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Risultati immagini per felafel  C’era una napoletana, un pugliese e un marchigiano al ristorante.

No, niente barzellette, ma ero stata invitata coi due di cui sopra da una coppia di amici settentrionali (entrambi coi genitori di giù) che avevano aperto un locale e ci avevano lanciato il fatidico: “Veniteci a trovare, questo sabato!”.

Senza scomodare i divertenti cliché del Terrone fuori sede, il pugliese e io ci saremmo aspettati almeno uno sconto sulla cuenta, o qualche degustazione omaggio.

Invece avevamo dovuto sborsare l’esatto importo delle ordinazioni, a parte un chupito di quelli che a volte offrono perfino gli autoctoni.

Il “centroitalico” non capiva di che ci lamentassimo: pretendevamo che la gente lavorasse gratis per noi? Noi ammettevamo che la logica “io ti regalo la cena, così torni e mi fai pubblicità” nasconda uno scambio d’interessi reso più accettabile dall’assenza di denaro.

Nel dubbio, ripetevo che nessuno fosse mai morto di gentilezza.

Se al nostro dibattito antropologico si fosse aggiunto qualche spagnolo, sapete che avrebbe fatto? Con ogni probabilità, avrebbe sfottuto gli italianini e ricondotto il tutto al luogo comune più gettonato tra gli iberici: “State sempre a parlare di cibo”.

Non lo smentirò, perché ora cambio scenario ma non argomento. L’altra sera, infatti, spinta da una pioggia impossibile sulla Ronda di Sant Pau, mi ero finalmente addentrata in una tavola calda araba che mi aveva sempre incuriosito.

La vetrinetta che mi aveva accolto all’interno sembrava piuttosto incongruente con le foto dell’insegna, comunque ci avevo provato.

– Avete felafel?

– No – mi aveva spiegato un signore gentile. – Qui facciamo cucina algerina.

Ok. Felafel: non algerini.

– Allora vorrei del mutabbal [crema di melanzane simile alla melitzanosalata greca].

– No, no – aveva insistito il signore sorridente. – Qui facciamo cucina algerina.

– Scusi, ma il mutabbal lo sponsorizzate nell’insegna.

– Ah, no, quella era l’altra gestione.

A parte il fatto che non ci vuole niente a rimuovere un’insegna messa giusto sullo stipite, e ad altezza mia, ho dovuto riconsiderare le mie nozioni sulla cucina araba. E adesso vi coinvolgerò nella mia figura di merda.

Perché, come uno spagnolo ci chiamerebbe tutti italianini, e liquiderebbe le nostre differenze culturali con il comune parlare di cibo, spesso noialtri non abbiamo problemi a credere che gli algerini siano uguali ai libanesi, uguali a loro volta ai siriani e, già che ci siamo, ai turchi. Tutti costoro sono identici, che ve lo dico a fare, a pakistani e bengalesi, che possono essere musulmani tutta la vita senza mai aver visto un arabo o provato un felafel (infatti i più scadenti, per me, li offrono loro, assaggiate invece il naan). E liquideremmo le loro enormi differenze culturali con un “Sempre a parlare di religione, voi!”.

Allora perché siamo così pronti a sproloquiare sulle nostre differenze, su quelli del sud e del nord, e poi non capiamo che sono molto diversi anche gli altri? Lo sono anche gli “occidentali”, che andiamo mischiando tutti nello stesso calderone.

Vorrei presentarvi quella brasiliana che a una festa dichiarò: “Voi europee non sapete muovere i fianchi”. Parlava a me, a un’olandese, una svedese e una rumena. Europee a chi? (Comunque preferisco l’ondeggiare leggero della tammurriata allo scuotimento ossessivo di chiappe, ma so’ gusti).

Ma no, noi vediamo un solo Oriente, che a stento distinguiamo da un unico mondo arabo. Vediamo un solo velo, parola unica che descrive una ventina di modi di chiamarlo, con altrettante fogge e un diverso modo di usarlo (a proposito di “imposizioni”, lo sugaring che ci fanno pagare oro altro non è che una ceretta araba millenaria).

La varietà esiste solo tra Milano, Roma e Napoli, non tra Beirut, Tunisi e Karachi.

“Tutti uguali, voi italianini, sempre a parlare di cibo!”.

Ma come generalizzano, gli altri, quando gli stranieri siamo noi.

