che spero sorrida da qualche parte coi soldi della foto, ma all’Eterno Femminino che volevano farle incarnare.

Non sono lei, né lo sarò mai. Né avrei voluto esserlo, a dirla tutta, se non fosse stato per piacere a colui che invece ne era rapito.

Nella foto, invece, sono proprio io.

E nella mia foto il bello è che non sarò mai nessun’altra, e nessun’altra sarà mai me.

Che tanto vale essere me stessa in quel modo, non incarnare mai nient’altro che me nella mia essenza, invece di prendere in prestito le essenze altrui.

I risultati possono essere sorprendenti. Perché di modelli di bellezza ce ne sono tanti, e cambiano con la storia, e tanti ne sono i portatori sani che si avvicendano sulle copertine, dandosi il cambio.

Invece quello che siamo succede una volta sola.

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spaghetti albertoneaccattone 004Lo scrivo da vegetariana, eh.

Ma se in frigo avete: pancetta, uova, pecorino q.b..

E in dispensa avete: rigatoni, aglio, olio, pepe nero.

… Cosa vi mangiate, a pranzo?

Sì, lo so, potreste farvi le uova strapazzate con pancetta, stile colazione inglese. Oppure la pasta aglio e olio.

Ma se avete tutti gli ingredienti per una carbonara, perché accontentarvi di questi surrogati?

Solo perché potete farlo? Ok, viva la libertà.

Ma se la vostra dispensa vi sta implorando in ginocchio di preparare proprio quel piatto, che vi riesce pure così bene, perché fare altro?

A me sembra che lo facciamo molto spesso, un po’ in tutto. Fare qualcosa molto al disotto delle nostre capacità. Al disotto di ciò che possiamo, in nome di ciò che crediamo di volere (che, guarda caso, coincide spesso con la decisione più pigra o meno esigente).

Io mo’ non sarò Dickens, ma volevo scrivere, e per molto tempo mi sono accontentata di descrivere appartamenti online per un’agenzia. La noia di commentare interni spesso tutti uguali veniva compensata dalla sfida di farlo in modo sempre diverso, e dalla quantità (quaranta descrizioni al giorno era la mia media).

E stavo bene. Mai stata meglio. Ma mi mancava qualcosa e non volevo vederlo, infatti, quando sono stata licenziata, la creatività che reprimevo mi ha travolta e trascinata con sé alla deriva, per un bel po’ di tempo. Finché non ne sono riemersa più consapevole della mia vocazione, e finalmente con una penna in mano.

Allora, guardandomi indietro, la sensazione è stata la stessa che avrei dopo essermi accontentata di una pasta scaldata (la specialità delle mie “amate” suore delle elementari) per la pigrizia di mettere a soffriggere roba sul fuoco: sfuggire al mio destino, in un certo senso. Prendere sottogamba le mie qualità. Una cosa è fallire come scrittrice, un’altra è non provarci proprio, accontentandomi di descrivere appartamenti.

Non è una questione di gerarchie, anzi. Una buona pasta aglio e olio vale la migliore delle carbonare, non dico di no (specie ora che non mangio carne). E c’erano persone, nell’agenzia degli appartamenti, che ci mettevano tutta la passione del mondo, perché quell’attività veniva incontro alle loro aspirazioni: non ci vedevano creatività frustrata, ma affari, la voglia di primeggiare nel loro campo, la passione per il mestiere. Per loro era questa, la storia, e questa la bellezza.

Dobbiamo cercare la nostra, di bellezza, la cosa migliore che riusciamo a fare e a essere, con gli ingredienti a disposizione.

Ne parleremo ancora, a stomaco pieno magari.