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L’unico personaggio “saldo” di questa storia (ah ah ah)

Vi avverto: sono arrabbiata e devo sfogare. Non amo scrivere per sfogarmi, perché a volte mi riesce bene e a volte no.

Ma siccome intravedo una sorta di lezione, in tutto questo, voglio illudermi che sia così e vi racconto un po’.

Dopo giorni di follia da trasloco, riparazioni varie, tasse impreviste, e altre cose che ho affrontato quasi sempre da sola, sono sbarcata in Italia per un concorso.

Ancora convinta di avere una vita normale, ho provato a organizzare a distanza l’incontro tra una tizia che voleva visitare casa nuova (che è divisa in tre appartamentini, ne affitto due) e Abdul, il tuttofare che, stavolta, doveva sistemarmi il frigorifero. In fondo, mi ripetevo, mica ci voleva il Nobel! Abdul assicurava che sarebbe stato lì alle 19.30, io avrei fornito il suo numero alla potenziale coinquilina, e le avrei dato appuntamento a quell’ora. Con due moniti:

  • l’appartamento libero era quello di fronte alla porta d’ingresso, al centro del corridoio, davanti alla finestra. NON quello a destra, già affittato a una coppia francese: Abdul li ha visti con i suoi occhi, ha perfino capito qualche parola della – brevissima – trattativa;
  • Abdul parla lo spagnolo di una talpa rumena e l’inglese di Clemente Mastella. Niente di male, se non fingesse di parlarli, rivelando l’equivoco solo a disastro avvenuto.

Insomma, cosa poteva andare storto?

Ebbene, ecco la sequenza completa:

  • Alle 19.15 ho ricevuto una foto da Abdul: era il frigo che avrebbe dovuto portarmi un quarto d’ora più tardi, già installato nell’appartamento a destra dell’ingresso. Quello dei francesi, quello da non mostrare. Adesso restava solo per fare un favore a me e alla tizia…
  • … che alle 19.35 mi chiedeva ancora se la mia strada fosse “Carrer Comtal” o “Rec Comtal”. Contate almeno un chilometro di distanza tra i due indirizzi, e capirete perché cominciavo a entrare nel panico.
  • Alle 19.40 la nostra eroina mi ha assicurato, laconica, che “era in cammino”.
  • 20.00: sì, in cammino per il bar Ciudad Condal, su Rambla de Catalunya, fenomeno che ci porta all’apertura di un nuovo X-File: che poteri paranormali ti servono per confonderti non tra due strade quasi omonime, ma tra una strada e un bar?
  • Alle 20.10 Abdul mi chiamava disperato sulla porta del palazzo. Io: “Scusa, questa è scema, viene tra 10 minuti”.
  • Alle 20.30 ho avuto la seguente conversazione telefonica con Abdul, che traduco dallo spagnolo:

A: “Frigorifero?”.

Io: “Cosa, Abdul?”.

A: “Frigorifero, questo… Frigorifero?”.

Io: “Sì, Abdul, ho già visto la foto del frigorifero, ti ho detto che va bene, grazie”.

A: “Ah. Ok… ok… Ok. Ok. Ok”. (Riattacca)

  • Alle 20.31, l’amico al mio fianco mi ha visto prima posare il cellulare, e poi capire di botto: Abdul voleva chiedermi se l’appartamento da mostrare fosse quello in cui aveva sistemato il frigorifero. Quello sulla destra. Quello che si erano già presi i francesi in sua presenza. Quello che avevo indicato ben due volte via chat alla tizia come off limits, da non visitare, da ignorare, niet, cacca, haram.
  • Indovinate quale appartamento ha visto, alla fine, la coinquilina mancata dell’anno.

Nel magnamme li gomiti per l’occasione perduta, con mio grande rammarico ho notato un dettaglio.

A fare le cose devo pensarci io.

E sapete perché? Perché, nonostante il tempo passato a lavorarci su, e i soldi spesi, e le lezioni imparate e digerite, non riesco a circondarmi di gente che si accolli un po’ me, e non viceversa.

