Archivio degli articoli con tag: Nit de Sant Joan

skinner Gente, sono ancora reduce dalla fiesta loca della Notte di San Giovanni: pensate che alle undici e un quarto ero già sulla strada di casa, con in mano un doppio cartoccio di Maoz!

Ma prima ho ballato due ore come una scema davanti al palco della festa del Gotico. Quindi, ancora un po’ rincoglionita, approfitterò del meme qui sopra, che mi ha inviato l’autore di questo blog, per aggiornarvi su uno dei miei cavalli di battaglia: le cose che succedono quando nella vita non abbiamo abbastanza informazioni (cioè, sempre).

Ecco tre aneddoti freschi freschi.

  • Dieci di sera, tizio che urla al telefono mentre cammina verso l’uscita della metro. Lo scansiamo tutti, ripete cose come “Non venirmi più a cercare, io faccio un macello…”. Poco dopo aver riattaccato, l’arrabbiato travolge un’ignara passante, e poi se la prende con lei per l’impatto. Cornuta e mazziata, l’altra si gira con le mani aperte al cielo, come a chiedersi: “Cosa mi è appena successo?”. Io che so della telefonata “agitata” potrei spiegarle almeno in parte l’accaduto. Anche a me però mancano informazioni: salvo rincontrarlo, e spero di no, non saprò mai se quello stia sempre così scoppiato di suo. La passante, invece, decide di saperne abbastanza del tizio da non fargli troppo caso, e prosegue per la sua strada.
  • Presentazione del mio romanzo a Barcellona: viene un conoscente che non parla italiano, compra il libro e se ne va. Penso al generoso appoggio di un mezzo sconosciuto. Sei mesi dopo: il tizio è fidanzato ufficialmente con un’amica che doveva venire alla presentazione, ma aveva dovuto declinare all’ultimo momento. Questo è un classico esempio di “mancanza d’informazioni” incrociata: io non sapevo che il tipo cominciasse a frequentare la mia amica, lui non sapeva che alla fine non sarebbe venuta. Ci ho guadagnato una copia venduta, quindi grazie comunque.
  • Questa avrei voluto filmarla. Cena di gruppo, sabato scorso: sono attorniata da ben tre uomini con la camicia buona, e l’evidente proposito di rimorchiare. Mentre parlo con quello che siede accanto a me, alle sue spalle si profila una donna stupenda: “occhi da orientale” e capelli nerissimi, che le arrivano fino alle gambe esaltate da un bermudino. Il mio interlocutore si gira un istante, poi in una scena quasi comica torna a girarsi. Penso a un comprensibile colpo di fulmine – non è un caso che a mia volta stia parlando con lui, che è il più carino… Solo che, qualche minuto dopo, il tipo si “trasferisce” lunghi istanti al tavolo della donna e del suo accompagnatore: conosceva già uno dei due. Magari proprio lei: il più anziano dei suoi amici gli raccomanda di riferirle che il fortunato compagno sembra “noioso”. Quando chiedo al meno pettegolo dei tre commensali da dove provenga cotanta bellezza, quello sospira e risponde: “Che importa?”, ricordandomi il curioso concetto di “troppo bella per me”, che lascia le donne etero col dubbio (“Gli piaccio perché mi trova interessante, o mi ritiene abbastanza cessa per andare con lui?”). Alla fine i damerini si uniscono alla bella e al suo uomo e, il tempo di pagare il conto, spariscono senza salutare. A quel punto ancora non ho capito le dinamiche dell’incontro, ma ho abbastanza informazioni da non rimpiangere troppo la compagnia.

Ieri, prima di ballare due ore come una scema, ho conosciuto un’aspirante coach (ma voi dite sempre counsellor) che mi ha parlato di un gioco che fanno alla formazione: disposti in due cerchi concentrici, i candidati devono osservarsi faccia a faccia e, a rotazione, rivelare all’altra persona le loro impressioni, basate solo su aspetto fisico, abbigliamento, movenze. Il risultato è una macedonia di congetture a caso che possono avere due effetti: rivelare alla persona osservata aspetti di sé che non ha mai contemplato; rivelare alla persona che osserva aspetti di sé che crede di vedere nell’altro. Indovinate cosa succede più spesso.

Ed è quasi sempre così.

Io a ventun anni, più entusiasta e ingenua di adesso, acconsentii di malavoglia a farmi leggere la mano da uno che faceva l’espertone: mi disse che non ero molto intelligente, ma avevo una forte carica sessuale.

Le mie amiche stanno ancora ridendo, e la cosa a dirla tutta mi offende un po’.

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Mierda, la partita.

M’ero scordata che coincidesse con la Nit de Sant Joan, finché non vedo dei turisti in zainetto e sandali entrare in un ristorante di Rambla Raval, attirati dalla scritta: España – Francia 20.45. Ne escono sconsolati un secondo dopo, seguiti dal cameriere interdetto.

Io rimango col dubbio: la guardo?

No, è la prima volta in 3 anni che mi permetto di festeggiare San Juan.

Ah, i riti celtici di Beltane, il sogno di una notte di mezza estate, il sole che dimentica di tramontare…
Seh.
La notte più breve dell’anno qua si festeggia in due modalità diverse e schizofreniche.

Amici catalani:

– Vieni a fare un barbecue in culo ai lupi per sfuggire alla folla?

Amici “folla”:

– Vieni alla spiaggia più affollata per bere, ballare e pisciare in tutti i posti non occupati da coppie che pomiciano?

