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indignados2Beppe Grillo è stato gentile, con me.

Due anni fa, primavera 2011. Martellavo da qualche giorno quel sant’uomo di Augusto di italiaes.org, perché aveva organizzato lo spettacolo che Grillo avrebbe dato quel 19 maggio al Casino l’Aliança di Poblenou. Fammelo conoscere, gli chiedevo, magari ci fa pubblicità all’iniziativa che stiamo promuovendo per i referendum del 12 e 13 giugno.

E Augusto fu di parola, con qualche giorno d’anticipo. Passeggiavo per il Born con degli amici, di sera, quando lo incontrai fuori a una gelateria, con un gruppetto di gente:

– Volevi conoscere Beppe Grillo, no? Be’… Maria, Beppe Grillo.

Il diretto interessato mi diede la mano libera dal gelato. Mentre i miei amici si organizzavano convulsamente per scattare una foto, gli parlai del progetto, organizzare uno sbarco di italiani all’estero a Civitavecchia come gesto simbolico per invitare al voto. Lui mi disse che stava pensando a qualcosa del genere per il suo movimento, preferendo però l’aereo come mezzo di trasporto (allora pensai all’organizzatrice ecologista che si era tolta di mezzo perché la nave inquinava troppo). Gli chiesi di farci un po’ di pubblicità, e lui acconsentì. Poi si avvicinò ai miei amici:

– Ragazzi, posso chiedervi un favore? Vorrei farmi una foto con voi. È da oggi che vi seguo…

Risata, foto.

Il giorno dello spettacolo, dopo un po’ di volantinaggio, mi misi in prima fila perché si ricordasse dell’impegno preso. Se ne ricordò, ma aveva scordato me: a un certo punto, raccontando non so che magagna del Parlamento italiano, fece la gag di guardarmi un secondo e parlarmi in spagnolo, qualcosa tipo “Entiendes? Madonna, la gente di qua non deve capire niente di quello che dico, sono cose dell’altro mondo!”. La gente di qua. Sorrisi. Missione compiuta comunque, per quello che servì, e bello spettacolo.

Subito dopo andai dagli Indignados. Ebbene sì, il 15-M, la manifestazione del 15 maggio 2010 che aveva dato inizio a tutto, era passata da qualche giorno, e c’erano le tende in Plaça Catalunya.

È un luogo comune diffuso, quello di dire “mi mancano le parole”. Ma dovrò usarlo, mi mancano le parole per descrivere l’atmosfera che c’era in quella piazza. Conservo foto di distese di mani alzate, nelle assemblee, di pentole battute a tappeto ogni sera alle 21, anche nei quartieri, nel mio Raval. E poi le manifestazioni oceaniche in cui le nonne spingevano il carrozzino dei nipotini, con tutta la famiglia, e le mani si alzavano tutte insieme a salutare l’elicottero della polizia.

Qualcuno dice che è successo in Spagna, e non in Italia, perché noi non eravamo ancora disperati come loro. La burbuja inmobiliaria, la crisi immobiliare spagnola, ce l’avevano loro e non noi. Io non sono sicura che sia solo questo. Credo che per motivi eterogenei qui ci sia una maggiore capacità d’indignarsi, davvero. Di protestare senza per forza essere o troppo deboli, o troppo violenti.

Ma non è di questo che volevo parlare.

Mi premeva sottolineare che venissi dallo spettacolo di Grillo. E uno degli amici italiani in piazza, tra le tende e le assemblee che si organizzavano, non mi lasciò neanche dire quanto mi fosse piaciuto come comico: lo attaccò immediatamente come un caudillo qualunquista che distruggeva senza costruire, frammentando ulteriormente la sinistra italiana. Allora i paragoni con Berlusconi e Mussolini, se c’erano, erano sul nascere.

E invece Grillo era stato in piazza proprio in quei giorni, a dire che il Movimento 5 stelle aveva fatto le stesse cose degli Indignados, anni prima. Guardate un po’ il video alla fine dell’articolo.

È questa la cosa che mi è rimasta più impressa, del soggiorno di Beppe Grillo a Barcellona.

Il suo paragonarsi agli indignados. Specie ora che so cosa ne sia stato, del movimento.

Intendiamoci, ci ha fatto bene. Come diceva già lo scrittore Eduardo Galeano nella stessa piazza, non importa come sia andata a finire, l’importante è aver ripreso a parlare di politica, aver ricordato che è meglio scendere in piazza e parlarne tutti insieme, che lamentarsi a casa e cercare soluzioni personalistiche.

