Archivio degli articoli con tag: idealizzare

Risultati immagini per vacanze di natale 2000 vanzinaSituazione 1. “Vuoi dire che la gente è idiota?” il collega mi guarda con un misto di sorpresa e compassione. Ovvio, rispondo. Siamo in ufficio, a Barcellona, non ricordo neanche più l’argomento della conversazione. So per certo che lui conclude:

“Sta’ attenta, perché chi crede che la gente sia idiota dimostra di essere idiota lui”.

Sono passati molti anni e ci ho pensato tanto, e per quanto sia dura devo giungere all’irrimediabile conclusione: sono idiota io.

Situazione 2. In quest’articolo su Repubblica, una famiglia italiana racconta di quando ha accolto l’invito ad “accoglierli in casa sua”, decidendo di ospitare un profugo. Loro erano entusiasti, il tipo invece era schivo e preso dal suo lavoro (ovvero, il mio coinquilino ideale!). La famiglia ammette che, quante più aspettative ti fai, peggiore risulta l’esperienza. Toh, come per tutto.

Situazione 3. Alla fine è successo: questa fantastica associazione che distribuisce oltre 200 pasti a sera fuori l’Estació del Nord di Barcellona ridurrà i giorni di volontariato, per tensioni con gli assistiti. Se ricordo bene, c’entravano qualcosa questi ragazzi che sniffano colla. In ogni caso, ricordo che una volontaria, in un’associazione simile, aveva smesso di collaborare dichiarandosi scontenta perché “Nessuno le diceva grazie”.

Questi tre episodi, per me, hanno un minimo comune denominatore: il sacrosanto diritto a essere idioti. Aggressivi mai, eh, solidarietà con l’associazione. Idioti sì. O anche solo timidi, o egoisti. Credo sia giusto rivendicarlo, in tempi in cui qualche benintenzionato chiede “Hai mai abbracciato uno zingaro?”. Perché qua non si tratta di andare in giro ad abbracciare le persone, ma di riconoscere i loro diritti anche se sono perfette sconosciute, e non ci faranno sentire eroi per il solo fatto di “trattarle bene”, che dovrebbe essere la norma.

Questo vale per tutti, che siano rifugiati, senzatetto o fan dei Vanzina , della cui cinematografia ricordo con piacere (a parte le improvvisazioni del Dogui che brillava di suo comunque) solo Massimo Boldi, in tenuta simil-bavarese, che dichiara: “Sembro Ludwig von Pirlen!”. Ahahah. Oh, ve l’ho detto, che sono idiota.

E ci ho passato un compleanno, con l’associazione del punto 3: ero maldestra nel tagliare la mia torta, e una tipa si era lamentata in modo poco gentile della sua razione. Allora gliel’avevo sostituita con fare piuttosto brusco, scatenando l’eterno dibattito col mio ragazzo: se uno mi tratta male può essere un senzatetto o il sultano dei Brunei, ma ‘o faccio chiagnere senza mazzate (cit. Mariarca). Per lui il senzatetto ha più di un’attenuante, rispetto al sopracitato sultano.

Per me invece abbiamo tutti una grande attenuante: se “idioti” non vi piace, dirò con Benni che siamo Comici, spaventati guerrieri. Che non si tratta di idealizzare la gente, o verrà sempre qualcuno a dirci che veniamo dalla montagna del sapone, ma di riconoscerle lo stesso nostro diritto a essere umana, fragile, o perfino idiota, se occorre.

Ne riparleremo.

 

Pubblicità

baciamano  Mia nonna una volta mi raccontò di un suo corteggiatore, come si diceva all’epoca. Era un ferroviere semianalfabeta, la trovava una specie di portento perché lei, invece, era maestra, parlava italiano ed era una signorina beneducata. Quando lei lo respinse per incompatibilità, lui ci rimase proprio male male, nonostante si fossero parlati giusto un paio di volte. Al che sbottai:

– E grazie al cavolo, che avevate quelle belle storie d’ammore, ai tempi tuoi. Vi conoscevate appena!

Ok, cinismo a go-go. Ma dovete sapete che, quando vivevo in calle Joaquín Costa, nel Raval(istan), solo 5 anni fa, ero una specie di sensazione tra gli amici del mio ragazzo di allora, un giocatore di pallavolo pakistano riciclatosi fruttivendolo.

Di me si dicevano soprattutto tre lettere: “PhD”. Cioè, dalle loro parti un dottorato è una cosa seria, roba che ti guardano come se fossi Cristo in terra… Forse ho sbagliato esempio, ma insomma, colleghi frustrati, tutti in Pakistan! Fatto sta che la natura della nostra storia, con l’atleta-fruttaiuolo, si prestava un po’ a una situazione di scarsa comunicazione, visto che non potevamo dialogare fluentemente in nessuna lingua comune e l’urdu, diciamocelo, non è proprio una passeggiata (però so dire ancora “Ti amo” e “lenticchie”). Quindi, quando lui, gran bel giovane, mi guardava come un calderone di basmati con quelle due tonnellate di curry che ci metteva dentro, mi chiedevo ogni tanto: “Starà guardando me o il PhD?”.

Lo sanno anche i bambini (anzi, soprattutto loro) che la questione è: essere amati perché siamo noi. Abbiamo accennato più volte alle persone che ci disprezzano e trattano male senza un motivo apparente, o come reazione sproporzionata a nostre reali mancanze.

Ma anche se l’altro non vede che i nostri pregi, una domanda facciamocela: magari sono davvero uno schianto, con le occhiaie premestruali, e certamente sono bellissima quando mi arrabbio e mi si gonfia la vena sulla tempia… Ma gli piaccio proprio io, o gli rappresento una specie di ideale che prima o poi vedrà incarnato in qualcun altro?

Sono domande da farsi, perché ok, come “equivoco” è meglio questo di quando qualsiasi cosa facessimo non andasse bene, ma i pregiudizi fanno male anche quando sembrano andare a nostro vantaggio.

E allora, una volta accettato che sono questioni sue e solo sue, come ci veda questa o quella persona, pensiamo a noi. Pensiamo a scoprire in noi stessi ciò che ammiriamo o disprezziamo negli altri, ricordando che non gradire qualcosa è umano e comprensibile, odiarla deve avere qualcosa a che vedere con problemi nostri.

Una volta che avremo risolto questo, in noi, saremo anche più propensi ad avvicinarci a persone che non abbiano bisogno di cercare in noi quello che vogliono o respingono di sé. Persone che sono pronte a iniziare la nostra interazione con una domanda:

– E tu, chi sei?

E, senza sognare minimamente di avere in tasca la risposta, si dispongono ad ascoltare.