Per non parlare della simpaticissima abitudine di sparare petardi, sollevando polveroni di sabbia e facendoti starnutire zolfo puro.

Dopo il primo anno sono rimasta tappata in casa.

Stavolta però mi ha invitato gente tranquilla, di quelli che vivono qua da anni e non sembrano appena scesi dall’aereo (conosco italiani che quando ripensano a Barcellona rievocano gli stessi luoghi di un turista di passaggio).

Deciso. Deviazione per lo Sports Bar, vedo il primo tempo e poi dritta in spiaggia.

Solo che ordino una clara e il cameriere capisce che voglio una Moritz, che essendo molto chiara e fruttata scende giù che è un piacere. Lui se ne accorge e fa ammenda che già me ne sono scolata mezza, e ho la tolleranza all’alcool di un neonato allergico.

– Goal! – esulto come se fossi di Toledo.
– Ti vedo molto partecipe – fa un cameriere che non ho mai visto.
– Be’, domani per l’Italia mi sentirai urlare, intanto però oh, sono contenta che la Spagna vinca.
– Ma sei italiana, no?
– Sono di Frattamaggiore.
È la prima volta che lo dico, ricordo misurando il tasso alcolico.
– Devo andare più spesso a Frattamaggiore – conclude lui.
Ecco, bravo, vacci tu, che io prima di ottobre non la vedo. Torno in strada a fine primo tempo, cantando Will you still love me tomorrow?

Urge mangiare prima che passi al repertorio di Chavela Vargas.
– Pronto, Alessandro, siete ancora lì?
– Sì, sì, di fronte al chiringuito Inercia della spiaggia di Nova Icària. Non puoi sbagliare, c’è una bandiera sarda.
– ‘O sapevo.

Però è un buon sistema per riconoscerli, insieme al fatto che il 50% degli uomini si chiami Alessandro. Il più ballerino mi procura pure un panino!
Lo mangio seduta sulla sabbia, di fronte allo schermo del chiringuito, mentre il cronista continua a informarci di quanti minuti manchino perché la Spagna passi in semifinale. Quando il rigore finale diventa goal scatta un boato sottolineato da una nuova scarica di botti.

Già, perché i catalani sdegnosi della nazionale staranno perlopiù a ballare coi lupi, ma gli altri sono lì decisi a sollevare quanta più sabbia possibile.

Fortuna che ci sono anche i fuochi “veri” verso Barceloneta, tra cui delle splendide fiammelle volanti che diventano un cuore. E a partita finita tolgono le sedie e si balla. C’è un tizio sulla cinquantina che si ferma davanti a tutte le ragazze, spalanca le braccia per invitarle e fa un sorriso così sfigato e disarmante che… lo mandiamo a quel paese lo stesso.

Un ragazzo si mette a suonare il bongo a ritmo con Shakira, ai margini del chiringuito. Un sessantenne balla in costumino. Due ragazzi si studiano e corteggiano, e mi piace, un approccio alla pari, senza cacciatori e prede. Dei paki hanno rimorchiato prima di tornare a criticare birra e discoteche coi vicini di casa. Will you still love me tomorrow? Io rifiuto sdegnosamente house e techno per ballare nell’ordine Danza Kuduro, Waka Waka, e un po’ di Bollywood d’annata, di due fidanzati paki fa.

Lo so, fatti non fummo a viver come bruti.
Ieri, però, c’erano molti fatti e, soprattutto, molto fummo.

Ma noi ce ne stiamo tranquilli, tranne le fidanzate internazionali dei sardi che fanno scattare un polemica sui prodotti biologici, che le dolci metà snobbano perché troppo cari “e in Sardegna non ne abbiamo bisogno”. Io mi diverto a soffiare sul fuoco prima di rifugiarmi tra una minoranza di siculi (e una compaesana scatenata) a ripassare le glorie di Bip Bip Ballerina.

Ma l’ora è tarda, l’alluce mi duole, e levo le tende.
– Ma no – mi trattiene il re della pista – semmai riposati un po’ come questi qua a terra – .
– Veramente stanno trombando.
– Ah, vero.

Pur di non prendere la metro sovraffollata me la faccio a piedi. Un’ora di cammino in una Barcellona in delirio. Un gruppo di brasiliani balla per strada, assiepato sotto non so che bandiera (ero rimasta a quella verde e gialla). Un ragazzo piscia tranquillamente vicino a un albero, tra la fidanzata e un amico.

Ai piedi di un Suv, una ragazza è accasciata a peso morto tra le braccia di un uomo. Sirene in lontananza.

Un senegalese m’insegue con una strana bicicletta, incredulo che non voglia parlare con lui. Quando glielo confermo dice “ok, la prossima volta”. L’ottimismo innanzitutto.

Un gruppo di ragazzi che ballano vicino a un’auto mi urla dietro “Shakira, where you were?”. Pure ignoranti. Ma no, sono solo francesi. Hanno perso gli europei e si consolano come possono.

Arrivo a casa che non mi sento più le gambe, ma riesco ad addormentarmi prima dell’alba.
Dice che per stare in salute tutto l’anno devi aspettare l’alba a San Giovanni.
In effetti stamane mi ha svegliata un crampo al ginocchio che ancora zoppico.

(una canzone che sono riusciti a remixare)

(una canzone che chiederò al DJ l’anno prossimo)