
Entrano tutti e otto.
Prima abbiamo visto dalla vetrata le camionette, due, parcheggiate fuori al bar: in effetti, lì in Plaça Urquinaona, ci sono sempre disordini durante le ricorrenze politiche.
“Si preparano” ha sdrammatizzato l’amica che sta pranzando con me nel bar.
Poi gli agenti si sono soffermati a lungo fuori al locale, e adesso entrano tutti e otto: sette uomini nerboruti e marziali, e una donna che s’impone in un modo diverso, senza il bisogno di sembrare un carro armato.
Noi che eravamo già dentro il locale pensiamo subito che vogliano invitarci a uscire, per qualche motivo di sicurezza: anzi, la nostra è un’ipotesi di lusso, data la ricorrenza. Poi il più anziano degli agenti rompe il silenzio:
“Si può avere un caffè?”
Leggo l’evidente sollievo delle bariste, e percepisco pure il mio.
No, perché vi giuro che è stata un’entrata che Rambo scansati, e proprio adesso che l’amica e io stiamo parlando di un personaggio mitologico, metà steroide e metà messaggio WhatsApp visualizzato senza rispondere. Ebbene sì, mi riferisco al duro che piace, all’uomo che non deve chiedere mai. (“Il bello e dannato” sarebbe una definizione troppo hipster, specie se consideriamo il contenuto dell’omonimo film; ma possiamo immaginarcelo comunque in una versione più bellicosa, con meno capelli e più addominali.)
Prima che entrassero gli agenti, l’amica e io discutevamo della propensione che avevamo in passato a sceglierci tipi molto “convinti”, o almeno storie che promettessero montagne russe. Le due cose, che ve lo dico a fare, vanno insieme. Tant’è vero che, quando ti ritrovi accanto un tizio gentile e premuroso, a volte non senti di provare “i sentimenti giusti”: quelli che secondo l’amore romantico sarebbero gli unici possibili.
Niente di nuovo sotto il sole: avete letto Donne che amano troppo, di Robin Norwood? Uno dei sintomi che l’autrice indica per definire una donna che ama troppo (cioè, che ama a detrimento di sé stessa) è la tendenza a trovare noiosi gli uomini che si interessano a lei, che promettono affetto e un certo impegno nella relazione. Alcune, per traumi regressi e mancanza di autostima, funzionerebbero solo con le montagne russe.
E questo è quello che ho creduto finora. Aggiungo come postilla che a me è capitato di trovare uomini persi in amori impossibili, dunque incapaci a loro dire di cominciare una storia tranquilla con me: e se uno considera ME una tizia sana di mente che prometta una storia tranquilla, immaginatevi come sta messo nella sua vita.
Adesso, però, con la mia faccia sotto i piedi di Robin Norwood, permettetemi di dissentire su una sua teoria: quella per cui le alternative al tipo tossico (come il nice guy, o tipo gentile) avrebbero l’unico problema di risultare noiose. E invece no, c’è dell’altro.
Sul bello e dannato ho scritto molti post, di cui non sempre vado fiera: resta il fatto che per me è un mediocre che non ce l’ha fatta. Cioè, sta talmente a problemi che non riesce neanche a comportarsi come l’uomo medio che è. Incarta la sua mediocrità in pose da uomo “che non deve chiedere mai”, come in una pubblicità degli anni ’80, ma, scava scava, quello trovi.
Sì, ma dall’altra parte cosa c’è? Cara Norwood, lo hai visto il tipo gentile? Quello affettuoso, che promette impegno… La questione è: l’impegno di chi? Perché la gentilezza e disponibilità del tipo cambia spesso con il tempo, e fin qui…, ma quell’ombra di protettività che all’inizio è tanto caruccia può diventare possessività. La sollecitudine con cui lei si alza a sparecchiare dopo che lui ha cucinato il risottino pentastellato (peccato sia più difficile vederlo preparare una frittatina per pranzo) può diventare la regola fissa di distribuzione delle faccende in casa: tu fai il Cannavacciuolo della situazione una o due volte al mese, e io sparecchio sempre.
