Archivio degli articoli con tag: fuggire

The_Quiet_Man_John_Wayne_Maureen-OHaraSi parlava di tutte quelle cose che ci fanno sentire al riparo dal mondo, con l’effetto collaterale di non farci vivere.

Sei al riparo, ovviamente, se costeggi la vita. Nessuno ti fa male, ma a che prezzo.

Alla fine non te ne accorgi subito, in fondo hai i polmoni per respirare e un piatto a tavola, ti dici di amare le cose semplici.

Ma c’è sempre quel prurito, l’insoddisfazione di chi sa o sente di volere qualcosa, e non prova nemmeno a ottenerlo. Per la constatazione lapalissiana che quasi tutto quello che vogliamo non dipende solo da noi, quindi c’è il rischio di sbattersi tanto e restare con un pugno di mosche.

Per evitare questo rischio, appaltiamo l’intera vita alla paura di muoverci.

Scegliendo di ripararci da noi stessi, dai nostri desideri.

Perché? Per paura di essere incapaci di realizzarli.

O almeno è quello che capita a me. Ripensando a passate relazioni, mi sono resa conto che partivo da un “problema” reale: come voi, immagino, detesto molte cose di un rapporto di coppia consolidato. Nel mio caso, però, è una cosa quasi patologica, con le sue bravie ragioni geografico-sociali che vi risparmio e che in fondo non vanno considerate se non nel modo in cui le ho vissute io. E le ho prese molto male. La comprensibile riluttanza ad avere a che fare coi suoceri, nel mio caso diventa maniacale. Vacanze insieme? Meglio la morte. Devo essere gentile con qualche cognata che odio? Eh? Non mi ci fate sedere allo stesso tavolo, neanche a Natale. E poi tutto questo dover pensare per due, i fidanzati partenopei che mi chiedevano “Ma questa gonna te la metti anche quando non ci sono?”, i pakistani “Che ci fa questa birra nel tuo frigo?”.

Allora, per mettermi “al riparo” da questo, mi inventavo storie alternative. Erano molto romantiche e molto drammatiche, a mio giudizio, e in fondo neanche me ne accorgevo. L’idea era trovarmi qualcuno che fosse distante anni luce dal modello convenzionale di virilità, meglio se avesse proprio problemi a rapportarsi con quello, e unire le nostre paure in una tipica storia da “nonostante tutto”. Nonostante tutto, saremmo restati insieme. Nonostante tutto, le coppie “convenzionali” si sarebbero sgretolate alla fine del loro amore così noioso, innamoramento – consolidamento – noia – rottura. No, noi no. Noi saremmo rimasti lì, a sopportarci per l’eternità.

Ignoravo spesso e volentieri che tanti uomini che hanno problemi coi modelli di virilità, in fondo in fondo vorrebbero imitarli, ma, come me mutatis mutandis, non credono di poterlo fare. Sotto i loro problemi esistenziali si nasconde a volte il più convenzionale degli uomini, che semplicemente è incapace di essere se stesso.

Io stessa, semplicemente, avevo paura. Paura che al momento di flirtare con qualcuno in un bar, uscirci insieme, vedere se ingranava, conoscere i suoi ecc. ecc., a prescindere da se lo volessi o meno, non fossi capace di farlo. Semplicemente, mi mancava qualcosa. Non ero abbastanza bella secondo gli standard, o abbastanza normale, o abbastanza serena.

E quindi eccomi in un angolo con le mie storie assurde, e gli amici a chiedere ma come fai a sopportarlo e io a fare l’eroina romantica, salvo stancarmi se la storia rischiava di diventare troppo convenzionale.

Sono stata quella degli amori eterni ed eternamente platonici, delle imprese disperate, degli anni persi a rincorrere la sostanziale indifferenza di chi aveva più paura di me.

Finché non ho capito il trucco: ripararsi è come la tagliola della gatta delle favole, che comincia a leccarla tutta contenta finché non si accorge che quello che stava ingurgitando con tanta soddisfazione era ormai il suo stesso sangue.

E che mi fa più paura che qualcuno che trovi interessante mi sorrida e s’interessi a me, che continuare in un’impresa disperata, alla ricerca della mano dal cielo che avveri il mio desiderio di essere infelici in due.

Quindi, quando ci sentiamo messi alle strette, chiediamoci quanto ci sia di indipendente dalla nostra volontà, e quanto dipenda invece dalla nostra ostinazione a non metterci in gioco, alla falsa percezione di minaccia che ci fa accantonare ogni speranza di ottenere ciò che vogliamo. Di essere, ciò che vogliamo.

Purtroppo, per attraversare questo genere di mare, spesso aspettiamo di fare naufragio.

Ne parleremo ancora un po’.

Pubblicità

scream4maskknifesetChe bella figura ci facciamo, a essere vittime del destino. Vero?

La dea bendata è cieca, la sfiga ci vede benissimo, e noi vediamo a intermittenza, guarda caso quando ci conviene.

Ok, parlo per me.

Che la posizione di vittima l’ho coltivata per anni.

Quant’è nobile la figura di chi si sbatte per tutti, con gli amici, al lavoro, in coppia.

