Archivio degli articoli con tag: ritorni

Ecco qui (scorrendo dal basso) le puntate precedenti.

Alcuni nomi e fatti sono stati alterati per questioni di privacy, ma le cose sono andate più o meno così.

La strada per tornare da me

Incredibile: non ha fame.

C’è qualcosa che sta divorando lui, da dentro. Per aiutare un amico in difficoltà ha perso molti soldi, e quando ci si mette è così generoso, ricordo assistendo alla sua angoscia. Non si riesce a perdonare per quella sua fiducia mal riposta, e all’inizio del suo sfogo avverto una sensazione all’addome, come se lui mi avesse conficcato tra le costole quel suo grande zaino che porta ovunque. Magari era questo l’effetto a cui puntava per me la Strategica: una repulsione immediata allo psicodramma a cui sto assistendo.

E invece ogni strategia svanisce quando Bruno inizia a piangere, e io concludo che soffriamo della stessa incapacità di trovare un posto nel mondo. Forse è questo a darci una fame perenne, anche se a volte ci sembra di no.

Ed è questo a buttarci l’una tra le braccia dell’altro, e anche stavolta lui è il mio male e il mio rimedio. Ma non finisce al solito modo. Il mattino dopo, prima di infilarsi gli auricolari, Bruno mi dà già un appuntamento per la prossima volta, di lì a due giorni. È cambiato qualcosa nel suo modo di guardarmi. Forse sono più sicura, diretta.

Di certo sono molto più magra di come mi ricordava.

Non voglio pensare che sia solo questo, o il fatto che gli serva un sostegno: voglio vivere questo nostro ritrovarci, che all’improvviso sembra reale. Voglio tornare in quel posto che conosciamo solo noi, e stavolta mi pare che anche lui sappia la strada.

Quando mi rivede, la Strategica rischia sul serio che le salti al collo per la gioia: il suo metodo funziona! L’ha fatto addirittura tornare da me, e stavolta non disdegna troppo l’idea di restare… L’altra mi guarda con l’espressione di una che abbia vinto la lotteria senza giocare. Ormai mi è chiaro che la sua strategia sopraffina era farmi affezionare allo status di single, finché non lo preferissi alle montagne russe con Bruno.

Ma è contenta anche così: a fine seduta intasca gli ottanta euro con più soddisfazione.

Stavolta ci rivedremo tra un mese, mi annuncia come se mi facesse un regalo. Non sono entusiasta: è tutto, no? Il trattamento è finito, ed è stato davvero breve e strategico come prometteva… Lei fa per dire qualcosa, poi sorride.

“Facciamo almeno un’altra seduta per monitorare”.

Vuole solo i miei soldi, provo a pensare, ma lei mi guarda in un modo così strano che non ci riesco.

A venerdì per il seguito!

Se vi piace ciò che scrivo, date un’occhiata al mio Sam: non glielo ricordate, ma ha vinto un premio proprio figo.

gustav dorè Diciamo che il mio rapporto con la scrittura è sempre stato un po’ strano. Che fosse mia o altrui, eh, a parte la constatazione che quella altrui è quasi sempre meglio (ma non mettiamo limiti alla Provvidenza).

Dopo un glorioso intento di traduzione all’impronta della Stele di Rosetta, al British Museum, con tanto di scolaresca impaziente alle spalle, gli ultimi episodi imbarazzanti di questa tempestosa relazione si sono verificati sempre in Inghilterra, durante l’Erasmus: sono stata tra le migliaia di idioti che davvero hanno battuto le mani quando Peter Pan chiede se crediamo nelle fate, e sono stata sentita urlare a quello stronzo del marito di Tess of the d’Urbervilles di tornare indietro, perdio, che prima fai il fariniello e una volta che tua moglie ti confessa di aver fatto altrettanto, peraltro in circostanze non chiarissime, prendi e la molli.

Non a caso quelli menzionati furono gli ultimi episodi proprio da ricovero, in coincidenza col mio ingresso nel mondo. Che per me avviene quando scopri che le fate esisteranno pure, ma non sono loro a rifarti il letto e a prepararti da mangiare, e se devi farti nuove amicizie dopo la scuola dell’obbligo, buona fortuna.

L’ingresso alla vita nei suoi aspetti più belli e brutti mi allontanò anche, un po’, dai libri. Che persero per me una funzione vitale: quella di rifugio dal mondo che non capivo, e che nei fumi dell’esistenzialismo pre-bimbominkia sembrava ricambiarmi con piacere.

Vi racconto tutto sto pippone perché immagino sia successo anche a voi di identificarvi con qualcosa che amaste molto (che so, un’arte, un hobby, una squadra di calcio, perfino un partito), e poi allontanarvene quando ha perso la funzione iniziale: penso alle tante scarpe ballerine appese al chiodo da aspiranti Isadora Duncan, che si sono accontentate di un corso di salsa, e a tutti gli astronauti che invece dello scafandro d’ordinanza hanno infilato un casco di motorino e sono andati a sfidare il traffico in centro.

Oppure, per non limitarci ai “sogni infranti” o presunti tali dell’infanzia, pensiamo ai ripieghi infranti, quelli che la nostra generazione si è vista sfumare pure quando pensava vabbe’, io rinuncio a fare la ballerina, ma un posto da insegnante me lo trovo, sì? Ed eccoti a ripassare a memoria la graduatoria vita natural durante.

Insomma, ci sono cose che a un certo punto della nostra vita ci definiscono, magari per i motivi sbagliati. Poi, per tante ragioni, spariscono, a spizzichi e mozzichi o tutte insieme.

Allora, può succedere che non tornino più e restino solo a simboleggiare un’epoca della nostra vita.

Ma a volte ritornano.

Con la forza e complessità degli amori giovanili ripresi più tardi con meno impeto, ma con più costanza.

La scrittura, per esempio, è tornata nella mia vita. E mi sembra di trattarla meglio, adesso che non ne ho bisogno. Adesso che non mi serve per scappare dal mondo, mi sembra che si sia alleata col mondo stesso per farmelo capire meglio. E per farmi vivere tutti i mondi possibili, che si aprono ogni giorno davanti a me fuori alla porta e dentro la babele di titoli sui miei scaffali malandati.

Se avessi detto “O questo o niente”, se avessi preteso come il Grande Gatsby che l’oggetto del mio amore fosse lo stesso dei primi tempi, allora avrei perso per sempre i libri nella mia vita.

E invece, dopo la prima, cocente delusione (“cari libri, non mi servite più a niente, il mondo è meglio di voi”), possiamo aprirci a un ritorno, condividere quello che siamo intanto diventati con quello che eravamo, e trovare la sintesi definitiva.

Quella che ci porterà a essere sempre noi in ogni capitolo, col passato che s’incroci in ogni momento con presente e futuro, come in una storia scritta proprio bene.

Sarà un caso, ma la prima a riuscirci sul serio si chiamava Odissea.