
Sentite, siccome oggi non si parlerà d’altro, vi “sblocco un ricordo”, come si dice ultimamente: la Juve (dico, la squadra al completo) che abbandona lo studio di Quelli che… il calcio, per una battuta sull’alopecia di Collina. Non trovo le prove su Google, ma ricordo: io c’ero! E la questione mi parve fantastica, perché ai tempi, se non sbaglio, la Juve era ai ferri corti proprio con quell’arbitro.
Invece, ecco un ricordo personale: ero seduta col mio ex in un parco di Barcellona, quando tre turiste italiane ci passarono accanto tutte impettite. Mormoravano tra loro: “La solita napoletana”, in riferimento a qualche tipa che avevano appena incontrato. Allora il mio ex, prima che io ci capissi niente, disse proprio in napoletano qualcosa contro i turisti razzisti che venivano a sguallariarci la uallera, o qualcosa del genere. L’accento per la verità suonava un po’ barese, ma mi colpì soprattutto il fatto che io non sarei intervenuta (vivo fuori Napoli, ‘sta roba purtroppo è normaluccia per me), e lui sì. Però, vedete come siamo fatti strani noi esseri umani? Sarei forse intervenuta se le tre perete avessero detto “la solita cinese”, per esempio. Quindi per me ci stava, che qualcun altro si sentisse ferito al posto mio. Quando provai io a difendere un’amica da un imbecille che la importunava in strada, mi beccai della “grassona”: il molestatore voleva scoparsi lei, mica me che ero grassa! Neanche l’amica fu molto contenta della mia difesa non richiesta: aveva subito uno stupro, e per lei la carta vincente era “non degnare i molestatori di uno sguardo”.
Insomma, sono questioni complicate a cui non so voi, ma io oggi non ho tutta ‘sta voglia di pensare. Sarà che a 41 anni ho la sindrome del nido vuoto, ed è fantastico: a trasferirsi non è stato mio figlio, ma il compagno di quarantena, che per un tempo imprecisato sarà altrove a sbrigare certe faccende personali. Aggiungeteci il manoscritto già in revisione, e l’ultimo corso di psicologia ultimato in anticipo (sto già scrivendo la tesina, da consegnare tra un mese), e… Non mi sono data al rosé, come le quarantenni anglosassoni, ma sto facendo orari improponibili per andare a letto, e mi sento libera. Avete presente? Immagino la cura funzioni così, in qualunque tipo di relazione: a volte, mentre vi occupate dell’altra persona, lo fate senza riflettere, specie se è uno di quei rapporti in cui non ne avete il tempo, perché l’altra persona ha bisogno di attenzioni speciali. Poi, quando per qualche ragione vi trovate in “libera uscita” da tutto ciò, non sapete che fare con tutto quel tempo e quelle energie.
Guarda caso, succede qualcosa del genere (dopo l’angoscia iniziale) anche alla mia Serena, quando Sam torna nei boschi. Eh già, credevate che vi lasciassi andare senza postare la prima presentazione del mio romanzo?
Perché sì, in questi giorni sta succedendo anche questo.
E adesso ho pure il tempo di gioirne, quindi lo condivido con voi.

Comincia con una scemenza: il regalino di fine anno alla maestra, l’addio al nubilato di nostra sorella. Non parliamo, poi, di qualche piano “dopolavoro” coi colleghi, o di un piccolo progetto di volontariato. Diamo la nostra disponibilità con riluttanza, ma anche con la fiducia che ci costerà poco e niente in termini di tempo ed energie: esattamente quello che prevede l’innocuo progetto iniziale.
Primo giorno di libertà!
Una signora piuttosto eccentrica, ma piena di energie, una volta mi disse che si era resa conto di un’incongruenza: prima puliva casa e poi si lavava lei. A suo modo di vedere, significava continuare a dare priorità ai suoi “doveri di sposa e madre”, piuttosto che alla cura di sé, quindi da quel momento in poi avrebbe fatto il contrario: prima la doccia, poi le pulizie di primavera.