Alcuni nomi e fatti sono stati alterati per motivi di privacy, ma le cose sono andate più o meno così.
Stay hungry

È buio e ho fame.
Ho trentun anni e molti amici invidiosi, perché vivo a Barcellona: cerveza, sangría, fiesta… Beata te, mi dicono.
Rispondo che ho perso il lavoro insieme a tutto il mio dipartimento. Nel licenziarmi, il manager belga mi ha confessato che suo padre era stato un ricercatore in materie umanistiche, come me. Insomma, gli facevo un po’ pena.
Adesso è novembre, io prendo un sussidio e Steve Jobs è morto da un anno. Da un anno circola un suo discorso all’università di Stanford: “Stay hungry, stay foolish”.
Io però non so bene di cosa ho fame.
Forse stasera, mentre girovago intorno alla Rambla, mi mancano un po’ gli gnocchi sfatti. Il nonno li amava stracotti, e le donne di casa glieli preparavano così. A un certo punto mi era sembrato assurdo: l’amore doveva significare per forza adattarsi alla volontà di qualcun altro?
Alla fine approdo al bar sozzo, l’ultima spiaggia prima di tornare a casa. Ovviamente li trovo lì: i superstiti di una riunione a cui non ho partecipato. Frequento poco lo spazio artistico lì a due passi, che gli altri espatriati chiamano semplicemente “lo Spazio”. Un po’ mi incazzo pure: non dovevano venire al concerto dell’Absenta?
“Quel locale è il passato”.
Il Figo si deve già reggere al bancone, da quanto ha bevuto. Che non abbia ottenuto la promozione al lavoro? Siamo strani, noi. Ci siamo lasciati dietro il precariato italiano per un’illusione di indipendenza, e a vent’anni funzionava: i cugini rimasti in Italia vivevano ancora con mamma e papà. Adesso i cugini iniziano a “sistemarsi” e noi siamo ancora nei call center, o in fila nelle segreterie di facoltà.
Ordino una birra e supplico la cameriera: “Puoi aggiungerci delle patatine?”. A quest’ora non le sarà rimasta neanche un’oliva. Accanto al bancone, un sessantenne con un cappellino da baseball sta facendo ridere una biondina alticcia. È osservando la strana coppia che intravedo lui.
Appollaiato nell’angolo tra il bancone e la parete, Bruno contempla la biondina come farebbe con un rebus. Per un momento mi sembra vicino alla soluzione.
Forse è per questo che non mi ha vista né sentita, mentre salutavo gli altri. Il sessantenne sta snocciolando una barzelletta dietro l’altra, e la biondina degna quelle battute ammuffite di una risatina ubriaca. Quando si sarà stancata, si alzerà per conto suo e se ne andrà. Vero?
Capisco al terzo sorso di birra che Bruno è invidioso. Vorrebbe essere lui il sessantenne sfacciato, alzarsi dallo sgabello e farla ridere.
Invece segue con gli occhi l’orbita descritta dal piatto di patatine che mi approda davanti. Solo a quel punto incrocia il mio sguardo.
Allora si rizza sullo sgabello e mi punta un dito addosso, scandendo entusiasta il mio nome. Lo fa ogni volta, come se mi battezzasse. Non importa che io sia senza cappotto, che abbia vuotato metà birra.
Per lui inizio a esistere nel momento in cui mi vede.
Per il seguito, a venerdì!
Se vi piace ciò che scrivo, date un’occhiata al mio Sam: non glielo ricordate, ma ha vinto un premio proprio figo.