
Sentite, magari il mio migliore amico se l’è inventato, ma una volta se ne uscì che, a Pearl Harbor, i cuochi che meno soffrirono di stress post-traumatico furono quelli che lanciarono patate agli aerei giapponesi.
Fedeli a questa leggenda, in casa mia stiamo “lanciando patate”, cioè stiamo facendo cose che non contano granché nell’economia del cosmo, ma ci aiutano a sentirci utili. Per esempio, ci stiamo occupando delle visite al veterinario di questa gattina. Lascia che, quando discutiamo i dettagli col suo umano preferito, ci sentiamo rispondere che non ci sta con la testa, facessimo noi: al contrario di lui, noi non abbiamo mai avuto “i russi in città”, non in quel senso lì.
Sì, nel mio paese d’origine ci sono tante di quelle migranti che la Pasqua ortodossa si festeggia nella piazza principale, e la prole di queste signore mi fa sentire una nanerottola fin da quando va al ginnasio!
Nella mia città d’adozione, invece, stanno cancellando le prenotazioni in un ristorante che offre sottaceti fantastici: ma niente, prenotazioni cancellate anche se il tipo che serve ai tavoli (sospetto sia il co-proprietario) parla catalano e ha un figlioletto che si chiama Oriol. Ok.
Noi, intanto, lanciamo patate. Portiamo la gattina al veterinario, mangiamo i fantastici sottaceti. Per chi potesse fare di più, le iniziative si moltiplicano: portare generi di prima necessità, o anche ospitare mamme ucraine con prole al seguito (e nel vostro caso verranno proprio loro, non un senzatetto un po’ despota di nome Cri).
Poi, adesso che Sam arriva in libreria, scoprirete quanto quel rompipalle ami Dostoevskij.
(Make pasta e patane, not war!)