E poi gli indignados non si sono candidati. Ricordo che per un po’ anche gli spagnoli e catalani di destra cercavano di dialogare col movimento, e l’assenza di bandiere e simboli politici favoriva il dialogo. E poi, si cominciava ad avanzare l’ipotesi che le ideologie classiche siano inadeguate ai tempi moderni, senza dover per forza essere tacciati di qualunquismo (termine, peraltro, difficile da tradurre in spagnolo).

Gli amici che dai bar di paese scuotevano la testa, sottolineando l’importanza dei partiti come strumento di coesione e organizzazione, mi sembrarono antiquati come dovranno sembrare ora a certi grillini: non che avessero torto a priori, ma erano troppo attaccati a quella parte fondamentale della loro identità per essere davvero in grado di metterla in discussione.

Ebbi la fortuna di vedere pure gli indignados francesi, e proprio il 4 luglio: vederli, ahimé, più che capirli, mentre la polizia li autorizzava ad accamparsi solo senza duvet, e discutevano su cosa intendesse la polizia per duvet.

Ma a Barcellona il movimento si screpolò, si frammentò nelle assemblee di quartiere, che dopo l’entusiasmo inziale si frantumarono a loro volta: i più assidui, almeno nel Raval, cominciarono a essere quelli più radicali, le signore franchiste smisero presto di portarsi la sedia sulla Rambla del Raval, per non sedersi a terra con noi.

Cosa rimane? Tanto. Tante iniziative politiche e sociali promosse da allora hanno la stessa impronta libertaria, lo stesso spirito democratico che porta a discutere e decidere tutti insieme. E ripeto, la gente ha più chiaro che indignarsi sia un diritto, a volte un dovere.

Il Movimento 5 stelle, che Grillo faceva così vicino agli Indignados, si è candidato, è diventato il primo partito italiano. Avete seguito più e meglio di me i primi passi in Parlamento, le chiusure e gli insulti. E la discussione interna sulla possibilità di slegarsi dalle direttive dall’alto.

Anche degli indignados si vociferò che fossero manovrados, e anche in questo caso mi sembrò una prova della piccola mente degli italiani che non capivano un movimento del genere.

Ora, francamente, non so che pensare. Alle elezioni ho votato Sel. E quelli che hanno fatto una scelta simile ora vogliono aggrapparsi al filo di speranza offerto dalla sorpresa 5 stelle, dalle coscienze dei singoli che compongono il movimento.

Davvero, non so.

So solo che la gente che aderisce a movimenti del genere, viene da storie diverse, e le ha portate direttamente in piazza, per confrontarle con quelle altrui. E non per distruggerle a priori, davvero. Per costruire, o almeno provarci. A prescindere da cosa pensi chi abbia cominciato tutto.

A conservare questo spirito, magari, qualcosa di buono prima o poi ne esce.

– Adesso Maria si mette in testa al corteo e dice: che noia, questa manifestazione, nessuno mi spara!

In effetti alla manifestazione del 12-M a Barcellona mi sono annoiata assai.

E meno male.

Già è stato un miracolo arrivare in tempo, reduce dal colloquio di lavoro più strano della mia vita (a casa mia davanti a un caffè a meditare di convertirmi in una venditrice via Internet).
Ma Altraitalia conosce i suoi polli e i suoi membri stavano ancora fuori alla Fnac di Plaça Catalunya, benché privi di metà ciurma e dello striscione con un non meglio identificato tiburón (lo squalo del capitalismo, o qualcosa del genere).

Enrico, che riesce ad arrivare più tardi di me, si lamenta della musica, classica miscela fricchettona di canzoni fatte per saltare. Noialtri, mentre percorriamo il tragitto più strano di sempre, siamo perplessi dall’affluenza: la folla c’è ed è colorata, con cartelloni fantasiosi e sbalzi anagrafici che vanno dai liceali ai mitici iaioflauta (da iaio, nonnetto in catalano, e perroflauta, fricchettone). Ma mentre percorriamo Ronda Universitat e ci perdiamo continuamente tra Plaça Universitat e Diagonal, l’impressione è che siamo meno del previsto. E scandiamo male perfino lo slogan classico “No hay pan pa tanto chorizo” (chorizo in spagnolo significa anche sfruttatore, imbroglione).

