Archivio degli articoli con tag: violenza di genere

Ho tradotto questo breve post nel blog di Coral Herrera Gómez, studiosa di spicco nel mondo spagnolo e latino. Non sempre sono d’accordo con lei, ma credo vada ascoltata. Prima di pensare che “certe cose in Italia non succedono” (sicuro?) dobbiamo tener conto che Herrera si riferisce alle conseguenze dell’amore romantico in tutto il mondo.

Come si evince anche da questa intervista, non si tratta di eliminare il romanticismo, ma di rendersi conto delle trappole in cui la strumentalizzazione dell’amore romantico può far cadere chiunque, a prescindere dal genere. Le donne però sono più esposte a quest’influenza, dunque tendono a subire le peggiori conseguenze. Contrassegno con asterisco le affermazioni su cui rifletto a fine traduzione.

A cosa serve l’amore romantico?

Ecco alcuni degli usi perversi con cui gli uomini patriarcali abusano delle donne in tutto il mondo.

– L’amore romantico è l’arma perfetta per avere una domestica gratuita, disponibile 24 ore su 24, 365 giorni all’anno*. Viene utilizzato da moltissimi uomini che non hanno autonomia e hanno bisogno di una cuoca, di una donna delle pulizie, di un’infermiera, segretaria, psicologa, bambinaia. Inoltre, desiderano ricevere cure senza doverle dare, e desiderano che la donna li serva con un sorriso permanente, che sia accomodante e che copra i loro bisogni sessuali*.

– L’amore romantico viene utilizzato anche perché uno sembri un uomo rispettabile e un padre di famiglia.

– Viene usato per avere discendenti coi propri geni. La donna che ti permette di riprodurti si occuperà di tutta la cura e dell’educazione della prole, gratuitamente.

– L’amore romantico serve come intrattenimento per gli uomini annoiati, con un’autostima molto bassa, e affinché gli uomini possano sentirsi importanti, essenziali, necessari, ed essere trattati come degli dei.

– Serve a mettere in ginocchio le donne più autonome e potenti, e anche le più vulnerabili: con l’amore romantico, gli uomini patriarcali possono avere giovani amanti che hanno bisogno di aiuto per studiare all’Università, o per sfamare i loro bambini.

– L’amore romantico può servire anche alla donna per sostenersi, in alcuni casi, e per arricchirsi in altri: gli uomini patriarcali lo usano per imparentarsi con famiglie benestanti**, per defraudare le donne, per vivere come dei re, per chiedere soldi a credito in nome dell’amante, per fare affari con i loro risparmi e beni.

– I trafficanti lo usano anche per rapire ragazze e adolescenti per la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e riproduttivo: la tecnica più efficace per schiavizzare le donne povere è farle innamorare, per poi portarle fuori dal Paese per piazzarle nei campi di concentramento in Europa. La tecnica per far innamorare le donne è antichissima: gli uomini gonfiano la loro bassissima autostima in modo da far credere loro di essere uniche e speciali, bombardandole di regali, complimenti, promesse di futuro. Una volta che si sono innamorate, bisogna farle scendere dal paradiso all’inferno, distogliendo progressivamente le attenzioni e le lusinghe, perché [le vittime] comincino a soffrire e a sentirsi insicure.

In questo momento i signori patriarcali le hanno già ai loro piedi e possono manipolarle come vogliono. [Le vittime] si chiederanno mille volte perché lui si comporta così, e vivranno nella speranza che le tratti nuovamente come regine. Ecco perché ci mettono un po’ a capire che il loro ruolo è in realtà quello di serve. È urgente che le ragazze e le adolescenti riconoscano questi usi perversi dell’amore romantico, che ascoltino le vittime sottoposte allo sfruttamento domestico, lavorativo, sessuale e riproduttivo, abbiano il diritto di conoscere la verità sulla truffa romantica. Le ragazze devono armarsi di strumenti per lavorare sul proprio ego e sulla propria autostima e per raggiungere la propria autonomia emotiva ed economica. È l’unico modo perché l’amore romantico non le soggioghi e non distrugga le loro vite. Non possiamo continuare a educare le nuove generazioni di donne a diventare dipendenti dall’amore romantico: è una droga molto potente, che ci fa molto male. Dobbiamo proteggere tutte le donne dalla sottomissione chimica [sic] e formare reti di sostegno reciproco per salvare coloro che cadono sotto il potere di manipolatori, narcisisti, molestatori, truffatori, schiavisti e femminicidi.

Ne va della nostra vita.

* Questo si dimentica spesso quando si dice: “Lei resta [più tempo di me] in casa, quindi le toccano le faccende domestiche”. Tu dopo circa otto ore lasci il posto di lavoro, e a Dio piacendo avrai diritto a una pensione. Da una casalinga ci si aspetta che sia disponibile 24 ore su 24 vita natural durante, prendendosi cura prima dei figli e poi dei nipoti a meno di non pagare un’altra donna, spesso razzializzata, che lo faccia per lei. Non c’è equità.