Mi sono resa conto infatti che qualunque persona di fiducia avessi mandato a incontrare questa tizia, ci sarebbe anche andata, e con piacere, ma ci sarebbero state buone probabilità che:

  • ci litigasse di brutto, per una stronzata;
  • le scoppiasse a piangere davanti e le raccontasse tutta la sua vita;
  • mi rinfacciasse a vita quest’unico momento di generosità nei miei confronti;
  • cominciasse a parlare in klingon, o elfico;
  • confondesse la Rambla con la Rambla de Catalunya, dopo 15 anni di permanenza in città;
  • sbagliasse città.

O facesse tutte queste cose insieme. E non per cattiva volontà, ma per l’incapacità, temporanea o permanente, di capire il da farsi.

Vi succede lo stesso?  Rendetevene conto adesso, prima che sia troppo tardi. Non c’è niente di più faticoso che voler essere il sostegno di tutti senza potervi aggrappare a nessuno.

Vi ritrovate come me ieri sera: intenti a dire parolacce davanti a un aperitivo preso in ritardo, in presenza di un amico che, tanto per cambiare, non sa come aiutarvi, quindi vi dice che è solo un brutto periodo, che vi passerà, che vi vuole bene.

E lo so, che è l’unica cosa da fare in un caso come questo.

Spero solo che, al contrario di me, non ci mettiate una vita a capire che non basta.

Aggiornamento: dopo aver concluso insieme a me che “non era destino”, la tizia si è ricordata che l’altro coinquilino sicuro si era offerto via WhatsApp di mostrarle la casa alle 10 di oggi: ebbene, dopo 20 ore d’attesa ha risposto di sì. Alle 6 del mattino. “Mi spiace, un incendio improvviso ha distrutto tutta la casa. Compreso l’appartamento del frigorifero”.

Doverosa precisazione: Abdul è stato fin troppo generoso, ad aspettare tanto, e addirittura a fare gli onori di casa. Lui è di quelli che, al di là del rapporto di lavoro, aiutano molto e volentieri. Peccato che abbia la stessa idea creativa del tempo del mio ex, suo “quasi-compaesano”, che lasciai perché per mesi non mi aveva mai chiamato/visitato/aiutato all’orario promesso. Infatti sono amici.

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Odio postare nomi reali, ma la tipa coreana che mi vendeva casa si chiamava Jin Young Moon: indovinate cos’è diventata in bocca al notaio, il giorno della firma.

Che poi era una notaia, e ha fatto pure una pausa comica quando ha letto che di mestiere facessi la scrittrice. Un omaggio scherzoso dell’amico avvocato che ha fornito i miei dati.

Uscendo da lì con le chiavi in borsa, ho scritto al mio coinquilino preferito (l’unico): “Comprato”.

Poi mi sono girata due banche, una sbagliata e una no, per estinguere un mutuo. E già che c’ero ho fatto una capatina a… casa nuova.

Si erano portati il frigorifero.

Avevamo litigato in due puntate, e si erano portati il frigorifero.

Il maltolto è poi stato riportato che ero già arrivata a casa vecchia, altra corsa per tornare indietro.

Ho finito di trottare alle cinque del pomeriggio, e sono morta sul divano di casa vecchia: certe cose ho scoperto che o si fanno in coppia, o in famiglia. Io, si diceva, mi sono ritrovata per la seconda volta a farle da sola, circondata da gente che non le capiva.

Infatti sono andata in bagno e ho scoperto che mancava il dentifricio.

“Ma non avevi fatto la spesa?” ho buttato una voce in corridoio.

“Mi hai scritto che l’avevi comprato” è stata la risposta.

“L’appartamento, non il dentifricio”.

Ieri mi sono alzata dal letto con la voglia di essere a casa nuova.

I cambiamenti radicali spaventano, specie se “scappi” da una vita accogliente, di quel tranquillo che se non stai attenta si fa stagnante. La mia bella vita stagnante mi manteneva serena tra i suoi libri di testo e i tè costosi, e le porte chiuse, che ad aprirle sapevo già, più o meno, cosa trovarci.

Ma poi è un momento. Natalie Portman, nel – pretenziosetto – Closer, dice che c’è sempre un momento in cui puoi resistere, prima di entrare nella deriva che ti porterà al tradimento. Oppure cedi.

Succede anche con la vita in generale.

E ieri mattina, alzandomi dal letto, ho sentito il momento: la nostalgia impossibile del soggiorno che non ho ancora vissuto, delle presentazioni del libro ancora da fare, delle nuove città che non ho mai visitato.

Solo allora mi sono detta:

“Quando cominciamo?”.