Quando stai così, mettiti i jeans, che li odi ma li hai comprati apposta per queste improvvisate, e fanculo alla palestra, vai dritta alla Rambla del Mar.
L’ora delle decisioni irrevocabili è giunta, come diceva quel capellone, ma non subito. Intanto siediti e guarda il mare. Ti ha sempre rilassato, il mare visto dal ponte di legno. Non quello principale, ma il pontile a destra, con le panchine.
Ti è piaciuto fin dalla prima volta, al buio, coi fari del Port Vell in lontananza e i tacchetti fini che s’impigliavano ogni due assi: che ne sapevi che era di legno, sta rambla, e poi avevi un braccio a sostenerti. L’hai pure ritrovato, quel braccio, anche se lontano e virtuale.
Però la Rambla del Mar ha due inconvenienti.
Uno è che si apre. Per la gioia dei turisti, che prima si chiedono il perché dello strepito della sirena, e poi vedono il ponte dividersi in due parti, che scivolano lentamente sui lati per far passare una barca.
L’altro è che c’è sempre gente, pure a quest’ora di domenica. E allora non ti sorprende che accanto a te si sieda un signore con un enorme blocco di fogli (un pittore?) e cominci a canticchiare canzoni che sembrano antiche.
Ma è abbastanza lontano perché il tuo cappuccio, alzato per evitare il sole, t’impedisca d’interagire.
Finché il nuovo venuto non ti chiede in catalano:
– Posso farti il ritratto?
Non capisci e te lo ripete in spagnolo. Dici no, e non fa in tempo a precisare che è gratis, è per lui, che già ti stai irritando perché sia passato allo spagnolo. Con tutto il tempo e il denaro che hai dedicato al catalano!
Dice che le italiane di solito parlano spagnolo, lì (ma a quel punto vi siete già scambiati i posti, che la luce è migliore dal lato suo), e capisci quanto sei fortunata a conoscere italiani sensibili, colti o semplicemente abbastanza paraculi da capire che il catalano serve eccome.
E niente, inizia questa conversazione. La sua vita a Parigi, la tua a Barcellona, il tuo libro e il suo studio di pittore, e poi il porto e le sue storie, quelle che tu hai studiato sui libri e che lui s’è bevuto insieme al latte.
Quando dice che le donne sono considerate artiste pacate, prudenti, pensi a Lluïsa Vidal, ai suoi bambini e alle signore vestite di tutto punto, e a Donya Carme che la difendeva dicendo che nudi non ne poteva dipingere, perché non poteva guardarne, e se fosse stata un uomo l’avrebbero portata in palmo di mano.
Ah, conosce pure Donya Carme! Temevi che perché non girasse con la A di Anarchia sul corsetto la considerassero ancora una Dama de Estropajosa, come le scrissero una volta (e lei sul giornale definì gli insulti alguna fibladeta. Che classe. Tu avresti detto chitemmuort’).
Intanto il ritratto procede. Tre tratti rapidi, e ti sembra troppo generoso. Specie il naso.
Te lo vuole pure offrire, ma dici di no. In italiano spieghi che non è il giorno più bello della tua vita e lui ti ha regalato un sorriso, ed è molto. È incredibile quanti luoghi comuni ci escano di bocca, quando parliamo tra stranieri. Ed è strano notare che a volte non servono altre parole.
Chi ha visto il ritratto dice che sarà anche bello, ma non ti ci riconoscerebbe, non potrebbe mai dire che sei tu.
Tu sì. Ha preso una parte di te che hai sempre sospettato. Che era lì, persa da qualche parte, e che nessuno specchio o foto ti aveva mai restituito.
Si vede che c’era.