** L’idea di mogli e compagne come di “lavoratrici sessuali gratuite” mi è sembrata stranissima finché non mi sono resa conto di quante donne si lamentino, in gruppi come Bridging the Gap, perché non desiderano più avere rapporti sessuali col proprio uomo o ne diminuirebbero la frequenza, ma temono di contrariarlo o di essere tradite/lasciate, o di creare un’atmosfera irrespirabile in casa. Molte parlano di stanchezza per le faccende domestiche che già si accollano, e di rancore per un uomo che ritiene che il tempo della compagna valga meno del proprio. D’altronde ciò che oggi intendiamo per rapporto sessuale è pensato per il piacere maschile, e il fatto che la penetrazione non favorisca quasi mai un’adeguata stimolazione clitoridea viene frainteso come un “Le donne vogliono fare meno sesso”.

*** Questo aspetto per me è sottovalutato: si parla soprattutto della “gold digger” donna perché le donne hanno meno potere economico, ma tantissimi uomini nella storia hanno usato i legami affettivi per entrare in certe società: dai normanni in Meridione, che si imparentavano con i nobili locali sposandone le figlie, passando per i fidanzati delle moderne celebrità. L’istituzione della dote prova quanto il matrimonio fosse un patto di interesse per entrambe le parti. Infine, vivendo a Barcellona vi assicuro che uomini senza i documenti in regola sono disposti a corteggiarvi, a sposarvi, e pure a pagarvi (a suo tempo erano 5.000 per una coppia di fatto, il doppio per un matrimonio) per ottenere tramite voi la cittadinanza europea. Le persone discriminate, svantaggiate in una società, usano qualsiasi mezzo per aiutarsi a prescindere dal genere.

margherite bianche

Questo post si autodistruggerà tra… No, vabbè, non è niente di serio quello che sto per scrivere, dunque qua rimane.

Dopo il solito aprile schifoso, l’eterno dilemma del maggio barcellonese (“Coperta o piumone?”) semina insonnie. E io allieto le mie notti bianche con amene letture. Stamattina alle cinque e mezzo toccava a un libro edito in italiano da Tlön, che sto leggendo nella versione originale (come sempre il titolo è stravolto, anche se stavolta intuisco il perché). Ho sfogliato solo i primi due capitoli, ma il libro mi è sembrato interessante, specie come lettura da diffondere in Italia. Tuttavia, ai miei occhi cisposi e ancora mezzi chiusi, quella mi sembrava più che altro una versione aggiornata e, finalmente, non essenzialista, di ciò che leggevo quindici anni fa per il master in Studi di Genere. Con in più la tendenza un po’ ‘mericana a frullare nella stessa narrazione alcuni miti distanti tra loro millenni, e migliaia di chilometri: il tutto per provare teorie giustissime, che però, decontestualizzate così, rischiano di confermare solo le convinzioni iniziali dell’autrice.

Vabbè, ho pensato, sono io che ancora non ho collegato il cervello: cambiamo un po’ lettura. Il primo libro ad alta diffusione che parli di stupro in Italia (correggetemi se sbaglio, io ricordo solo Sibilla Aleramo a inizio ‘900) è incredibilmente semplice, scritto in una prosa leggera e quasi infantile, che diventa per questo anche più efficace: in fondo, X è una lettera dell’autrice al fratello minore, il “fratellino” fascio che ha finito per allearsi col camerata stupratore. Che capitolo mi toccava stamane all’alba? Uno che l’autrice trascorre tutto a giustificarsi per… essersi rifatta il naso. Come me, che ne ho già parlato qui e che, se potessi, adesso mi farei le tette a fiori: proprio un margheritone per lato, col capezzolo tinto di giallo grazie alla micropigmentazione (ah, non si può fare?). Ma purtroppo le tette tocca farle anatomiche o niente: chirurgia senza fantasia!

In ogni caso, come si “giustifica” un’ex diciannovenne che si rifà il naso, dopo che peraltro lo stupratore l’ha chiamata “la mia Nasona”? Si giustifica con la pressione estetica. La bellezza è un concetto che non dovrebbe esistere proprio, eppure le donne ne sono schiave perché dipendono economicamente dagli uomini… Perfetto, verissimo. Però, come ho scritto anche qui, temo che la questione sia incompleta, messa così. Intendiamoci: è triste che si modifichi il corpo per un senso di inadeguatezza, e tragico che se ne senta l’esigenza dopo uno stupro. Se invece si trasforma un caso così intimo in una questione generale, non capisco il problema se vogliamo che il nostro corpo ci rassomigli, come cantava uno. I tatuaggi e i capelli viola (che adoro) sono ok, ma un naso diverso no? Piuttosto, è un peccato che sia uno sfizio così caro, alla portata di poche persone (anche se, qui dove vivo, si arriva a livelli di rateizzazione che non ci credereste). Dice che una volta, nell’aborrito Venezuela, le tette le passava la mutua!

Vabbè, scusate. Saranno le crisi di identità che diventano gioiose scoperte. Sarà in particolare la scoperta dello specismo, che nel femminismo che vorrei finirebbe nel mirino dell’intersezionalità. Il fatto è che, mi sembra sempre più evidente, Stefano Benni aveva ragione: noi esseri umani siamo comici, spaventati guerrieri. Ultimamente sto apprezzando la comicità della fetta di specie che è toccata a me: quella che ha più spesso le tette, rifatte o meno.

Ma capisco che le cose si fanno un passo alla volta. Prima si scopre la pressione estetica, e poi si difende il diritto di decidere della propria estetica. Prima si capisce che c’è una narrativa che ci ha designate come “l’altra metà del cielo” (e una metà un po’ mostruosa), e poi ci si rende conto che non c’è bisogno di ricorrere a suggestioni junghiane ed esaltare il sacro potere della patata, pur di farci risorgere l’autostima dalle ceneri.

La cosa più importante, sapete qual è? È la più banale di tutte: scegliere. Cosa vi piace, cosa no? Cosa scegliete di portarvi dietro, nei limiti della questione complicata che è la libertà di scelta? Cos’ha un senso per voi, cosa contribuisce a costruirvi un’identità più piena, aperta, rispettosa delle identità altrui?

Io, più che spaventata e guerriera, vorrei essere comica e basta. Quindi, peccato che ancora non esistano le tette a fiori.

E peccato che non le passi la mutua.

Image result for desert island L’altra volta spiegavo che un esercizio del gruppo di scrittura mi aveva cambiato la vita.

Lo facciamo insieme? E dai!

Prendete un problema che vi sta assillando da un po’. (Non barate: uno solo!)

Immaginate di avere tutte le risorse possibili, cioè di essere Dio coi soldi di Amancio Ortega, e scrivete tutte tutte le soluzioni che vi possano venire in mente, anche le più dispendiose, o strampalate, o decisamente impossibili.

Fatto? E sbrigatevi, avete quattro minuti! Ok, adesso, della bella lista che avete, scremate le idee, ma da una prospettiva possibilista: cioè, questa parte l’ho capita poco (tra breve scoprirete il perché), ma si tratta di prendere la lista e analizzarla dal punto di vista di chi ha risorse e possibilità, ma non proprio quelle dei due personaggi di cui sopra. Ok, avete scremato un po’ le opzioni?

Adesso demolitele! Cioè analizzate le proposte ancora in piedi come se foste Brontolo dei Sette Nani, o il Leopardi “pessimista cosmico” che ci vendevano a scuola. Finito?

In teoria, da una gamma enorme di soluzioni, vi sono rimaste giusto le più solide e fattibili. Grandioso, eh?

Ebbene, io quest’esercizio l’ho sbagliato: l’ho fatto al contrario. Ho invertito la parte possibilista con quella scettica, e non ci stavo capendo più niente. Di buono c’è che mi è servita lo stesso.

La prima parte, soprattutto, è stata esilarante, proprio perché avevo già scandagliato da tempo le opzioni “logiche” per essere madre, una volta rimasta single a 38 anni. Così, nella nuova veste “onnipotente”, non mi restava che tirar fuori ipotesi tipo:

  • Partenogenesi (sì, arrivo tardi, anche se non è detta l’ultima parola!).
  • Andare su un’isola deserta dove la priorità sia sopravvivere a base di noci di cocco, e radici dal curioso colore giallo fluo.
  • Diventare la zia del barrio come certe pakistane del Raval, e offrire babysitteraggio (gratis) a quaranta bambini alla volta: così mi passa la voglia.
  • Pubblicare un best-seller (ci sto lavorando!) su quanto la società ci faccia pressione fin da piccole perché ci identifichiamo come madri, e farmi tanti di quei soldi da avere la stessa via privilegiata all’adozione di Madonna.

Il commento del prof. a tutto questo è stato serafico: “A volte devi pensare a qualcosa di stupido, per pensare a qualcosa d’intelligente”.

E comunque alla fine è andata bene lo stesso, perché sono giunta alla seguente conclusione: potrei dedicarmi alla ricerca di una vita così completa e soddisfacente, che mi permetta di essere felice anche se i progetti a cui tengo non si dovessero realizzare. Una vita così sarebbe un gioiello in sé.

“E ci voleva ‘sta scemenza per grafomani?”, chiederete. A me sì, vabbuo’?

