Archivio degli articoli con tag: Promessi Sposi

Risultati immagini per anna marchesini promessi sposi    E basta con la storia della tecnologia che isola le persone, invece di unirle. Ho capito che dobbiamo lamentarci di qualsiasi cosa non ci fosse quando avevamo 15 anni, e anche a me scoccia dovermi fare strada, mentre vado al lavoro, tra automi attaccati a uno smartphone. Ma noi che viviamo all’estero dovremmo erigere un monumento… no, non a Steve Jobs, ma a Jamal del negozio di telefonia all’angolo, che ci ha venduto la prima carta Lebara.

Sostituita solo più tardi con la Sim della Orange, almeno per noi che eravamo graziati da un passaporto europeo dalla vergognosa condizione di clandestini. Tariffa Canguro Ahorro e ci siamo fatti anche il wifi, con fibra ottica magari.

WhatsApp, poi, ci ha salvato la vita: è stata la prima barriera tra noi e nostra madre quando “ci deve proprio sentire”, e ci chiama proprio mentre stiamo ritirando la baguette dalle mani della panettiera, l’euro e venti già pronto nel palmo della mano. Adesso ci mandiamo messaggi vocali, o chiediamo “posso chiamarti?” senza doverci fare prima un mutuo per lo scatto alla risposta.

Quindi sì, che sono contenta di vivere in un mondo più tecnologico, benché consapevole delle ingiustizie che questa tecnologia comporta e di quello che possiamo fare per mitigarle.

Certo mi rendo conto, e questo non mi fa piacere, che in metro tra un libro e il cellulare estraggo più facilmente il secondo, dalla mia borsa di Mary Poppins. Perché, pensavo all’inizio, il primo mi racconta una storia sola e il secondo mi racconta tutte le storie. Quelle della malattia innocua che cerco su Google, storcendo il naso tra sintomi assurdi e fotomontaggi, o dell’amico complottista convinto che Trump l’abbiano messo al potere i rettiliani (che almeno sarebbe una spiegazione plausibile).

Poi, però, mi sono accorta di fare un gran torto ai libri. Perché somigliano alla vita molto più di quanto io non voglia ammettere. Pensate a quel video in cui ci soffermiamo sulla storia principale (due adolescenti che si lasciano messaggini in biblioteca), ignorando l’inquietante sottotrama (che non vi spoilero). Quante volte succede nei libri, che ci soffermiamo sulla storia dei protagonisti ignorando quei personaggi secondari costruiti a volte meglio di loro?

Per dimostrarvi che è vero, prendo a esempio un libro che 9 su 10 odierete selvaggiamente: I promessi sposi. Ve la ricordate, Bettina? Eh, lo so, vattelapesca chi è questa, in quel guazzabuglio di personaggi. Quella morta che la madre ci mette un casino a caricare sul carro dei monatti? No, quella era Cecilia. Allora la novizia ammazzata dalla monaca di Monza, nella versione gotica thriller? Naaa, state parlando di Caterina. Fuochino per l’ “ina”.

Bettina è la ragazzetta che si apposta fuori casa di quella gattamorta di Lucia, solo per poter annunciare che è arrivato lo sposo. Poi viene addirittura incaricata di chiamare la sposa, perché sappia che per le prossime centinaia di pagine può anche depositare quella sobria pettinessa nuziale, che in testa alla Marchesini brillava a intermittenza.

Non è fantastico? Quante volte ci siamo trovati in circostanze simili, da bambini?

E da quella brevissima apparizione non possiamo derivare un mondo? I Promessi Sposi sono il romanzo di Bettina come le peripezie di Emma Bovary, nei momenti di cinismo, possono essere solo un pretesto per seguire quell’essere ignobile del farmacista, come si chiama… Homais!

Ok, lo ammetto, l’ho cercato su Google. Vedete la tecnologia? Non avrei potuto consultare la mia copia cartacea, chiusa nella biblioteca di un nonno che non c’è più, ma che mi ha lasciato tanti libri.

Non credo che si sarebbe arrabbiato troppo, nel vedermeli leggere da un ipad.

Basta che leggi, avrebbe detto.

 

Non mi linciate, ma a me Guardia del corpo piacque. Avevo 12 anni, chiesi ai miei amici che significava che il maniaco si fosse masturbato sul letto di Whitney, e mi arrivò una gomitata nei reni da uno che, a giudicare dalla potenza dell’avambraccio, lo sapeva bene. A parte l’incidente, il film mi piacque.

Spesso i brutti film m’insegnano molto più degli altri, perché nella loro mancanza di fantasia citano quelli belli, o i classici della letteratura. E poi i fatti sempre quelli sono, come nel riassunto de I promessi sposi del mio prof. d’italiano: “Isso vuleva a essa, essa vuleva a isso, e alla fine si ebbero”.

Guardia del corpo ti piazza due frasi capolavoro, e la più bella la dice proprio la buonanima di Whitney. Parafrasando: hai mai fatto qualcosa che non avesse nessun senso, da nessuna parte, tranne che dentro di te, nel tuo stomaco magari?

Hai voglia, le rispondo troppo tardi. Io che nella mia follia ho una logica ferrea che non ho mai infranto (per questo sarò folle).

Ma capita spesso, di fare cose senza senso.

Lavorare gratis a qualcosa che ti piace. Lo fate in tanti, ultimamente, in Italia.

Sopportare coinquilini che ti sfascino la casa.

Sciropparti una serata che puoi evitare con un sms.

E poi scappare anche quando non c’è pericolo. Anche dalla realtà.

Tempo dopo ci chiediamo che diavolo pensavamo di fare. Ma allora non ricordiamo come ci sentivamo. Il nostro stomaco avrà digerito il segreto che lo teneva sull’orlo dell’ulcera, e se lo porterà nella tomba. Per cui non ci tieniamo proprio a conoscerlo a breve termine.

Ma abbiamo perso qualcosa. So che è controindicato citare più di un classico alla volta, ma ricordate la Fata Turchina, quando Pinocchio diventa un bambino vero? “Era proprio un bel burattino”. Sì, ma adesso è una palla, e secondo qualche barzelletta sporca anche la fata sarebbe d’accordo.

Ora sto facendo una cosa senza senso. Non importa quale, pensate alle vostre.

So che gli stomaci non reggono a lungo alla mancanza di senso, e prima o poi la ragione o una bella mazzata mi riporteranno alla realtà. Ma intanto…

Il bello è quando interviene la Provvidenza, per tornare ai Promessi Sposi, che invece di farsi i fatti suoi ti risolve il problema. Mettete che l’azienda per cui lavorate gratis riceve una visita della Finanza. Troppa grazia, Sant’Antonio. Ma farcene una quando gliela chiediamo, no?

No. Dobbiamo proprio accorgerci che non sono le circostanze, siamo noi. Immobili come stoccafissi, senza il coraggio di licenziarci, di finire una storia, di traslocare, insomma, di risolvere la questione. Senza il coraggio di provare a star bene.

 Purtroppo, senza senso un po’ si sta bene. È come quando capiamo di non dormire più ma non siamo ancora del tutto svegli, e vogliamo goderci ancora un po’ i sogni, il tepore, ancora un po’, per favore …

Ecco, io sono proprio lì. So che sarà meglio uscirne, ma quando l’avrò fatto un po’ mi mancherà, a me e al mio stomaco.

Mi mancherà la terra tra il sonno e la veglia. E no, stavolta non ho citato Peter Pan, ma Hook – Capitan Uncino. Quello non mi è piaciuto granché.       

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora