Guardo le pareti e non ci credo, che non mi parlino di dolore.

Non conosco altra lingua, a volte, a volte non riesco a ordinare un hamburger senza pensare nonmiamanonmiamanonmiama.

Ma per fortuna passeggiando passa la paura, mi ricordo qual è la situazione, passeggiando nel mio nuovo barrio catalano ma non troppo, straniero ma non troppo, in cui non ci sono i pakistani a guardarti insinuanti ma dei mulatti latini a farti hooola al supermercato, e promettono grandi diverimenti.

Ma l’amore chiama ancora, nella sua assenza, e allora ti ricordi com’è la situazione: no che non ti ama, cocca, c’è quello bello là di fronte che ti sta guardando e non tanto puoi rispondere perché pensi ancora a lui. E oggi ti hanno offerto un lavoro, fatto un trasloco, fatto un complimento fatto una sorpresa e tutto quello che sapeva dire questa bambina di 33 anni che ti porti appresso, mentre giravi come una trottola per non cadere sbattuta a terra, era nonmiamanonmiamanonmiama.

Be’, la casa a questo serve. A vedere com’è un mondo in cui nonmiama e va bene.

Un mondo in cui la luna non è una chimera, basta affacciarsi alla terrazzina. Un mondo in cui chi ti ha preceduto era giovane e innamorato, non il vecchietto buono dell’altra casa, e solo la pioggia ti separa dai riflessi della candela cinese fuori al balcone.

La pioggia è entrata nella notte umida di una domenica che non hai vissuto, eri ancora altrove, dove le pareti parlano di dolore.

E ora resta l’odore di pioggia e di acqua che proprio non vuole andarsene, proprio insiste a invaderti camera e ricordarti che esiste qualcosa al di là del dolore, anche se hai paura, anche se non era previsto.

E sarebbe anche ora che prendessi la paura in mano, come il portacandele arrugginito ma ancora buono da usare, e vedessi un po’ cos’è.