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Pizzeria De Figliole, Forcella, Naples, Campania, Italy
© Cubo Images / SuperStock

Vivere a 10 minuti dalla stazione. Sempre. Solo a Manchester non mi è riuscito, autobus a parte.

Non è voglia di fuga, è la libertà di piombare fuori casa in ogni momento con buone possibilità di prendere il treno, magari al binario 2 diretto a Napoli centrale.

Quando poi è deserto, specie ad agosto, una si mette nella prima carrozza perché, come dice mammà, “di solito ci sta il capotreno”.

E proprio il capotreno si mette a fare lo scemo.

– La signorina sta sola sola…

Deve stare proprio disperato, ormai mi chiamano signora. E mi dicono che sono: cambiata, migliorata, cresciuta, ingrassata ma sto bene. E che mi sono fatta bionda. Prima cos’ero, cerco di ricordarmi attraversando Piazza Garibaldi.

Percorro sempre gli stessi vicoli e torno senza accorgermene al portone scassato di Forcella, col Padre Pio gigante fuori.

E i miei accompagnatori sono pazienti con la turista e le sue mani ormai inesperte che maneggiano sfogliate frolle e pizze troppo cotte, e rincorrono nell’aria la traduzione di encajar.

Proprio non mi viene.

Ma la spiaggia in via Caracciolo è magnifica. Sabbia nera e bambini che nuotano fra le barche. Facciamo l’elenco delle possibili malattie ma non posso non pensare che un bagno lo farei anch’io, e che a Barceloneta mi basterebbe togliermi tutto e buttarmi nell’acqua così.

Qua al massimo si giocherebbero i numeri.

E qualche mamma mi farebbe lo strascino.

Era Napoli by night che mi mancava. Quella di quando tornavo dalla Biblioteca Nazionale, o dalle ripetizioni nei Quartieri (due poracce che volevano fare il classico) e c’era ancora gente per via Roma (per gli amici via Toledo).

Il portone del “mio” palazzo è ancora aperto, e c’è un vecchietto in canottiera seduto.

I contrabbandieri, però, non li riconosco.

E il treno delle 21.04 non circola ad agosto.

Una sosta al binario ad aspettare un bacio che viaggia con circa 30 minuti di ritardo, ma il treno parte ora, e treni e baci non aspettano.

In carrozza, allora, e arrivederci a ottobre.

(canta Barcellona!)

E va bene, ho paura.
Domani torno a Barcellona, e Barcellona non è più lei. Quando cambia lo fa all’improvviso, e completamente. In 3 giorni ti toglie amore, lavoro e rispetto. E te li ridà quando le pare.
Ora mi aspettano il collocamento e un documento da rifare. Qualche manifestazione per gli italiani feriti allo sciopero generale, già additati come anarchici sovversivi. E curriculum da inviare. E qualche cena sul balcone.
Queste vacanze sono state una parentesi tra due punti interrogativi, la Barcellona che era e la Napoli che non sarà mai.
Però Napoli sì che è sempre lei.
Me la sono girata un po’, oggi, approfittando della mia nuova puntualità e del ritardo altrui. I venditori della Maddalena stanno migliorando, sono passati da “Pssst” a “Scarpe, bella?”. Marocchini e napoletani se la giocano, con l’italiano. E io ho imparato a restituire gli sguardi.
Forcella è sempre unica. Sulle scale del quartiere mi scopro a cantare la hit di una vita, “nun ce credo, ca ce sta, doppo ‘e te che fa ‘nnammura’”, ma decido di aver fede grazie al Padre Pio fuori al “mio” portone. Sgarrupato come sempre (il portone).
In Vico della Pace c’è una graziosa.
La scritta “Annalisa Durante” mi ricorda la madre del suo assassino, intravista proprio intorno alla scuola. O quando incendiarono i computer e l’odore mi arrivò fino al balcone.
Quasi su via Duomo la sorpresa: una mostra in bianco e nero sui quartieri di Napoli. È l’America’s Cup, spiega Vincenzo, incontrato per caso fuori alla cartoleria di fiducia.
Annuisco mangiando la sfogliata di Scaturchio. Alla cassiera sono riuscita a non dire hola, solo “una frolla”. E a lasciare i soldi nel piattino. Altrove li dai in mano a chi ti serve.
Altrove.
Quando il treno mi riporta in paese intravedo anche la mia, di scuola. Cerco l’insegna e trovo me, seduta al banco, a inseguire treni invece di scrivere. Allora mi assegno una frase in inglese, una che per gli inglesi è proprio difficile da pronunciare:
I have a girlfriend.
Poi cancello e scrivo:
It’s a sunny day.
E giro pagina.

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