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sissi nabuccoC’è questo momento dell’inaffondabile trilogia di Sissi in cui la nostra eroina, alla Scala di Milano, viene accolta col Va’ pensiero (malamente tagliato in questo link, ma l’alternativa era una pagina leghista).

Ecco, quando oggi mi sono precipitata fuori casa bestemmiando contro gli Smartphone, che tutto fanno tranne chiamare e mettere la sveglia (infatti quest’ultima non era suonata, e nella corsa non riuscivo a chiamare l’amica che mi aspettava), mai a pensare che mi sarebbe venuto in mente lui, il direttore d’orchestra dissidente che alla fine viene pure applaudito dall’inaffondabile Sissi.

Anche perché l’Auditori di Barcellona, che NON mi avrebbe aspettata per il concerto della banda e orchestra del Conservatori Municipal , con la Scala ha ben poco a che vedere. Inaugurato nel 1999, presenta una facciata modernissima e poco attraente, e un accogliente interno in legno, fatto apposta per garantire la migliore acustica. “Sì, ma non è che prendiamo fuoco?”, chiedo con la consueta paranoia di famiglia.

In realtà sull’acustica, mi spiega l’amica porgendomi i biglietti (il concerto è gratuito, ma bisogna procurarsi i biglietti per tempo), qualche melomane ha qualcosa da ridire. Io avrei da dire solo che ho fame, ma la banda del conservatorio entra appena ci siamo sistemati nel galliner, che è la versione catalana della piccionaia. Fortuna che qui è come il Camp Nou, vedresti bene pure se sali sul riflettore. E che le vecchiette catalane che cercano di silenziare i cellulari dell’anteguerra sembrano più simpatiche e deliziosamente sprovvedute delle nostre signore impernacchiate.

E sprovvedute applaudono, nel religioso silenzio degli intenditori, negli intervalli tra le Danze scozzesi di Arnold.

Oh, ma che volete, io sono rimasta tra i paesaggi dell’Oregon di Jacob de Haan.

E prima di dare il cambio all’orchestra sinfonica, la banda suona pure una di quelle marcette che nessuno ricorda mai, ma tutti sanno fischiare, infatti è un concerto per musica e fischi (del pubblico contento). È tutto molto rustico, e infinitamente scanzonato.

E l’Intermezzo della Cavalleria Rusticana (dall’Oregon alla Sicilia, non ci facciamo mancare niente) ci sta leggero e sognante come i paesaggi etnei che mi evoca. E Verdi lo segue in versione un po’ zumpappà (qualcuno dicesse a chi ha stampato il programma che “Traviatta” sarà sua nonna!).

sardana Ma hai voglia di dire amami Alfredo, quello arriva giusto in tempo per salutare Violetta e ballare il bis: perché un esile suono di flauto, seguito da un applauso scrosciante (e varie braccia sollevate in aria che vorrebbero intrecciarsi), annuncia l’inevitabile sardana, ballo popolare catalano che suscita qualche sbadiglio tra gli stranieri e molto entusiasmo tra gli anziani, che lo saltellano davanti alla Catedral alla faccia di Franco, che l’aveva proibita. Sarebbe contento Baldomero Pallé, legionario catalano (forse maiorchino) nella Grande Guerra, che in una polverosa lettera da Saida di 100 anni fa giurava che “en mitx del desert si han cantat sardanas Estimat Plá era en Baldomero que sa cantava”. Va per tu, Baldomero che ancora non riesco a portare sulla carta stampata come vorrei.

E sempre per la gioia di Baldomero, e di chi l’ha preceduto e seguito, alla fine della sardana succede. Negli applausi generali, alcuni musicisti cacciano fuori l’estelada, la bandiera indipendentista catalana. La sventolano, l’appendono agli spartiti, e diventa un’ovazione.

Ormai è questione di secondi. Credo parta dall’ala destra, dai palchi, ma il grido cadenzato si propaga come un fuoco, quello che temevo riducesse in cenere il teatro.

I-inde-independènci-a!

Gridano tutti, pure i genitori della mia amica. Pure lei, che di solito dice ok, paghiamo più tasse e vorremmo più autonomia, ma da qui a separarci dalla Spagna…

I-inde-independènci-a!

E io, che almeno non sono l’austriaca della situazione, faccio come l’inaffondabile Sissi: applaudo. Per il bel concerto gratis, e il finale che non sarà spettacolare come il Nabucco cantato dai cuochi alla Scala, ma il Risorgimento 2.0 è frutto di un’altra epoca.

http://www.youtube.com/watch?v=G_gmtO6JnRs

foto inedita… :p

– Tieni, questo è l’anello che mi regalò tuo nonno la nostra prima Epifania da sposati.

6 gennaio 1951, ho calcolato, sopraffatta dal regalo. Un fiore coi petali d’oro, di tre colori diversi.

– Me ne fece qualcun altro, poi quasi niente – ha continuato al passato remoto – il fidanzamento è una follia. Il matrimonio, invece … – .

Da fidanzati il nonno si era intrufolato nell’aula in cui lei insegnava, prima della campanella, e aveva scritto “Ergerti vorrei un trono vicino al sol”. L’Aida, di Verdi. Quello dell’inno padano.

Poi Aida si era messa il grembiule e addio poesia.

Oggi abbiamo altri regali e altri alibi. Uno che ho smesso da poco, comodissimo, è gli uomini si mettono con le tipe insulse perché hanno paura di quelle intelligenti. Ora mi sembra l’equivalente femminile dell’odioso le donne si mettono con quelli che hanno i soldi.

E poi, cos’è “insulse”? Tranquille, allegre, serene? La mia generazione confonde spesso intelligenza e inquietudine.
E se ci sono ancora uomini che non lo fanno, allora dovremmo prendere esempio, penso con un sorriso.

Ma io l’ho già fatto. Che ci trovi, mi chiedevano l’anno scorso, in uno che non parla nessuna delle lingue che parli tu, che obbedisce ciecamente alla sua religione, che a volte ti fa domande da bambino delle elementari?

Innanzitutto, quelli che l’hanno visto sanno che ci trovavo. Al diavolo il discorso sull’intelligenza più importante della bellezza. La bellezza è un miracolo, e se non è un “merito” non sono sicura che l’intelligenza lo sia.

E poi ci trovavo la pace. Una filosofia ovvia e tranquilla: “Che non possiamo comunicare non è un problemo. Un problemo è bimbo senza gambe”. E sospetto che in Kashmir ne avesse visto più di uno.

E il futuro. La rarità di essere uomo a 30 anni. Di voler solo un po’ di pace e un terrazzo vicino al sol (il trono è scomodo), e un figlio da circoncidere con una bella cerimonia (“Sul mio cadavere”, annunciavo bellicosa).

Non è durata, però, il rimedio all’inquietudine non è la noia. Ci vuole equilibrio.

Che se lo cercassero altri, io sto bene sulla mia amaca a una piazza sola. Ok, una piazza e mezzo.

Ma la nonna non capisce quando parlo così.

Ho infilato l’anello all’anulare sbagliato, pensando alle cose che non saprà mai.

E a quelle che non saprò mai io.

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