Ecco qui (scorrendo dal basso) le puntate precedenti.
Alcuni nomi e fatti sono stati alterati per questioni di privacy, ma le cose sono andate più o meno così.
Mudanza

Cazzo, l’acqua.
Il rubinetto è aperto al massimo, ma non esce neanche una goccia. L’uomo col mastino ha scelto il momento migliore: a quest’ora del mattino non ci sarà nessuno per le scale, e se voglio iniziare il mio ultimo giorno in questa casa mi tocca scendere sei piani, per riazionare il contatore. Sfioro i gradini in punta di piedi, pronta a risalire al minimo rumore… Invece il silenzio non nasconde sorprese. Cosa è successo, allora? Quando arrivo ad aprire la porticina dei contatori, scopro che tra le file ordinate c’è un vuoto, e “quel vuoto sono io”, penso con enfasi. Mi hanno tagliato l’acqua, mi cacciano già dalla casa che avrei dovuto abbandonare l’indomani. Adesso mi tocca traslocare subito dopo la visita dal notaio…
Rammaricandosi in chat per l’incidente, Bruno mi fa capire che stasera, dopo un reading di racconti a cui partecipa anche lui, potrebbe fare una capatina a casa nuova. Ma verrebbe “sul tardi”.
Negli ultimi messaggi ha usato di nuovo il termine “frequentazione”, che aveva abbandonato da un po’. Dopo settimane di tenerezza e dolore condiviso, mi sembra ansioso di ribadirsi che tra noi non c’era niente di che.
Dal notaio mi presento con uno zaino sportivo, contenente pigiama e spazzolino. Il mio avvocato scoppia a ridere e mi scatta delle foto, dichiarando che non ha mai visto nessuno presentarsi così da un notaio, mentre l’agente immobiliare scopre che, invece di dover calmare un’acquirente nervosa, deve sorbirsi i miei “problemi di cuore”.
Tra gli eredi del proprietario, un cinquantenne coi capelli brillantinati e l’accento di Siviglia mi presenta sua moglie, che col linguaggio fiorito delle sue parti chiama “mi esposa”: quell’espressione dolce e concreta mi ricorda le nozze a cui ho assistito in Italia, tra le montagne indifferenti e lo scoglio su cui ho fatto da Partenope spiaggiata.
“Sei proprietaria?” grida al telefono mio padre a cose fatte.
Ah, già: stringo in mano delle chiavi che sono solo mie, e neanche riesco a gioirne.
L’amico agente vorrebbe strangolarmi. Sta ricevendo pressioni per diventare un finto autonomo, dalla trattativa con cui mi ha spuntato un prezzo miracoloso ha ricavato meno di trecento euro. Passa il giorno a vendere case che non può permettersi, e lo fa per pagarsi gli studi di psicoterapeuta. Non a caso, nel taxi che condividiamo per tornarcene nel Raval assume lo stesso tono della Petulante.
“Questo Bruno ha mai ammesso che stavate insieme? Lo sapevano anche i vostri amici?”.
Questo no, spiego, ma almeno nell’ultimo mese non fingeva più di ignorarmi. L’amico agente scuote la testa.
“E tu ti accontenti degli almeno?”.
Già. Una volta li detestavo.
Improvviso il trasloco con la collaborazione di un vicino stanco, che si carica gli scatoloni più urgenti su un carrello della spesa.
In spagnolo, il trasloco si chiama mudanza: la parola mi dà l’idea di un cambiamento improvviso, ma felice. Invece adesso aiuto quell’uomo già assonnato a non far sbandare il carrello sui marciapiedi, che si restringono inesorabili con l’avvicinarsi della Rambla. A casa nuova potrei avere già un intruso, un nipote del vecchio proprietario che è andato “a prendersi i materassi”: così mi ha annunciato quel vecchietto pieno di eredi nel consegnarmi le chiavi. Il notaio si è limitato a sorridere, mentre io programmavo anche quest’ultima corsa in agenzia, per recuperare la chiave mancante. Tre stanze da letto, e mi tocca dormire sul divano. O forse no: forse userò il lettino da campo, ancora disseminato dei peli della gatta.
Le stanze sono vecchie e arcigne come le ricordavo, ma è facile scegliere la meno brutta in cui accamparsi: ha il parato stinto, ma a fiorellini azzurri, e un balconcino che affaccia su uno di quei vicoli troppo vicini alla Rambla, che si riempiono di piscio il fine settimana. Ricordo che è venerdì.
Sono le undici quando immergo le bacchette nei vermicelli da asporto, presi nella catena di wok cinese che ho appena scoperto sul vicino carrer de Sant Pau. Il televisore lasciato come un relitto in salone è un modello antico, sull’unico canale visibile una bella donna sulla cinquantina descrive con voce suadente il significato di una carta, La Temperanza. È quella che vorremmo tutti, ammicca la maga guardando in camera.
Il cellulare mi si illumina proprio mentre lo sto spegnendo, rannicchiata nel lettino da campo. Il messaggio di Bruno è così breve che, per leggerlo tutto, non devo neanche aprire WhatsApp. Sei sveglia?
Sono quasi le due.
Mi scopro a spegnere il cellulare, senza rispondere.
A mercoledì per il seguito!
Se vi piace ciò che scrivo, date un’occhiata al mio Sam: non glielo ricordate, ma ha vinto un premio proprio figo.

Il paragone con Clara Sereni non è fuori luogo.
Mi stai molto simpatica e ti dedico questa canzone (se ti vedessi la serie da cui è tratta, credo, ti piacerebbe anche se i musical non sono la tazza di tè di tutti): https://youtu.be/bc8R7fgXDN8
Sono così commossa che non ci credo! Grazie mille, sappi che Crazy Ex-Girlfriend è la mia serie preferita di tutti i tempi, a pari merito con Homeland, e proprio oggi pomeriggio (giuro!) pensavo al terapeuta di Becca, ma per una questione amena: se ricordo bene faceva tanti squat, e io intanto (spoiler) ho abbracciato una sana pigrizia! Grazie, grazie, grazie.
Ma che meraviglia, questa coincidenza.
La faccenda del terapeuta di Rebecca appassionato di squat non la ricordavo, però, urge ripasso (ricordavo invece il tormentone della dottoressa Akopian che, ogni volta che perde la pazienza con Rebecca deve ricordarsi che i soldi delle sedute le servono per comprarsi il kayak nuovo).
A questo punto sono curiosa di sapere se Fame prenderà una piega simile al finale di CXG 🙂
Ahah io non ricordavo la questione della dottoressa Akopian! Quanto alla tua curiosità, non perderti il prossimo capitolo. E grazie ancora!