Archivio degli articoli con tag: ragione e sentimento

Risultati immagini per ciliegie  Avete presente quei libri (ma anche le serie TV) di cui diciamo “è una droga“? Mi sembra che quest’espressione venga fraintesa, scambiata troppo presto per una dichiarazione d’amore. A me, invece, rievoca più spesso un tradimento, benché delizioso, consumato in fretta come tutti i tradimenti. Riflettevo su tutto ciò a proposito di una tetralogia di cui, tra libri prestati e regalati, ho finito per comprare solo il secondo volume.

E avevo una grande urgenza di acquistarlo, specialmente perché il primo mi era piaciuto senza entusiasmarmi. Ma capivo che il ritmo avvincente e la vivacità dei personaggi mi stessero generando quello che chiamo una dipendenza a orologeria.

Già a metà di questo secondo volume mi sentivo infatti un po’ imbrogliata, tradita appunto, come se l’arte di tenermi avvinta alla trama prevalesse sulla consistenza del racconto. Tuttavia ho abbracciato con gratitudine quel prolungamento della parte di diletto, contenta di restare ancora a lungo con protagonisti così vividi.

Forse è la più tipica delle dipendenze, no? Quando qualcosa ci interessa molto, ma, come si suol dire, bisogna battere il ferro finché è caldo, o sappiamo che tra breve non saremo più così presi.

Abbiamo imparato questa lezione dopo le vacanze adolescenti al mare, con le amicizie e i nuovi amori spazzati via da zaini e compiti per casa. Ne abbiamo avuto ulteriore conferma con quei colpi di testa che chiamiamo hobby, che senza costanza si lasciano dietro solo costosi kit per principianti.

A parte le grandi passioni che possono modificarsi, ma persistono nella nostra vita (che so, scrivere per me e i motori per il mio migliore amico, tanto per chiarire cosa ci unisca da 16 anni), ci sono sensazioni più intense, improvvise, che o le coltiviamo o svaniscono.

Non so voi, ma quando una relazione di quelle da ricovero mi è andata male mi è dispiaciuto soprattutto questo: sapere che tutti quei sentimenti, quell’intensità, sarebbero svaniti, come una buona idea che non ci siamo segnati subito su un pezzo di carta.

Forse ci ribelliamo proprio a questo, a costo di essere infelici: non vogliamo rinunciare a quell’energia che ci prende quando viviamo una passione che ci droga, e che perfino in tempi come i nostri non riusciamo a riprodurre, inscatolare, fotocopiare, copincollare, salvare in una memoria abbastanza ampia da comprenderla e conservarla intatta.

Spesso il tira e molla delle passioni viene smascherato per quello che è: pericoloso. Come se bastasse questo a renderlo superfluo.

E invece mi hanno insegnato molto di più le passioni frustrate che i periodi di bonaccia. Se riusciamo nella complicata selezione di trattenere la loro parte più creativa, di blandire la minaccia distruttiva che portano con sé, sono il miglior materiale per costruire, dalle loro ceneri, ciò che chiamo serenità.

Quella sì che genera dipendenza.

Blue_Bottle,_Kyoto_Style_Ice_Coffee_(5909775445)Questa è una di quelle riflessioni che si possono produrre in un bar, a Barcellona, davanti a un caffè ghiacciato (proprio caffè e ghiaccio, è una perversione di qua). Meglio se con un’amica psicologa ad ascoltare, come sempre accade, i problemi di coppia di tutto il gruppo senza scappare a gambe levate verso la metro. Volevo riportarvi tutto il dialogo, poi ho deciso che non vi voglio male e ne riassumo le riflessioni finali.

A volte, reduci da una storia orribile, in cui non ci sentiamo amati e veniamo snobbati per altri, infliggiamo lo stesso trattamento al nuovo compagno. Oppure ci ritroviamo a guardarlo con lo stesso occhio critico con cui l’ex osservava noi.

Insomma, sembrava che per l’ex non fossimo mai abbastanza? Adesso è il nostro nuovo compagno a non sembrare abbastanza per noi. Sappiamo quanto sia brutta la sensazione di “non essere abbastanza” e l’ultima cosa che vorremmo sarebbe infliggerla ad altri.

Il fatto è che, almeno secondo l’accerchiata psicologa di cui sopra, quello che cerchiamo nell’altra persona non lo decidiamo noi. O meglio: a muoverci, oltre a ragioni perfettamente individuabili e comprensibili, c’è una parte totalmente irrazionale, ci sono le proverbiali “ragioni del cuore che la ragione ignora”. C’è chi dice che nell’altro cerchiamo un genitore, o un “problema irrisolto”. Gli junghiani parlano dell’Animus, o dell’Anima per gli uomini… Ma trovare ciò che, senza saperlo, cerchiamo, è una cosa che o succede, o ciao.

E quando NON succede, tanto vale ammetterlo e lasciar andare le cose belle fatte insieme, che magari serviranno a cementare un’amicizia a tempo debito, e aspettare/cercarsi qualcuno che quella cosa irrazionale ce la dia.