Quante perfette padrone di casa conoscete che si lamentano della scarsa collaborazione dei loro mariti? La distribuzione dei ruoli nella società è una delle tematiche che mi stanno più care, però da femminista mi chiedo: quante osano chiedere, pretendere la collaborazione maschile? Ai pranzi di Natale, dalle mie parti, ho visto spesso tutte in cucina e tutti davanti alla tele, cacciati dalla cucina se (raramente) si arrischiano a offrire aiuto. Magari con la sola padrona di casa, a meno che le ospiti non siano figlie sue, a cucinare per 20.

Ci piace, secondo me, dimostrarci di essere le sante che sopportano per tutti. Vale anche per gli uomini. E mi chiedo, se lo facciamo soprattutto per sentirci approvati, quanto ci sia di altruismo, in questo.

Ma non è l’esempio più scontato.

Quant’è bello fare la figura di chi soffre per amore, no? Di chi ha iniziato una relazione ambigua, caotica, della serie massimo risultato con minimo sforzo, ma poi si è innamorato, guarda caso non corrisposto. Ci restituisce al più classico dei copioni romantici in quella che era iniziata come la più prosaica delle scopamicizie. Che sono belle e divertenti finché tutti e due (tutti e tre, tutti e quattro…) vogliono esattamente quello. Se no, inutile domandarsi perché a un certo punto, a equivoco chiarito e non-storia dissolta, l’amato bene abbia difficoltà a rapportarsi con noi anche se cerchiamo almeno di salvare l’amicizia, o le apparenze. E ti credo, in che posizione l’abbiamo messo? Il cinico impassibile che di fronte a tanto amore, ricevuto da una personcina così speciale, proprio non risponde ai palpiti? Come se dipendesse da lui, vedi articolo corrispondente, come se non fosse cominciata in condizioni simili, come se la “voglia di sbattersi zero” (cit.) non fosse stata, inizialmente, reciproca.

E quando noi siamo dall’altra parte? Ma no, noi non siamo mai i cinici che non corrispondono. Noi siamo chiari fin dall’inizio, la dichiarazione d’intenti stile “È un momento terribile della mia vita, non posso darti certezze” è il nostro scudo per declinare ogni responsabilità. Gliel’avevamo detto. E allora perché i “te l’avevo detto” altrui non ci vanno bene?

Perché è solo paura, mi permetto d’ipotizzare ora che vengo invitata a uscire da qualcuno e mi dico “No, devo prima superare la precedente delusione”, e comunque c’è questa o quella cosa che non mi convince, nonostante sia bello, intelligente e sensibile. E mi congratulo con me stessa per “fiutare” finalmente, dall’inizio, le cose che non mi convincono, ma mi chiedo anche perché le abbia accettate, e magari le accetterei ancora, in chi invece ne aveva a josa.

E allora formulo l’ipotesi: è solo paura. Sfuggiamo alle nostre responsabilità nelle cose, al rischio di non ottenere quello che vogliamo, e allora ci chiudiamo da soli in un angolo e decidiamo di accontentarci. È un patto col diavolo per non affrontarle, le nostre paure.

Ma avete notato, come me (e Giorgio Nardone, e un’infinità di altri autori), che a evitare di affrontare le paure finiamo per incappare proprio in quello che temiamo?

Penso a una polemica a me molto vicina, tra italiani all’estero e in patria, sulla partenza dall’Italia come fuga. “Bisogna restare per cambiare le cose”. A me sembra che ci sia gente che parta per paura e gente che per paura resti. Finendo scontenta in tutti i casi. Preferisco quelli che scelgono di partire o di restare per coraggio. Il coraggio di fare ciò che vogliono. Non sto dicendo neanche di perdere i pochi soldi che avete in astrusi investimenti, magari all’estero. Solo che lasciare la via vecchia per la nuova, spesso significa passare da un fallimento che non ci siamo scelti a uno che almeno proveremo a evitare. Ed è la peggiore delle ipotesi, eh. Figuriamoci le altre!

Ho più esperienza, come si sarà notato, per dire che a evitare le delusioni d’amore si incappa proprio in quelle. Perché ci ficcano in quelle proprio le misure che prendiamo per evitarle, come fughe strategiche da relazioni “troppo dense”, o relazioni “libere” quando vogliamo un altro tipo di storia (se no oh, ribadisco, dove c’è gusto non c’è perdenza).

Quindi, mi sento di argomentare, ammantarci di vittimismo è un alibi che per il dolore che comporta ci evita anche di vederlo come tale (le scorciatoie non erano tutte comode?). Ma è un “manto” che dopo un po’ fa sentire freddo e fa anche perdere tempo.

E per tempo perso intendo tempo non impiegato a fare cose ce ci piacciano o ci “riempiano”, come si dice in spagnolo.

Allora, man mano che smetto di far cose solo per sfuggire alle mie paure o per avere l’approvazione altrui, mi sto rendendo conto che: 1) le cose che voglio, nei limiti del possibile, le ottengo; 2) divento altruista per davvero, e mai come quando divento altruista per davvero penso al mio proprio bene.

Ma di questo, se vi va, ragioneremo (magari insieme) nel prossimo articolo.