Finalmente l’ho ascoltata! No, Adele non pervenuta, ancora, ma da una serie d’indizi intuivo che la canzone All about that bass, giuntami alle orecchie solo nella versione jazzata, fosse in realtà un successo pop. Che vuol essere incoraggiante verso quelle persone considerate sovrappeso, infatti la bellona di turno con taglia sotto la 40 viene ironicamente malmenata dalla protagonista.
Ok, si ride e si balla, ma già ho espresso la mia perplessità su quelle campagne che tendono a fare l’elogio di tutto quanto vada contro gli standard di bellezza correnti, finendo a mio avviso per confermarli alla grande.
Io in effetti mi riscopro un’eroina involontaria secondo i siti italiani che esercitano volenti o nolenti pressione estetica (concetto chiarissimo in spagnolo, ma se lo cerchi in italiano ti escono le le leggi della meccanica dei fluidi). Rispetto a certe amiche italiane che si sentono trasgressive per i capelli corti, io ho il caschetto da sei mesi e manco ho cambiato la foto profilo su facebook. Poi mi faccio la ceretta solo quando voglio (trovo i peli brutti sia sugli uomini che sulle donne) e vado senza reggiseno perché francamente mi soffoca senza servirmi a niente. So fare lo smokey eyes, magari un po’ sbavato, così come esco spesso struccata. A volte mi vesto troppo elegante per andare in pizzeria e troppo informale per il teatro. Non lo scrivo perché convochiate d’ufficio il Grande Capo Estiqaatsi, il punto è: ci rendiamo conto? In Italia una potrebbe passare per coraggiosa solo perché fa come le pare.
In realtà non mi piacciono, le smagliature che ho sui fianchi. Sono bella “anche” così? Spero di sì, ma da qua a cercare d’imporle come modello di bellezza, come si prova a fare con le ossa in vista sui giornali di moda, ce ne corre.
È vero, però, che queste cosiddette imperfezioni raccontano una storia. Quella di quando sono dimagrita di colpo a 30 anni passati, per la seconda volta in un anno, ma in una botta sola. Diciamo che ho reagito alla stessa cosa in maniera opposta ad Adele, e facendomi un punto d’onore di non telefonare. Mangiavo metà di quello che spazzolo ora al take-away cinese. Di tortilla, ne prendevo una fettina con un pezzo di pane e avevo finito il pranzo. Avevo un panettone al cioccolato vicino al comodino che pugnalavo con un coltello al risveglio, per estrarne solo le parti con la crema. E questo a volte era anche la cena.
Non vi dico, tornata a casa a Natale, le scene da panico. Analisi su analisi. Il problema dei medici, nella mia esperienza, è che non si rassegnano al fatto che certe cose siano solo psicologiche. Stavo una merda e non volevo mangiare. Amen.
Infatti, ho ripreso ad abbuffarmi quando sono stata meglio. Ho ricominciato prima a consumare pasti regolari. Poi ho avuto abbastanza forze da tornare in palestra. Ma intanto che ricominciassi? Bum, perdita di tono.
E io a inseguire la mia vita, più che la caduta libera dei fianchi, a trovarle un equilibrio, un senso, a correggere quello che mi aveva fatto precipitare, nell’unica maniera possibile: raccoglierlo da terra insieme al mio culetto ossuto e portarlo con me, camminarci insieme come un amuleto, come diventa un amuleto una vecchia cicatrice.
E adesso, a due anni di distanza, sono disperata: mi va tutto strettissimo! I vestiti che ho preso in quell’epoca maledetta. Va bene la genialità di comprarsi l’unico paio di jeans nel picco della magrezza, ma il resto? Io che salto per chiudermi cerniere, mi siedo e mi si arriccia tutto sulla panzella (che mi aridiventa tonica, eh, ho cambiato palestra!).
Che è successo, da allora? Che sono contenta. Serena. Felice? Uhm. Contenta. Serena.
E quando mi metto il pigiama davanti allo specchio gigante, ereditato in questa nuova casa di questa nuova vita, le mie smagliature mi ricordano di quando contenta e serena non ero affatto.
E non mi piacciono.
Diciamo che restano lì come promemoria.
La mia serenità ama andare comoda e per me va bene così.
Che vi sia comoda anche la vostra, in qualunque formato vi arrivi.