 

 

 

donnavelopc So che è più complicata, ma a me l’hanno raccontata così ed è vero che a volte sono meglio le storie che i fatti: durante una celebrazione accademica del Día de la Raza, che in Spagna non è del tutto sparito e che qualcuno vuole estendere all’Italia, Miguel de Unamuno dice tutto quello che pensa dell’ossimoro franchista “Viva la muerte!”. Che si riassumerebbe con “Il fascismo si cura leggendo”.

… e il razzismo viaggiando, ci ha aggiunto qualcuno.

Ci penso spesso quando mi meraviglio, da italiana all’estero, delle dichiarazioni sull’Islam di quelli che quando ero in Italia consideravo intellettuali seri. Gente che in gioventù aveva fatto attivismo e che si batteva per i diritti delle donne o denunciava soprusi, e che magari aveva alle spalle un rocambolesco passato di famiglie sparse per il mondo e persecuzioni assortite.

Devo dire che 8 anni dopo forse non riesco più a tastare “il polso del paese”. C’è una teoria sociologica, quella del contatto, per cui gente che convive quotidianamente con persone di altre culture è meno propensa a essere razzista, perché si tratterebbe di scagliarsi non contro un’idea astratta, ma contro un vicino che saluta ogni giorno. Questa storia sembra funzionare con gli elettori di Trump, americani bianchi che vivono in enclave in cui gli unici latini che incontrano sono quelli che gli spicciano casa.

Ecco, io mi chiedo se tutte queste persone che stiano ora intervenendo sulla pleonastica polemica del burkini non abbiano un problema del genere, con una variante: magari del “mondo arabo” non conoscono che il lavapiatti egiziano del loro ristorante preferito o l’intellettuale marocchino che, come dice mirabilmente un suo connazionale, “si ricorda di essere arabo solo quando deve vendere libri ai francesi”.

Il suo connazionale, professore di chimica organica, quando torna in Marocco si ritrova ogni tanto dei bulletti ultrareligiosi che occupano un pezzo di spiaggia e pretendono di restare da soli, perché le loro donne fanno il bagno. Sono casi abbastanza isolati e, a chiedere i documenti ai protagonisti di questi siparietti, è difficile dire chi sia più marocchino, se questi religiosi che fanno notizia, o il mio amico, o per esempio i collaboratori della mia associazione che lontano dalle spagnolissime fidanzate si ubriacano a merda e fanno persino due tiri.

So che questi non sono abbastanza esotici per uscire sui giornali, vorrei chiedere a chi li considera una minoranza privilegiata se ne sia sicuro, e se, ammesso che così fosse, non abbiano diritto alla rappresentanza. Ma entrerei in una polemica non dissimile da quelle tra i napoletani di ceto medio, che difendono ‘a cartulina con la triade Totò – Troisi – Daniele, e i giornali populisti che vedono solo quelli di madrelingua napoletana che ascoltano musica neomelodica. Chi è più napoletano? Nessuno.

Chi è più arabo? Nessuno.

E nessuno è più francese, tra quelli formaggio e baguette e quelli couscous e banlieue. Scusate i luoghi comuni, ma un prof. della mia università napoletana dubitava che gli attentatori di Parigi avessero nazionalità europea (ehm…).  Pensava forse al mitologico maggio francese che aveva vissuto nei termini descritti dal suo quasi coetaneo Bertolucci. Si ostinava a ripetere che i ragazzi cresciuti “in ghetti arabi” non fossero i francesi della liberté, égalité, fraternité. Ma de che.

Ho amici che lo sanno, come sono i francesi oggi. Che a Parigi ci hanno vissuto davvero, e per anni. Che hanno diviso un appartamento a Damasco con un italiano che poi è morto in Egitto, e adesso scoprono che all’Italia frega meno di due fucilieri di marina accusati di omicidio in India.

Mi chiedono perché e io non so che rispondere. Forse le generazioni hanno smesso del tutto di parlarsi, di collaborare. Gli ex  sessantottini sembrano troppo occupati a difendere il mondo che volevano cambiare, per vedere come cambia. E i loro figli e nipoti, che hanno viaggiato, che accumulano titoli su titoli senza mai avere un lavoro, perdono la speranza di dire la loro nella gerontocrazia di baroni e amici degli amici che li esclude.

Tutti difendono la loro realtà, nessuno si occupa della verità.

Ed è un peccato, perché la metà di quello che leggo la può scrivere solo gente che non sa di cosa parli.

https://www.youtube.com/watch?v=1mebNNtuF7c

 

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