
Primavera 2021. È l’una di notte e la connessione non funziona.
Poco male, sto per andare a letto. Ma la mia inquilina mi viene a bussare: per lei è un problema serio. Fa la moderatrice di contenuti per un noto social, e oggi ha il turno di notte. Deve fare qualcosa, o saranno guai al lavoro.
Non serve a niente riavviare il router, e quelle cose lì. Allora c’è bisogno che io, come padrona di casa, fornisca una sorta di giustificazione che attesti la mancanza di connessione. Mi sento un po’ come mia madre davanti al mio libretto di scuola, ma c’è poco da ridere: all’ultimo taglio dell’elettricità, per dei lavori in corso giù in strada, la ragazza (che preferisce restare anonima) rincorreva i muratori chiedendo una firma anche a loro. Ricordo un uomo col casco da lavoro che guardava davanti a sé, un po’ imbarazzato, e lei che insisteva, gentile ma ferma.
In quella notte senza Internet presto il mio cellulare alla ragazza, che ha il suo a riparare e deve spiegare all’azienda perché non risulta connessa. Così inizio a ricevere diverse e-mail: prima le istruzioni impazienti di un supervisore, su come riavviare il router (e fin lì ci arrivavamo da sole), poi una serie di “hai risolto?”, che cade nel vuoto perché la connessione non ritorna. Alla fine l’inquilina sbuffa: “Vabbè, si fregano, me ne vado a dormire!”. L’ultima mail, mi accorgo il giorno dopo, mi è arrivata alle due passate. Quell’estate becco l’inquilina a traslocare senza avvisarmi. Mi trovo fuori al palazzo in un’ora insolita per me, e la sorprendo con un amico a trasportare cose sue, balbettando una spiegazione un po’ confusa. Quella sera stessa mi manda un lungo messaggio, in cui mi spiega che se ne deve andare. Sa che sono solo cinque giorni di preavviso, ma non sta bene: non vuole più lavorare per quel social, quindi non avrà più soldi per l’affitto e andrà a stare per un po’ dall’amico che la aiutava a traslocare. Questo è ciò che ho vissuto io, dalla mia posizione di osservatrice privilegiata in tutti i sensi possibili. Oggi, finalmente, la ragazza mi ha fornito un resoconto più dettagliato della sua esperienza come moderatrice di contenuti. Questo è ciò che mi ha raccontato.
“Siamo circa 2500 dipendenti, e abbiamo 15 nazioni da moderare. Il nostro salario netto ammonta più o meno a 1660 euro mensili, a cui si aggiungono bonus per i turni di notte e per le lingue di cui ci occupiamo. Dunque, a seconda dei mesi possiamo arrivare a 1900. Le cosiddette policy vengono aggiornate ogni 2 settimane: in questo modo è molto difficile aggirarle. Spesso la loro interpretazione viene lasciata ai piani superiori, specie se a violare le regole è un utente ‘facoltoso’: una volta Salvini ha usato il termine ‘zingaraccia‘, riferendosi così a un’etnia in termini dispregiativi, ma i superiori ci hanno ordinato di non intervenire.
Veniamo alle condizioni di lavoro. Con gli altri moderatori avevamo accettato un contratto che prevedeva dei turni, ma la legge spagnola stabilisce che i turni fissi non debbano durare più di 6 mesi. Noi, invece, subiamo la stessa situazione da 3 anni. Per 2 settimane lavoriamo di notte: la prima settimana prevede 6 giorni su 7, e 9 ore di lavoro il weekend. Seguono 2 settimane di lavoro pomeridiano, poi abbiamo il turno di mattina nelle 2 settimane successive. Le ferie ci sono state spesso negate per una serie di motivi a noi ignoti (sospettiamo si tratti di un’incapacità di coprire le ore), ed è successo lo stesso coi giorni di compensazione, se lavoravamo durante qualche festività. In pratica si poteva andare in ferie solo in periodi decisi da loro, di solito in mesi ‘morti’ tipo novembre.
