Groundhog-DayDi tutti i film per famiglie che possono venire in mente parlando di routine, ne ho scoperto da poco uno che mi ero sempre rifiutata di vedere: Il giorno della Marmotta, con Bill Murray.

L’avete visto? Ah, ero rimasta solo io, al mondo, a non… ? Ok, allora saprete che parla proprio di routine nella sua versione più estrema: il protagonista, un anchorman egocentrico e cinico che si crede il Padreterno solo perché dice le previsioni del tempo, si ritrova costretto a rivivere lo stesso giorno senza soluzione di continuità.

All’inizio si fa prendere dalla disperazione, poi considera i vantaggi più superficiali della situazione e se ne approfitta, per arricchirsi o spillare informazioni dalla collega che gli piace, che cerca di sedurre invano ogni giorno. Poi, scoprendo che è un incubo anche così, decide di togliersi la vita. Ma per quanto orribile e senza scampo sia il suo suicidio, si sveglia ogni giorno con la stessa canzoncina stupida, con la sveglia che scatta alla stessa ora, con le stesse persone a dargli il buongiorno.

Un tizio intrappolato nella routine quotidiana, con la sensazione di fare le stesse cose, senza poterne mai uscire. Vi ricorda qualcuno?

Alla fine, capisce che non gli resta che una cosa: fare buon viso a cattivo gioco e darsi da fare. Finalmente si prende la responsabilità delle giornate che sta vivendo, e le usa, mo’ ci vuole, per trasformare ogni sveglia in un “giorno migliore”. Lo stesso giorno, ma sempre migliore. Così porta in ospedale il barbone che ogni giorno gli chiede la stessa moneta, e quando muore decide che il giorno dopo gli offrirà un pasto caldo. Aiuta delle vecchiette in auto a riparare una gomma, e impara a suonare il piano, assumendo ogni giorno la stessa maestra, ogni giorno più sorpresa dal fatto che quella sia “la sua prima lezione”. E quando avrà imparato a non usare gli altri per riaffermare il suo ego, ma a condividere la sua parte migliore con loro, finalmente l’incantesimo si spezza.

A noi non deve capitare niente di così spiacevole, come ripetere lo stesso giorno: i periodi di transizione servono a questo. Se dobbiamo sostituire una routine con un’altra, scegliamocela bene, stavolta.

E soprattutto, lasciamo spazio alla parte più bella della routine: tutto ciò che routine non è. Facciamo che l’imprevisto sia parte della nostra quotidianità, apriamoci alla sorpresa di una passeggiata nel vicinato, e quando diventerà routine anche quella spingiamoci più in là, a vedere che succede nella stradina inesplorata alla fine dello stradone.

Io, ormai lo sanno anche i sassi, venivo da una brutta delusione. Ma a passeggiare per le stesse strade che in passato mi vedevano avventrice e ora “vecina de barrio”, era cambiato tutto. Non vedevo il mio dolore a passeggio. Vedevo loro: le persone sedute a godersi un giugno già estivo, in una Barcellona che sembrava King’s Landing.

Quasi mi rammaricavo di non conoscerli per bere con loro, io che prima li ignoravo o mi chiedevo come potessimo essere così diversi (loro sereni e io affranta).

Poi, passando davanti a una tavolata particolarmente allegra, ho visto che quello a capotavola era proprio carino, e senza neanche pensarci, che è l’unico modo per fare queste cose, l’ho guardato a lungo. È successo che lui ha guardato me.

Allontanandomi lo vedevo sporgere il braccio verso di me, esitante, poi tornare ad abbassarlo, sfottuto dai compagni, poi tornare ad alzarlo in un ultimo sforzo prima di rinunciare e aspettare magari la prossima.

No, non ero pronta a fermarmi. La nuova routine non dev’essere uno sforzo, ci deve venire spontanea. Inutile approfittarne per sovraccaricarci di lavoro e imporci la vita che vorremmo, invece di lasciare che lei s’imponga a noi.

La prossima volta, magari.

La prossima volta mi fermo.

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