Quindi, la buona notizia è: siamo tutti “abbastanza”, così come siamo. Il punto è che a volte il nostro abbastanza non si concilia con quello dell’altro. Per usare una metafora banale, non siamo complementari: l’altro per innamorarsi ha bisogno di una certa cosa, e noi gliene possiamo dare un’altra, altrettanto preziosa, ma non rispondente alla bisogna. Non è un merito o un demerito nostro, né una colpa dell’altro. Semplicemente, è così.

E non è sempre un male. Pensate alla gente che non ha ancora risolto certi problemi con se stessa e, per innamorarsi, ha bisogno di essere trattata male.

Lo trovate ingiusto, tutto questo meccanismo? Siete in buona compagnia! La psicologa stava per essere bandita dal tavolo, dopo aver pagato il conto, ovviamente.

Possibile, insistevamo, che siamo schiavi delle nostre passioni, della nostra parte irrazionale?

– Schiavi no – ha precisato allora lei. – Forse è la parte irrazionale a essere troppo spesso schiava delle nostre decisioni razionali, quelle che prendiamo considerando tutti i fattori (comodità, interesse, progetti di vita insieme) senza mai interrogare lei. Eppure c’è, e si fa sentire, ci rompe pure le uova nel paniere, se è il suo unico modo di essere ascoltata.

Tanto vale, abbiamo convenuto, scenderci a compromessi. Più lo facciamo e meno ci rovina la vita. E poi, rivalutiamola un po’, l’irrazionalità: a volte ci ricorda solo che ci vuole passione, uno può prenderci tantissimo intellettualmente senza che ci si debba per forza stare insieme. L’amore con un libro di filosofia non si può fare.

A quel punto della conversazione, l’amica più punta sul vivo, quella che girava la cannuccia nel bicchiere senza finirsi il frullato, è sbottata:

– La fai facile! Se con qualcuno c’è grande affinità ma nonostante gli sforzi “manca qualcosa”, tutto quello che posso fare è dirgli “Scusa, so che è troppo una carognata, questa della vita, ma meglio ammettere che non vada che vivere una menzogna”. La liquidiamo così?

– Ok – ha risposto la psicologa, ormai sudata. – La vita è un po’ carogna. Ma… Hai un’idea migliore per passare il tempo?

E ha ordinato un altro caffè.

mariomerolaMi è venuta un’immagine terribile: se vi lasciano per qualcun altro, andate sotto casa dell’ex tipo Mario Merola in Guapparia (un film allucinogeno che va guardato almeno una volta nella vita). Portatevi proprio ‘o cuncertino dietro, amici dotati di chitarre ecc. e cominciate a cantare tutte le nefandezze dell’amata finché non scende l’altro a sfidarvi a duello.

No, vabbe’, scherzo, ma quando cominciate ad avere ste visioni psichedeliche, con in corpo solo un sorso di tisana, significa che state guarendo.

Anche perché secondo me, per i lutti di ogni tipo, esiste davvero un tragicomico duello tra due parti di noi che non capiscono che andare a braccetto converrebbe.

Quando muore qualcuno che ci era molto caro, quando dobbiamo lasciare per forza il posto in cui vivevamo, in ogni genere, davvero, di lutto, sopravvivere sembra quasi una vergogna. O meglio, un tradimento. Verso quello che siamo costretti a lasciare e in qualche modo ci definiva, era parte delle nostre giornate e di tutto quello che eravamo.

E se muore una parte di noi, a volte viene spontaneo chiedersi perché non la seguiamo. Un momento. Ho scritto “spontaneo”?

In effetti, se il primo duellante è il nostro ego iperrazionale che finisce per cadere vittima delle sue stesse identificazioni, il secondo contendente della lotta interna ci sembra quello più rustico, diciamo, uno zoticone. Quello che vuole andare avanti a ogni costo.

Quello che, se glielo lasciamo fare, si permette perfino di farci trovare qualcun altro da amare ancora di più, o trattenerci i migliori ricordi del caro estinto e augurargli buon viaggio, o farci chiamare casa anche la nuova dimora.

D’altronde ce lo dicevano, i libri di scienza e le maestre alle elementari: siamo animali, il vizio della sopravvivenza non lo perdiamo.

A questo punto mi chiedo se non sia il caso di sopravvivere a noi stessi, a quella parte di noi che s’identificava in quella persona (come se le appartenesse), in quel lavoro interinale, in quella casa (come se prima e dopo di lei non nidificassero gli uccelli sui suoi alberi, sempre diversi, sempre uguali).

Per fortuna, mentre io mi chiedo tutte queste cose, mentre la mia mente gira a vuoto programmandosi i suoi stessi cortocircuiti, il corpo va avanti da solo, senza chiedersi né chiedermi il permesso.

E allora mi faccio un’ultima domanda, mi chiedo se l’eroe non sia proprio lui, il corpo. Il cuore che comincia a battere quando siamo ancora nel ventre delle nostre madri e continua imperterrito nonostante i colpi che ci infliggono e che gli infliggiamo, ansioso solo di riprendere il ritmo della vita.

Che a volte si fa duro e incomprensibile, ma se avessimo la pazienza di seguirlo anche noi, invece di perderci nei labrinti della mente, ci accorgeremmo che quasi sempre finisce per avere un senso, una melodia, un motivo portante, perfino per le nostre menti ultraraffinate.

Anche se non era quello che ci aspettavamo.

Soprattutto, quando non ce l’aspettavamo.

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