Ecco qui (scorrendo dal basso) le puntate precedenti.

Alcuni nomi e fatti sono stati alterati per questioni di privacy, ma le cose sono andate più o meno così.

Gol!

Mi spiega che io sono un traguardo.

Sono la prima ragazza normale con cui riesce a stare! Un tempo le voleva troppo fighe, anche i suoi amici gli dicevano che doveva abbassare gli standard. Lo dice tranquillo mentre quasi sonnecchia, perché a me può dire tutto.

Non mi nasconde di mandare foto mie ai suoi amici, come mandava a me quelle della Bella Stronza (non che ci sia paragone, ma questo è implicito…). I commenti che mi riporta sono l’ovvia risposta alla domanda “che ne pensi?”. Di solito dicono che posso andare. Uno aveva fatto un’osservazione non proprio gentile sulle mie origini napoletane. Solo una ragazza latina era entusiasta, ma aveva sbagliato a scrivere il mio nome in chat, e adesso lei e Bruno mi chiamano tra loro con quel nome storpiato. Sono stata ribattezzata a mia insaputa.

Ormai ho imparato a contare fino a dieci, quando mi dice queste cose. Cerco sempre una risposta che sia ragionevole e non polemica. Se lo critico per questioni del genere, si scalda molto: è solo uno sincero, lui.

Il bello è che anche Bruno ha segnato un cambiamento, per me: da quando ero a Barcellona badavo di più all’attrazione fisica, anche perché se mi attraeva qualcuno mi scoprivo più spesso ricambiata, rispetto all’Italia. Con Bruno hanno prevalso altri fattori, però di lui non pensavo che fosse bello o brutto: non pensavo niente. Adesso so che sotto i vestiti che lo infagottano ha un bel corpo, e che non ci crederà mai.

Lui, invece, è felice di farcela “anche” con me. Mi fa strano sentirmi spiegare questo nella mia lingua, subito dopo una siesta. Nella penombra delle imposte chiuse ho come un’allucinazione: attraverso Bruno mi sta parlando l’Italia intera. Te l’ho detto che non valevi granché. Era necessario partire, per averne la conferma?

Da quando ho richiamato Bruno, i giorni sono stati così: felici o tristi, senza vie di mezzo.

Quando va bene ridiamo, c’è il sole in terrazzo. A volte parliamo pure.

Quando va male non succede all’improvviso. Un giorno ti dici che di ritardi ne ha sempre fatti, che se non ti scrive da due giorni sarà impegnato, che se ti parla delle altre è normale, no? Anche tu puoi parlargli degli altri.

Una volta che ha superato le due ore di ritardo, l’ho lasciato davanti alla tavola apparecchiata e sono andata a dormire. Gli sembrava strano, più del ritardo con cui si era presentato. Io invece ero fiera di me. Poi mi sono pentita e sono andata a fargli compagnia.

Una notte, pur di addormentarsi nel suo letto lascia casa mia alle quattro. Mi richiama mezz’ora dopo: gli hanno scassinato casa. I coinquilini erano ancora immersi nel sonno, se lui non fosse tornato a quell’ora avrebbero scoperto il furto col sole già alto. Mi ha chiamato per sfogarsi, e anche per rassicurarmi: non dirà a nessuno dov’è stato, prima di rincasare. Si sente molto nobile per questo, il proverbiale gentiluomo che gode e tace. Io non mi sento così lusingata: cosa staremmo facendo di male? A meno che lui non si vergogni di me. La sua omertà è la soluzione a un problema che si è creato da solo. 

No, non succede all’improvviso. È come la storia della rana nell’acqua fredda, che non è neanche vera. Ma le frasi di Bruno lo sono, e io sono un traguardo, dunque, un “goal” che ha infilato alla vita. Abbiamo litigato pure su come si scriva goal: per lui esiste la versione italianizzata e si deve usare quella, mentre io sono stanca di dover italianizzare tutto.

Ciò che non mi stanca ancora è sentirmi dire che non valgo niente.

A lunedì per il seguito!

Se vi piace ciò che scrivo, date un’occhiata al mio Sam: non glielo ricordate, ma ha vinto un premio proprio figo.