Inoltre, per circa 8 mesi a cavallo fra 2018 e 2019, abbiamo lavorato anche 8 giorni consecutivi senza riposo. Per 6 mesi non abbiamo avuto assistenza sindacale. Dal maggio 2018, quando è partito il progetto, non abbiamo avuto una simulazione di emergenza, né l’elaborazione di un piano di sicurezza per l’abbandono dell’ufficio, situato nella nota Torre Agbar di Barcellona. Tuttora non abbiamo l’accesso alle scale di sicurezza (si possono usare solo gli ascensori).
Finalmente l’ispettorato del lavoro spagnolo ha comminato all’azienda una multa di 50.000 euro nell’estate del 2022, così l’amministrazione sta assumendo nuove persone, ma dopo 2 anni di promesse, e la data limite di giugno per risolvere la questione dei turni, riceviamo ancora silenzio in risposta alle nostre sollecitudini. Sappiamo che i colleghi filippini sono in una situazione anche peggiore: costretti in uffici senza luce, si sobbarcavano la moderazione di contenuti in inglese, così l’azienda risparmiava sugli stipendi, ma le loro condizioni di lavoro erano pessime. Quando la moderazione si è spostata negli Stati Uniti, c’è stata una class action, risultata in un indennizzo di 50.000 dollari: pochi, per i costi della sanità americana.
Il nostro è infatti un problema di salute: soffriamo per la mancanza di riposo, per i contenuti orribili che siamo costretti a supervisionare (di questi parlerò tra poco), e per il fatto che non ci sia stata riconosciuta una reale assistenza psicologica finché non abbiamo iniziato ad accusare sintomi da stress post-traumatico. Prima di allora avevamo a disposizione dei counsellor, che ci facevano meditare e ci mettevano a disegnare mandala: una terapia che tra noi ha ottenuto scarsi risultati. Purtroppo i cosiddetti team leader tendono a sminuire le problematiche che presentiamo, perché la loro priorità è un’altra: la nostra performance.
Ci richiedono di sbrigare in media una segnalazione al minuto, e questo ‘average handling time’ [il tempo medio per occuparsi della segnalazione, ndR] viene calcolato al secondo. I click al di fuori della pagina che moderiamo (per esempio, a volte consultiamo un articolo su Google per verificare una notizia segnalata come falsa) vengono esclusi dal computo delle ore lavorative.
Veniamo ai contenuti. I più violenti e sgradevoli ci toccavano prima che iniziasse il lavoro da casa. Adesso siamo esposti a contenuti meno deleteri, ma può comunque capitare il video scioccante. Abbiamo assistito a molte torture animali, legate soprattutto agli allevamenti o ai festival cinesi in cui si consuma carne di cane. Ma diverse scene atroci vedevano come protagonisti degli esseri umani: le torture di detenuti da parte di organizzazioni terroristiche, o dei cartelli della droga. Io ho assistito all’estrazione di organi inflitta a persone ancora in vita. Sono continue le segnalazioni riguardanti adescamenti online. Da un certo momento in poi, inoltre, è cambiato l’algoritmo ed è aumentato il contenuto pedopornografico.
Adesso, dicevo, ci è stato assegnato un supporto psicologico, ma ciò che ci servirebbe sul serio è la possibilità di riposare. L’unica strategia possibile è quella di metterci in malattia per stress, cosa che sempre più moderatori ‘senior’ stanno facendo. Ritengo che, per evitare il disturbo da stress post-traumatico, non andrebbe ‘messa una pezza’ dopo aver visualizzato un certo contenuto: piuttosto che farci parlare a posteriori con uno psicologo, dovrebbero garantirci una formazione adeguata. Invece è stato fatto tutto in economia, assumendo meno gente e nel minor tempo possibile, senza abbassare le pretese sugli standard di prestazione. Non è giusto.
Voglio dire, non prendi mica chiunque a fare le autopsie!”.