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Tutto80 | Super Vicki

Ieri sera ho accompagnato un amico a un pub in cui lui lavorava in un momento difficile della sua vita.

A quei tempi sembrava che con l’amico potessimo stare insieme, ma il momento era così difficile che lui non era pronto per una relazione. Infatti non ne ha avute da allora.

Il pub era uno di quelli che potrebbero trovarsi in ogni parte del mondo, a parte il fatto che la presentatrice del quiz domenicale traduceva le domande anche in spagnolo. Il mio amico ha trovato subito l’ex collega con cui voleva parlare, ma quello aveva appena smontato, e giocava a freccette con un compaesano scozzese. Il mio amico non si aspettava di trovarsi a tu per tu pure con l’altro, che lo ricordava ai tempi in cui era un barman depresso e maldestro.

Risultato: sono rimasta impalata diversi minuti, in attesa che 1) i due scozzesi mi degnassero di uno sguardo; 2) l’amico mi presentasse. Mi tornava alla mente il mio primo fidanzato, in paese, quando si fermava a salutare amici che mi ignoravano. Timidezza, li giustificava il fidanzato, oppure arretratezza mentale: le ragazze degli altri non si guardavano neanche. Io ci rimanevo malissimo, perché nella mia vita avevo fatto una cosa del genere solo con Angelo Branduardi. Un’estate, il cantautore era venuto con la famiglia nel mio stesso villaggio vacanze, e una volta l’avevo incontrato a spasso con la figlia, mia coetanea. Avevo invitato la figlia a un’attività dello junior club e, sapendo che il padre si beava di quell’anonimato vacanziero, l’avevo ignorato a costo di sembrare maleducata. A parte questa illustre eccezione, mi sono sempre premurata di riconoscere l’esistenza di chi si trovava a un metro dal mio naso.

Ieri sera l’amico mi ha ritrovata al bancone del pub, alle prese con una clara che non bevevo da anni, e mi ha chiesto scusa, invitandomi a giocare a freccette coi due scozzesi sprucidi. Ma io detesto le freccette, e ormai ero presa dal quiz: la presentatrice era una donna inglese sulla cinquantina, e faceva domande toste per il suo pubblico anglosassone.

“Cosa vuol dire la frase latina ‘omnia vincit amor’?”

La tipa aveva messo subito le mani avanti sulla pronuncia: “O ai tempi di Cesare non c’eravate neanche voi, oppure avete in soffitta un quadro molto speciale…”. E questo era un riferimento ovvio alla sua, di cultura. Ma in effetti la sua pronuncia del latino era un ibrido tra quella anglosassone, la nostra e lo spagnolo. Il risultato era tipo: “Omnia Vicky amòr”. Ho pensato subito alla ragazzina robot della serie anni ’80, e anche al fatto che Mr. Virgilio su questa storia ha toppato: l’amore non vince tutto.

Non ha vinto, per esempio, l’incapacità del mio amico di avere una relazione in un momento difficile. Non ha vinto neanche l’amicizia che l’amico sente oggi per me, ma che è venuta meno davanti a due persone che l’avevano conosciuto al picco della vulnerabilità.

Insomma, Vicky, mi sa che non è il tuo momento di entrare in scena. Non quando si parla dei trionfi dell’ammore.

Però ci si prova: quando ho lasciato il pub, l’amico è venuto a casa mia a scusarsi ancora e a spiegare, e abbiamo cenato insieme. L’amore è imperfetto e ha mille forme, e a volte viene usato per giustificare roba che non volete nella vostra vita.

Ma è la migliore soluzione che abbiamo in questo momento: coltiviamolo come meglio possiamo.

E la prossima volta vado da sola al quiz, e sbanco il montepremi.

huertosurbanosbarcelona.wordpress.com

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I rimpianti non sporcano i piatti. Manco i rimorsi, se è per quello.

Alla fine, quando si tratta di lavarli rimuovi le solite cose: tracce di riso cinese alle verdure, di due giorni fa, le foglie d’insalata nella zuppiera grande, che lasci da parte con qualsiasi scusa e intanto la salsa Caesar avanzata si trasforma in Goldrake. Alabarda spaziale! Meno male che almeno il piatto del cous cous ho imparato a lavarlo subito, se no appesta una casa.

È quando hai ospiti, anche se del tipo buono e indulgente che ti vorrà bene comunque, che ti rendi conto delle condizioni in cui vivi. Specie se una gatta ha ormai preso possesso della casa, senza peraltro parlare di dividere l’affitto. Mi guarda solo con l’aria indulgente di chi dice “se proprio insisti puoi restare”. Bella lei, un giorno scavalco anch’io il balcone dei miei nuovi vicini, che hanno deciso di sfidare ogni luogo comune sulle coppie gay mettendo a palla la Pantoja, e dico sapete che c’è? Il disordine mi sta invadendo casa, mi trasferisco da voi.

