Non immaginate nemmeno cosa mi metta a fare, pur di non lavorare. Perfino guardare su youtube un’intervista ad Anna Tatangelo, per Le invasioni barbariche. Una roba vecchia, risalente a quando la cantante conduceva X-Factor con un collega improbabile come Elio (senza Storie Tese), con cui guarda un po’ sembrava avere della ruggine. Infatti, ed è per questo che vi menziono l’episodio, di fronte alle provocazioni dell’inossidabile Daria Bignardi commentava una cosa tipo: “Elio può fare il radical-chic quanto gli pare, ma poi la televisione la guarda il popolo”.
Il popolo. Io la prima immagine che ho del popolo, l’imprinting proprio, l’ho presa da un discorso del sindaco Peppone, che oggi forse designerebbe così proprio quei radical-chic cui si riferiva Annarella (lo so, l’Italia è cambiata mooolto, dai tempi di Gino Cervi).
Allora, mi sono detta, come siamo arrivati a questo punto? Come può una tipa che canta l’amore e non filosofeggia contrapporre il pubblico di Elio a un “popolo” semplice ma giusto, che le toglie gli schiaffi dalla faccia contro le soperchierie snob degli eredi del popolo pepponiano?
Allora qual è, il popolo?
Il popolo è tutto, temo. E conosco queste contrapposizoni. Le conosco perché ho studiato la guerra. La Grande, Guerra. Che non solo nelle trincee, che lasciamo perdere, ma anche nella stampa, pure nei discorsi da bar, in tram, era tutta così: uno scontro di civiltà all’interno delle civiltà stesse. Da una parte c’era chi mutatis mutandis si sentiva “lib” (l’ho letto di recente come insulto omofobo) e voleva la vittoria di una Francia repubblicana e libera (“libertina”, dicevano allora i cattolici). E chi si sentiva amante dell’ordine, dell’assolutismo, di Kaiser Wilhelm e della scientificità tedesca.
I livelli della battaglia, non ve li dico manco.
Altissimi.
Crucchi di merda vs ricchioni. Ma quali ricchioni, siete repressi voi. E giù a citare l’Iliade, Darwin, Lombroso, la Bibbia, qualunque testo servisse ai due bandi per avallare la propria causa.
Ricordate com’è finita, vero? La guerra che doveva finire tutte le guerre. Seh.
E se lo ricordiamo tutti, perché lo stiamo rifacendo?
Vedete, io noto una cosa. Le grandi battaglie sociali che si combattono ora in Italia, viste da fuori, mi sembrano destinate al fallimento o a soluzioni temporanee proprio per questo dualismo, quest’inasprimento di toni, questo arroccarsi non tanto nelle rispettive cause, ma negli stili di vita che si vogliono propugnare, o addirittura (nel caso di chi nega i diritti) imporre agli altri.
Io lo so che Hegel ha detto che alla base della società c’è una lotta per il riconoscimento, che ci si muove partendo da un vuoto interno e si lotta perché te lo colmino i tuoi simili, riconoscendo la tua egemonia. Mai capito perché questo fantomatico vuoto non possiamo colmarcelo da soli, ma lasciamo perdere.
Vivo in un paese che i diritti civili li riconosce da 10 anni, e non senza la battaglia campale di cui sopra, ma che non è del tutto pacificato. Vedo invece scendere in piazza a Roma persone che dicono ufficialmente di lottare per il bene dei bambini e intanto sembrano gridare “I normali siamo noi. Dimmi che sono normale. Dimmi che sono ancora io quello normale”. Che è uno scrupolo che mi sembra avere più chi crede in qualcosa di estremamente dogmatico, sia esso un’ideologia o una religione (e non importa la provenienza della religione, eh, per me se sei coerente accetti o condanni sia l’Islam che il cattolicesimo che il pastafarianesimo… no, quello si ama e basta). Ho sempre avuto la sensazione che i più grandi insicuri si trovino qui.
Mi fa ridere il fatto che “Dimmi che sono normale”, secondo le poco politicizzate colleghe di università, fosse il motore principale del Gay Pride. Provai a ricordare loro che si combatteva per il riconoscimento di diritti civili molto precisi, al di là della questione filosofica a cui lo riducevano. Ma potrebbe non essere un’idea del tutto peregrina, quando si perde di vista la causa e, in termini per me più elastici dell’altro bandolo, si cerca di ribadire “Guarda, sono normale anch’io” a chi proprio non vuole sentire (e allora andasse a raccogliere percoche, una volta che ci sia l’equità legislativa).
Il mio scrupolo, sapete qual è? Che se i termini del conflitto continuano sul genere bigotti medievali vs ricchioni non se ne esce, o se ne esce con quell’imposizione sociale dall’alto che ha il merito di concedere diritti immediati (i gay spagnoli ringraziano coi loro bellissimi bambini) ma che non risolve il conflitto sociale.
Perché? Be’, so di risultare molto impopolare, ma per me è sbagliato anche vederlo come conflitto. Sarà che le mie crisi personali mi hanno portato a provare un’infinita compassione per me stessa, ma io questo sentimento dal vago sapore religioso lo estendo un po’ a tutti.
E mi fa pena, uno come Magdi Allam, a prescindere dai soldi che può aver guadagnato da questo ruolo che si sia ritagliato, ci vedo una crisi d’identità brutale. Mi fa pena chi è così insicuro della propria fede che ha bisogno di imporla agli altri, perché venga accettata. Ma mi dispiace anche che qualcuno, e non mi riferisco ai gay ma ai “lib” in generale, reagisca a questo sopruso arroccandosi a sua volta in un suo stile di vita che viene venduto con tutto il pacchetto, con le sue riviste, la sua moda e gadget che scopro non conoscere neanche più (che minchia è la Effe? Sono giorni che mi riprometto di cercarlo su google).
Insomma, per me sapete perché non funziona, questo “scontro di civlità”, questo bollare come pedofili tutti i preti e buonisti tutti i non fasci, definire ruspanti le figlie di panettiere che si mettono con Gigi D’Alessio e radical-chic chi preferisce Il vitello dai piedi di balsa ad Annarella?
Perché come sempre, tra i due litiganti il terzo gode, e non stiamo parlando di un’orgia in un club privato sulla Barceloneta. Intanto che ci beviamo lo scontro di civiltà, chi comanda davvero si frega le mani e fa passare le sue leggi. Succedeva con la Grande Guerra e succede oggi.
Da non confondere col benaltrismo, perché i diritti civili non sono prioritari, sono fondamentali. Ma puntiamo su quelli, discutiamo su quelli e non su di noi. Riusciamo a convincere il nostro ego che qualcuno si sposerà una persona del suo stesso sesso o si genufletterà davanti a un altare senza che questo cambi di una virgola la nostra esistenza? So che la causa in sé non riempie le piazze quanto l’identità minacciata di chi ci scende, ma facciamo una prova.
La guerra non paga che gli accaparratori, l’abbiamo visto. O paga a breve termine, con conflitti bestiali che si trascinano per sempre.
Il fatto che sia sempre andata così non significa né che non possa cambiare, né che non possiamo diventare i primi a farlo avvenire, questo cambiamento.
Che Hegel ci faccia una pippa, per una volta, piacerebbe anche alla Tatangelo.