Eppure il mio primo vero ricordo del 15-M è Miguelín che posa lo zaino in mezzo a una Plaça Catalunya in piena cacerolada, ne estrae cucchiai e ce li distribuisce, porgendoci pure un coperchio. Tornavamo da una soporifera conferenza su qualche pagina di storia catalana “ingiustamente sottovalutata”, lontana anni luce da quanto stava accadendo in quel momento: gente di tutte le età che sedeva in una pi(a)zza normalmente infestata da piccioni e turisti, e prendeva la parola. Magari per dire minchiate, ma lo faceva.
Una delle meno balzane era che le ideologie si trovassero impreparate di fronte a problemi sempre più complessi.
Qualunquismo, sentenziò il pubblico “da casa”, con una parola intraducibile. Non c’è un programma e senza partiti non si va da nessuna parte. Soprattutto, pensavo, non si va al baretto in piazza a sputare noccioli di olive e soluzioni politiche davanti a un Apertas, che per tanti gggiovani italiani di sinistra, imho, sarebbe l’evoluzione delle gare a chi ce l’ha più lungo .

Qua a Barcellona l’aperitivo è un disastro, ma queste gare non si fanno a botta di pessimismo e slogan d’annata. E guarda caso, la partecipazione femminile è molto più ampia.

Purtroppo tempo due mesi e, almeno nella mia assemblea de barri, rimase gente di un solo colore e di un solo credo, cospirazionisti estremi e rastoni capaci di litigare mezz’ora col poliziotto che a mani giunte ti spiegava che per vedere un film in piena Rambla Raval avevi bisogno dell’autorizzazione (per poi rivelarti che V for Vendetta gli sembrava molto interessante).

Ma i miti sempre uguali di vari compaesani (Gian Maria Volonté o Bombolo, senza soluzione di continuità) non mi erano mai sembrati così lontani dalle famiglie intere, dalla nonna alla nipotina, che invece di Bandiera rossa “cantavano” di affitti e tagli alla sanità.

Ecco, un anno dopo le nonne sembrano sparite, iaioflauta a parte.

– Ti ricordi, Maria? – si gira Paolo all’angolo tra Universitat e Balmes – qua è dove ci hanno sparati – .
Stavolta invece la polizia la intravedo da lontano. Noi siamo impeccabili, fin troppo compiti, e loro discreti, lontani.

– Magari stanno dietro di te – spiega Nicola, che è il più scherzoso e loquace, sponsorizzando a più riprese la presentazione del suo libro sull’occhio perso per colpa di Robben, e di un proiettile ad aria compressa. Invita pure Marianna, mai intravista in Piazza nonostante gli accordi, e spuntata all’improvviso un chilometro più tardi.

A quell’ora sono talmente annoiata che parliamo del più e del meno, del suo nuovo lavoro all’Avis e della proposta che hanno appena fatto a me. Ci svegliano un po’ i fischi fuori alla Borsa de Barcelona, sul Passeig de Gràcia. E i saluti collettivi al mio caro vecchio amico di sempre, l’elicottero della Polizia a quota “ti scompiglio i capelli”.

Arriviamo a Plaça Catalunya che per l’affluenza (“Ah, ma allora sì che eravamo tanti”) ormai non possiamo più ascoltare l’assemblea, e ripassare i vari gesti per partecipare al dibattito. Gli stessi che l’anno scorso facevamo a quelli rimasti al di là del cordone di polizia, nello sgombero del 27 maggio.

Stavolta invece vado ad ascoltare Stefano Benni.
È bello il Palau de la Virreina che risuona del suo Blues per sedici, o “per setze”, nella nuova versione catalana, anche se a noi legge in italiano, nel parapiglia generale delle prime file invase dalla pioggia.
E poi, a La Cucchiarella in Rambla Raval, la fella di gattò mi commuove e mi consola delle discussioni lombrosiane su quali pizzerie a Barcellona siano della camorra e quali no. Sospetto che la giacca buona di Toni Servillo in Gomorra depisti ancora tanto, mentre al momento di pagare scopro un piattino di minisfogliate.

– Una frolla – ordino, come sempre.
– Mi spiace, vendiamo solo la razione. Ma aspetta, ce n’è una spaiata.

Finisce che me la regalano. E la mia giornata 12-M si conclude al profumo di vaniglia. E a scrocco, naturalmente, se no che qualunquista sarei.

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