Credo che fino a poco fa ci fosse pure qualcosa di feticista, lo psicopatico che si tiene il cadavere della madre in casa per non ammettere che è morta (e magari l’ha pure giubilata lui). Ora no, è proprio pigrizia e indolenza di fronte all’immane lavoro che mi aspetta. Che ci posso fare, nessuno mi ha insegnato a pulire, a che servisse. Vivevo anch’io in una casa dove, come dice Marta Rojals, i letti si facevano da soli come per magia, e il piatto a tavola ti aspettava fumante quando tornavi da casa. Quando ho preso casa da sola è stato anche in barba a quei 2-3 coinquilini maniaci della pulizia e dell’ordine, che peraltro non potevano vantare molte altre qualità. Me li immaginavo seduti nel mio nuovo salotto, a soffrire atrocemente per un fazzolettino buttato a terra dal vento che avrei raccolto solo un istante prima di accompagnarli alla porta.

Ma l’ho fatto anche perché mi venisse voglia di pulire senza che me lo imponesse nessuno, e devo ammettere che sta cosa va un po’ a intermittenza.

Stavolta ad esempio batto in ritirata e, almeno di sabato sera, esco. Il festone non posso, mi spiace non vedere l’amica che lo dà ma sto pure in fase premestruale, e il giorno dopo ho una traduzione. C’è un reading di poesia e racconti all’Hort del Xino, prima di accaparrarmi dieci cm di panca per una birra e un giro di coplas kitsch a O’ Barquinho.

Grandioso, l’hort del Xino. È uno dei vari orti popolari di Barcellona, coltivato dagli abitanti del quartiere. Non ci andavo dal cineforum indignado, due anni fa, che con un proiettore scalcagnato ci aveva trasmesso l’ultimo di Roger Moore. Stavolta c’è un tendone artistico con microfono e un angolo ad alto tasso glicemico, solo birra, dolci e succo di frutta.

Arrivo in tempo per l’ultima lettura e per una piccola recita, coperta dalle grida dei bambini che si rincorrono nell’orto. La recita è carina, una passante strattona con un’asse da stiro un tizio seduto a leggere, e scopre che non sente dolore,a ben vedere non sente nulla. Suo fratello Pol gli ha fatto un elenco di cose che possono fare male, e siccome le assi da stiro non sono contemplati… Alla fine la tipa lo bacia. Niente. Solo all’ultima botta, sempre accidentale, mentre si allontana con l’asse da stiro, il tipo dice “au” (ahia lo diciamo noi).

È un inizio, gli concedo applaudendo.

Poi succede una cosa strana. La presentatrice, in occhialoni da sole e gonna hippie splendida, chiede se ci siano musicisti. Il tipo che, altezza a parte, era uguale a un amico che vive in Provenza, si alza e spiega di essere un musicista… provenzale. Prende il tamburello e una fisarmonica casereccia alla Bob Dylan e canta canzoni in occitano, con qualche variante tra il moderno e il demenziale. Poi ci raccomanda di cliccare sulla sua pagina facebook. Come hai detto che si chiama?, chiedo.

E finiamo per parlare di trovatori occitani e strane lettere trovate tra quelle dei miei soldati, firmate Madame Mistral. Sostegno alle “meirino de guerro”, e bestemmie mie al momento di tradurle.

Lui è venuto apposta a Barcellona per occuparsi di musica e lingue minoritarie, “che la Francia su queste cose è bacchettona e Parigi, in fondo, provinciale”. Che palle essere di un paese così chiuso. Eh, rispondo.

La tammorra la suona bene un tizio che conosce in un centro sociale lì vicino, mi dice il nome, ho presente? Ehm, qualche pagina alle medie.

E poi la differenza tra lingua e il dialetto, e l’occitano in via d’estinzione e il napoletano vivo e ruspante ma proibito ai bambini chiattilli. Finché il freddo polare dell’orto e le tenebre e la constatazione empirica che, per dirla in occitano, stammo sulo nuje e Pino Mauro, non sfrattano anche noi.

Sono contenta. Ogni volta che vinco ciclo, rimorsi e rimpianti e piatti sporchi (e sei piani da risalire) per andare a curiosare nel Raval fricchettone, ne vale sempre la pena. Meglio che restare a dar la caccia alla gatta.

http://www.youtube.com/watch?v=5FhkKkJFN0g

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