
Il Quarto Stato da bere
Quando mi lamento delle volte che mi sveglio alle sette meno un quarto, come Quelo, lo so che mia madre si è alzata anche prima, per più di trent’anni.
So pure che tanti operai si alzano molto più presto per andare alla catena di montaggio, e che c’è gente che si fa un’ora di macchina, andata e ritorno, per portare mille euro a casa.
Quando mi lamento non lo faccio perché è faticoso, ma perché è surreale.
Per me lo è, farsi un’ora di treno per insegnare un’ora e mezza, due volte a settimana, nella stessa azienda, senza la possibilità di dare due lezioni di seguito, perché o cominci alle 8.30 o “i dipendenti si deconcentrano”. È surreale dover andare anche quando sai che non ci sarà nessuno, per via delle sovvenzioni, e non mi lamento con la coordinatrice perché una volta c’è dovuta andare lei, che non parla italiano, pur di portare la lezione a casa.
Di che ti lamenti, mi chiederete: per fermarsi a gente con la mia formazione, mezzo mondo vive con contratti trimestrali soggetti alle regole più strane. D’altronde c’ero anch’io, quando all’università una gola profonda spiegava che, delle tre entità che finanziavano il gruppo di ricerca, ne era rimasta solo una, ed elargiva due terzi in meno dei soliti fondi. Ma non credo che la soluzione sia pagare i professori associati cinque euro l’ora.
Allora, alla vigilia del primo maggio, lo chiedo a tutti: di che ci lamentiamo? Beh, del fatto che a lamentarsi, per esempio, si passa per giovani che non vogliono lavorare.
Oppure del fatto che non si fa nulla finché la cosa non ci riguarda in prima persona: che grave errore di calcolo, dimenticare che, come si dice oggi, siamo tutti “interconnessi”. Che se subaffittiamo una stanza a 600 euro per “arrivare a fine mese” aumentiamo gli affitti di tutto il quartiere, e quando ci aumenteranno l’affitto del 50% ce ne dovremo andare anche noi.
E non fatemi ritornare all’8 marzo e a chi, della folla oceanica su Passeig de Gràcia, vede solo le tre che entrano da Starbucks, e che la fanno sentir meglio per non aver manifestato.
Sta’ a vedere che la domanda finale resta la solita: “Per chi suona la campana?”.
E la risposta, purtroppo, la conosciamo.

Oggi ci sono cascata: mi sono messa a commentare su facebook un paio di post che non mi trovavano d’accordo. Uno ridicolizzava una presunta esibizionista da spiaggia (la didascalia era “ben GLI sta”…) e un altro, a proposito di slut shaming, difendeva la lingua italiana da quelle contaminazioni terribili tipo leader oppure font, che suggeriva di sostituire con un pratico e funzionale “carattere tipografico”. Ho capito che a scuola avete imparato il francese, cari gendarmi della lingua (l’età media dei commentatori era alta), ma fatela finita, sì? Ecco, mentre facevo tutto ciò, mi è piombata addosso la punizione divina: mi è andato di traverso l’intruglione che per insondabili motivi digestivi mi faccio ogni due giorni (miscela mefitica di cannella, zenzero, miele e succo di limone) e, dopo averlo sputato in ogni dove manco stessi affogando nel Mar Morto, mi sento come al terzo giorno di mal di gola.