Ecco qui (scorrendo dal basso) le puntate precedenti.

Alcuni nomi e fatti sono stati alterati per questioni di privacy, ma le cose sono andate più o meno così.

Presenze

Da cosedinapoli.com

Non mancano i volti buoni.

Nella Casa degli spiriti approdano due amici di passaggio per Barcellona, reduci entrambi da una rottura sentimentale. Uno dei due, napoletano, non fa che ripetere che “noi donne” siamo questo e quest’altro, al punto che resto zitta solo perché non ho le forze per replicare. L’altro, madrileno, l’ha presa così bene che il tempo di posare la valigia e sta già chiacchierando su Skype con l’ex. Alla fine ci tornerà insieme e avranno due bambini, ma intanto ci indottrina: si no puede ser, no puede ser. Perché noi italiani la facciamo così tragica? Tutta colpa del Vaticano! Io e l’altro napoletano dovremmo dare uno schiaffo morale al papa e coricarci insieme: almeno ci facciamo compagnia…

“Perché non ci dormi tu, con me?” lo sfotto, strizzando l’occhio al napoletano. “Voi spagnoli parlate tanto, ma poi…”.

Lo vediamo filare nella stanza degli ospiti, e ne ridiamo. Quella volta non mi sveglio alle cinque del mattino per piangere.

Viene anche mia madre, per “aiutarmi coi lavori in casa”: forse quello è il primo viaggio che fa da sola. Mi hanno sempre affascinato le donne della mia vita, coi loro gnocchi sfatti e le scelte così diverse dalle mie. Mamma mi porta tante cose da mangiare, e La Settimana enigmistica, che diventa il suo passatempo barcellonese insieme alla lettura delle notizie: al contrario di me non ama uscire, e adora la casa che io detesto.

Non saprò mai in che lingua riesca a litigare col capomastro, un giovedì che rincaso tardi per ritirare della paella da asporto. Dai monosillabi di lui capisco che mamma si è “permessa” di suggerire un colore diverso da quello concordato per tinteggiare le stanze, e lui non può prendere ordini da due clienti diverse. O da due donne? Non glielo chiedo. È ormai evidente che si era accollato la tinteggiatura solo per aggiudicarsi l’impianto elettrico (per il quale poi non mi rilascerà l’apposito bollino). Anche stavolta il mio corpo agisce prima di me, e mentre accompagno alla porta il furfante sto già chiamando un imbianchino suggerito da un altro frequentatore dello Spazio: un artista che pretenderà subito le chiavi, per poter dare priorità ad altri incarichi, e dopo un mese di tinteggiature notturne e capatine alla dispensa non mi praticherà lo sconto promesso.

Se i lavori in casa sono un inferno, quelli a Barcellona lo sono di più.

L’artista-imbianchino si farà aiutare proprio dall’amico che me l’aveva consigliato (altra coincidenza strabiliante!), e che mi saluterà ironico al mattino, quando mi vedrà uscire dalla stanza a mezzogiorno passato.

Non gli spiegherò che a volte piango fino all’alba, quindi mi addormento tardissimo, e comunque mi tengo il computer sul comodino, in caso sia abbastanza lucida per seguire il corsetto online. A tinteggiatura finita, sotto la mano di pittura fresca scorgerò ancora brandelli di parato.

Poco prima che mia madre riparta, un’attrice napoletana viene a propormi un progetto artistico che non andrà in porto, e a darmi una dritta: nel suo palazzo al Poble-sec si sta liberando un atticuccio piccolo e gelido, e a buon mercato. Aspetto che mamma prenda l’aereo per contattare il proprietario. La Casa degli spiriti sfida ogni mio tentativo di sentirmici bene.

Per qualche giorno mi fa visita pure una madre che mi sono scelta io: la professoressa che mi ha iniziata al femminismo accademico, e che tutta entusiasta farà avanti e indietro con dépliant di musei e bigiotteria da mercatino, chiedendosi perché io sia così refrattaria a divertirmi.

In suo onore invito gente dello Spazio, armata di bombolette e striscioni intonsi: parteciperemo al corteo dell’8 marzo! In mailing list ho scherzato sul fatto che stavolta non griderò lo slogan “La taglia 38 mi stringe la patata!”, e un’attivista queer si è prodigata in una filippica sull’uso dell’ironia nella lotta al patriarcato. Ho capito, replico, ma ormai la 38 non mi stringe un bel niente. Dovrei forse restare a casa?

No. Mentre prepariamo gli striscioni, qualcuno chiede notizie di Bruno: a quanto pare non frequenta lo Spazio da un po’ (come me, d’altronde), e non si trova in un periodo felice. Prima che gli altri possano replicare, scappo a preparare altro caffè.

Alla manifestazione mi diverto, grido slogan, mi commuovo. Un video dei The Jackal mi ha confermato che l’8 marzo in Italia significa ancora mimose e spogliarelli, e questa cosa a quanto pare farebbe molto ridere. A Barcellona, mentre il corteo si prende tutto il centro, la vetrina di un negozio italiano di intimo viene bombardata di scritte, con sommo scandalo della figlia di un Guardia Civil, trascinata alla manifestazione da una collega che bazzica lo Spazio. Io fisso come ipnotizzata quei reggiseni di pizzo dozzinale, imbottiti pure se vestono una terza abbondante. A seppellirli è bastato un colpo di bomboletta: “Stop alla pressione estetica!”. È la prima volta che mi imbatto in quell’espressione.

“Noi uomini pretendiamo troppo da voi” aveva ammesso Bruno una volta. La frase mi aveva infastidito anche così: qualsiasi pretesa era troppo, non importava se fosse grande o piccola…

Scaccio via il ricordo e agito di più lo striscione.

Qualsiasi cosa pretenda Bruno, non è più affar mio.

A mercoledì per il seguito!

Se vi piace ciò che scrivo, date un’occhiata al mio Sam: non glielo ricordate, ma ha vinto un premio proprio figo.