Ecco qui (scorrendo dal basso) le puntate precedenti.

Alcuni nomi e fatti sono stati alterati per questioni di privacy, ma le cose sono andate più o meno così.

Per un momento

Da es.paperblog.com

Il corpo non sente ragioni.

Un mattino di aprile lo sento prendere forma sotto le lenzuola: rifiuta l’assenza a cui l’ho costretto, reclama il suo spazio. Affondando la mano sotto al lenzuolo riconosco i percorsi che piacevano a lui. E io, dov’ero? Dove sono ora? Devo ritrovare la strada per raggiungere me, solo me. Per un po’ ci riesco, poi succede. Mi balena davanti l’immagine di lui.

Allora balzo fuori dal letto. Non sento più il corpo, non so perché sta correndo in corridoio, a piedi nudi, vestito a metà. So solo che non ci riesco. Non riesco a tradire Bruno con me stessa, e allora mi vedo spalancare la porta del balcone. È quello su cui una notte ero rimasta intrappolata, costretta a osservare la mia vita da fuori. Tra la ringhiera e la pianta dalle radici pensili mi aspetta la strada. È l’istante peggiore. Il mio corpo è staccato da me, per un momento non so cosa sta per fare.

È in quel momento che viene lei. Non la avverto subito, ma sento di nuovo la maniglia sotto le dita e, scivolando a terra, mi ci aggrappo il tempo necessario a riconoscere quella cosa senza nome, la Forza che per salvarmi dalla strada mi butta a terra, sul pavimento.

Stavolta però è diverso. Stavolta ho visto ciò che rischio di fare quando la mia mente insegue i suoi fantasmi, e il corpo deve salvarsi da solo. Devo farli incontrare di nuovo, mente e corpo: unirli come è giusto che sia.

Se c’è un momento, è questo. Non è il crollo improvviso del mio castello di carta, non è la fuga verso il mare, o la mia voce che rompe il silenzio davanti a cento persone. Non è il terremoto, non è il giorno in cui imparo a mettere alla porta un uomo che mi vuole ingannare.

Eccolo il momento, eccomi. Per muovere quei passi in corridoio, per infrangermi contro i vetri di un balcone, ho iniziato a camminare una notte di novembre con un ragazzo che mi faceva ridere, e il mio cammino si arresta ora, davanti a queste radici pensili che si aggrappano oscene alla vita. Anche io scelgo quella, più di tutto. Più di lui.

Dio, devo fare tante cose.

Devo uscire dalla Casa degli Spiriti, dalle pareti ancora sfrangiate sotto la mano di pittura. Devo vedere quell’attico gelido, confidando nella primavera. Devo studiare cose che ho rimandato troppo a lungo.

E devo imparare a camminare: tutte le volte che servono.

Ma in quel momento non serve neanche quello. Mi basta piantare i piedi sul tappeto polveroso che lambisce la porta del balcone, e fare un ultimo appello alle gambe: ci sono. Fredde, indolenzite, ma ci sono.

Così la mia presa sulla maniglia del balcone si fa di nuovo forte, poi si allenta.

Finalmente mi sono rialzata.

A lunedì per il seguito!

Se vi piace ciò che scrivo, date un’occhiata al mio Sam: non glielo ricordate, ma ha vinto un premio proprio figo.