In questo quadro, il duro che piace non è poi tanto peggio, anzi è una piccola boccata d’aria: porta sempre con sé le stesse stronzate, ma per un po’ è divertente. Per un po’ c’è la sfida, la seduzione, l’altalena emotiva… No, non sono impazzita: proprio perché credo che queste cose siano benefiche come una peperonata alle due di notte, trovo sia importante individuarne il fascino, per decostruirlo. Poi arriva la parte orrenda in cui ci devono raccogliere col cucchiaino, ma a quella ho dedicato vari post a cui vi rimando.
Insomma, la mia nuova teoria è: se a certe donne “piace macho” (come cantano le due divine che posto qui sotto) è perché l’alternativa non è poi tanto meglio. Spesso dall’altra parte trovano il tipo che si crede in diritto di avanzare pretese “perché è gentile”. Oppure è premuroso i primi tempi e poi si lascia accudire. Oppure è proprio perfetto, eh, il compagno ideale, ma a quel punto ci penserà il mondo del lavoro coi suoi soffitti di cristallo, i pavimenti appiccicosi, il lavoro di cura non retribuito, a schiacciare l’assennata di turno che “si è scelta bene il partner”. Già, perché sapete qual è il colmo del tipo gentile, del “nice guy” che si lamenta di non essere preso in considerazione?
Che prima di tutto se le inventa lui, queste donne che non fanno altro che mettersi con gente sbagliata (spoiler: quello giusto è lui). Perché non sono affatto la maggioranza, quello è un mito che il tipo di turno usa per giustificare la propria insicurezza nel vedersi respinto: lo dice una che per un po’, in circostanze affini anche se non analoghe, si è detta che gli uomini preferivano donne più rassicuranti di lei, e la verità è che non possiamo piacere a tutti.
Poi i tipi gentili si inventano un altro mito: sono loro a finire dietro a donne disturbate! Donne che, per capirci, hanno qualche problema che le spinge ad “attrarre” persone sbagliate. Il tipo gentile, ovviamente, può guarirle. Anche qui, però, si sbaglia: le persone distruttive provano ad attaccarsi un po’ a chiunque, non è questione di attirarsele. Semmai ci si può chiedere perché certa gente le rispedisce al mittente e altra no. A quel punto sì che ci sarebbe da fare un lavoro: ma con qualche terapeuta, semmai, non con uno che sembra taaanto interessato a guarirti a modo suo.
Infine, il tipo gentile può essere un campione in trasformismo: a volte si cala la maschera e… tataaan, ecco il duro che ci va giù di gelatina. Il trasformismo dipende dalla tizia. Ho conosciuto un tipo che era molto interessato a salvare delle bellezze molto nordiche dalle loro insicurezze, e mi diceva in faccia che, purtroppo, nella vita reale doveva accontentarsi di… quelle come me. Almeno aveva smesso di provare attrazione solo per quelle fighe. D’altronde, un altro tizio che per fortuna ho solo visto cinque minuti in vita mia mi ha insegnato che “con le donne è bello solo quando è una sfida”. Dunque sì, c’è il caso Dr. Jekyll e Mr Hyde: il tizio che fa il duro con alcune e l’agnellino con altre, a seconda del capitale erotico delle fortunelle.
E allora scusate, ma se queste sono le alternative non mi sembra che ci sia una scelta tanto più saggia dell’altra. Ovvio poi che il duro vada mandato affanculo per principio, e tra mille pernacchie. Poi, se proprio ci teniamo, ci prepariamo a taaanto dialogo con uno disponibile, sulle nostre reali aspettative e necessità: sperando che la disponibilità sia genuina e non interessata, e limitata ai primi tempi della relazione.
Oppure ho un’idea ancora migliore: che si smetta di insegnare fin dall’infanzia che accompagnarsi a qualcuno sia l’unico modo di vivere, o il migliore per l’umanità. Così stare insieme diventa un obbligo e non una scelta.
Ma su questo torneremo presto.