Archivio degli articoli con tag: sincerità

scusate11 Devo dire che l’ho sentita in due lingue, e da uomini.

Più amici mi hanno raccomandato, sulla storia di volere figli, di “non dirlo subito a un uomo, che noi poi scappiamo”. Messa così, la questione mi sembra rilevare due cose:

  • la fragilità di uomini che della “fuga” fanno quasi un orgoglio, un adorabile difetto;
  • l’idea triste che abbiamo delle relazioni.

Queste ultime, lungi dall’essere un momento d’incontro, di sincerità, di comunicazione efficace, diventano machiavellici do ut des, in cui devi usare strategie per ottenere ciò che vuoi dall’altro, e magari, a dirla tutta, ignori ciò che l’altro voglia sul serio. Dirlo e basta non rientra quasi mai tra le opzioni.

Nella Barcellona da bere non ho molti amici con relazioni stabili, ma sul fronte italiano mi confidano di tutto: a volte mi sembrano liceali che vivono con il tipo o la tipa per cui hanno una cotta, però “non sanno se ricambia”. Altre volte mi sembrano generali che si squadrano attraverso un campo di battaglia – perlopiù la cucina – in attesa di chi farà la prima mossa.

In un rapporto così, fatto di piccole battaglie vinte e guerre mai combattute, si crea un effetto paradossale come quello del climatizzatore col riscaldamento globale: alimentiamo lo stesso problema che, in teoria, staremmo risolvendo momentaneamente.

Per questo rivendico il mio diritto alla sincerità, che parte da quello, poco alla moda, di sapere ciò che voglio. Se so che voglio figli, come mi può andar bene con uno che non ne vuole? Omnia vincit amor un par de ciufoli. Allo stesso modo non voglio rapporti a distanza, perché cerco un contatto fisico quotidiano, e ho imparato ad assicurarmi che per l’altro non sia un problema nel caso, frequente nella Barcellona mileurista, che entrassero più soldi a me (l’orgoglio inculcato negli uomini sull’argomento è duro a morire). Le circostanze della vita potrebbero farmi cambiare idea sulle mie priorità, ma il punto è questo: se sappiamo cosa vogliamo, e sappiamo comunicarlo, siamo sicuri di volerlo mandare a monte per “l’ineluttabilità dell’amore”?

Perché so che queste di sopra possono sembrarvi aride elucubrazioni. Anche io sono cresciuta guardando Disney, e apprendendo dalla pubblicità che col rossetto giusto finirò per uscire con Jason Momoa. Ed è così affascinante l’idea che lì fuori ci sia una persona, e una sola, che vada bene per me, che manderà a monte tutti i miei progetti (tipo l’eliminazione del soffitto di cristallo) e basterà guardarci per capirci.

È un’idea affascinante, ma complica la vita invece di rallegrarla, quando non la rovina.

Perché qui siamo oltre il pensiero per cui l’amore romantico “crea false aspettative“: a me sembra, piuttosto, che crea falsi bisogni. Perché di uno che mi mandi a monte i progetti, francamente, non ne ho bisogno: se ancora considerassi sul serio l’ipotesi di una relazione, ne vorrei una che mi accompagnasse nella mia vita, invece di stravolgerla.

Per questo ho tradotto un articolo de La Vanguardia di quelli che di solito salto a pie’ pari, sulla “psicologia di coppia”: questo qui mi sembra utile e scritto bene. Il che, considerata la testata che lo ospita, è quanto dire.

Spero ne facciamo una “via di fuga”, questa sì intelligente, da una vita di bugie e sotterfugi che non meritiamo.

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frankenstein1994c Al ginnasio andai a vedere il Frankenstein di Kenneth Branagh, con delle compagne di scuola. Tra noi non sempre correva buon sangue: loro mi trovavano (giustamente) una sfigata, e io le trovavo (fondatamente) delle perete.

Il film, ufficialmente, faceva paura. A me, invece, fece cagare. In effetti è tra i più criticati di Branagh. Ma al ritorno, mentre il malcapitato padre di turno accompagnava questa turba di ragazzine eccitate, la mia diffidenza fu interpretata come: te la sei fatta addosso. Loro, invece, facevano a gara a chi avesse retto meglio le scene più gore. Allora imparai una cosa: la gente ama sentirsi furba o eroica, e a tal proposito esalta anche la merda.

Facciamo una prova.

Ultimamente ho scoperto gruppi, che spero sempre siano satirici, fondati da gente che si sente eroica per fare il contrario degli “altri”. Razzisti contro buonisti, per esempio.

Nella mia terra d’origine, il fenomeno assume dimensioni comiche. Avete presente gli afrancesados della guerra napoleonica in Francia? Ecco, tra noi ci sono gli italianizados. Quelli che in italiano si chiamano pomposamente “persone perbene”. Mica ascoltano i neomelodici, loro sentono o Laura Pausini o un gruppo indie sconosciuto ai suoi stessi membri. E non parlano napoletano, questa lingua barbarica che fino a tre generazioni fa era l’unica che si conoscesse in famiglia. Loro storpiano solo l’italiano.

Ma la vera particolarità di questi gruppi è proprio la pretesa di eroismo. Loro dicono le cose come stanno. Cioè: al luogo comune “Napoli è la città più bella del mondo” rispondono con un obiettivissimo “Napoli è una merda dappertutto, tranne che a casa mia”. Come vedete, è la presunta mancanza di obiettività degli altri a renderli eroi, almeno ufficialmente. Una trappola, questa, che secondo me si supera brillantemente con quanto propongo nel titolo: l’arte di dire sticazzi.

 

 

massimiliano_bruno-nando_martellone  Le circostanze delicate in cui si sviluppano certi dibattiti dimostrano che l’attenzione di chi vi partecipa è più spostata verso il proprio ruolo indignato o eroico o presuntamente onesto, che sulla questione in sé.

Indovinate da dove nasce, per me, quest’atteggiamento? Esatto: dall’insicurezza.

Ma alla mia spiegazione preferita devo aggiungerne un’altra: la frustrazione personale sfogata sugli altri. Non è mai colpa mia, se la mia vita va male. Non è colpa di come faccio le cose, o come reagisco a quelle che non posso cambiare. È sempre il resto del mondo che m’impedisce di vivere bene. E almeno mi ritaglio la parte dell’eroe, del Don Chisciotte che con due soldi d’armatura prende per giganti i primi mulini a vento e assume la dimensione di un eroe tragico.

Ma vi ricordate come diceva, quello lì? La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. E mi spiace, cari donchisciotti, la tragedia è fuori dal palinsesto o spostata altrove, letteralmente su altri lidi.

Allora di fronte a tanto eroismo d’accatto potremmo evitare sia l’emulazione che l’indignazione e dire: sticazzi.

È eroico dire che Frankenstein di Branagh è una cagata pazzesca, anche se rischiamo di passare per codardi? No. È onesto.

Provo a tornare alla mia triste adolescenza e applicare postumamente la mia teoria con l’altra metà della classe, quella che si sentiva appunto ribelle perché non era ossessionata da moda e attori americani (insomma, non era pereta).

Attirata dalla maggiore apertura mentale, a questi confessai: “A me Skin degli Skunk Anansie non piace tantissimo”.

Al che mi venne risposto: “Ma sei pazza! Non solo è nera, ma è pure bisessuale”.

E STICAZZI!

Oh, mi sento meglio. Avrei dovuto farlo allora.

Pure per te, Skin. Pensa se passi alla storia solo per colore della pelle e tendenze sessuali.

Quello in cui essere se stessi passa per eroismo è un mondo in cui non voglio abitare.