E poi l’esercizio è valido per tante cose! Prendete la tizia che a quanto pare ha ricevuto un pugno dal suo capo di movimento: o meglio, prendete i commenti all’episodio. Un tizio su Facebook sosteneva che non si trattava per forza di violenza di genere, ma di una litigata “tra amici”, e visto che i rapporti umani sono fatti prima di tutto “di persone” bisognava capire cosa effettivamente si fossero detti i due contendenti. Tutto questo mi fa pensare che in Italia più che altrove (ed è una bella gara!) ci perdiamo un dettaglio: non siamo “tutti uguali”, o “prima di tutto persone”, come amano scrivere tanti. Ed è pericoloso formulare giudizi a partire da un mondo perfetto, invece che farlo dal mondo che abbiamo.

Forse è un effetto collaterale di aver fatto passare tutti i diritti civili attraverso un discorso marxista del tipo “una volta risolta la lotta di classe si risolvono anche i problemi di donne, minoranze etniche ecc.” (e il fatto che l’omosessualità sia stata a lungo un “ecc.” pure la dice lunga). Fatto sta che mio padre settantenne e un certo ventiquattrenne dei movimenti torinesi hanno la stessa idea del “piropo callejero“, cioè dei fischi e dei commenti alle donne in strada: episodi di “maleducazione”. Forse perché sono situazioni che ai due personaggi in questione non limitano la mobilità e la percezione di sicurezza, e non lo faranno mai nella vita.

Per colmare il gap, ho proposto almeno a mio padre di guardare la terza stagione di Dear White People (allerta spoiler!): nel secondo episodio, un’alunna dalla pelle di latte porta all’aitante professore nero un muffin, dolcetto dal nome molto simile al suo, e specifica che è “bello caldo”, che lui ha la “giusta prestanza” per consumarlo, e che può fare “quello che vuole” dell’offerta. E le battute alla Pierino lasciano il tempo che trovano, perché non si tratta di farti la tua alunna, è la tua alunna a credersi “in diritto” di farsi te.

Io dieci anni fa sfottevo l’amico gay che non voleva entrare da Nennella ai Quartieri, timoroso del classico “applauso a ‘stu ricchione!” proposto spesso nella trattoria. Sì, ogni tanto sfottevano pure le donne: ma se per me il leggendario Ciro poteva dirmi quello che voleva, non avevo il diritto d’imporre la mia posizione privilegiata di eterosessuale ad altri.

E cosa c’entra con tutto questo il mio supergioco, vi chiederete. Beh, lo sto applicando a questo problema della cecità ai privilegi e sono alla prima parte, quella “onnipotente”. Mi aiutare a escludere ipotesi?

“Per risolvere la cecità ai rapporti di potere in Italia si può:

  • Diventare tutti Platinette, ma nera e senza soldi.
  • Trasferire il papa in un posto non meglio identificato in Lapponia.
  • Trasferire il fan club di Salvini sulla zattera della Medusa, e vedere come se la cavano con i banchi di sabbia al largo della Mauritania.
  • Renderci conto che la società in cui viviamo non ci rende individui neutrali, che i privilegi che abbiamo o non abbiamo sono influenzati da genere, classe e provenienza geografica.
  • Affondare l’Italia e farci un Acquapark“.

Ancora devo decidere qual è l’ipotesi più assurda, ma ricordate cosa dice il guru degli esercizi: a volte bisogna pensare a qualcosa di stupido, per uscircene con un’idea intelligente.

A giudicare da quanto leggo sui social, a ‘sto giro potrebbero pure darci il Nobel.

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Se rubo questi voglio l’assoluzione

La notizia è che Ángel Boza, membro della notoria Manada, ha provato a rubare degli occhiali da sole al Corte Inglés, e poi è scappato in auto, rischiando d’investire due vigilantes. La notizia si commenterebbe da sola, ma vorrei tradurre l’eccellente brano che ha postato Paula Marín, psicologa, sulla sua pagina Facebook:

“Credo proprio che esporre degli occhiali lì, come se niente fosse, sia un invito al furto.
Che cazzo, se non vogliono che nessuno se li prenda senza pagare, non li lasciassero sotto gli occhi di tutti, no?

Inoltre, qualcuno gli ha detto di non rubarli??? Qualcuno gliel’ha detto? Gli hanno detto chiaramente di NO? E allora??? Come volete che lui sappia, che non vogliono che li rubi???

E quelli della sicurezza, bisogna conoscere anche la versione di Boza, che non si può parlare per parlare. Adesso siamo diventati tutti giuristi?!

Lo sappiamo tutti, che ci sono denunce false, e magari quello che volevano era rovinare la vita a questo povero ragazzo, dicendo che ha provato ad investirli, però OCCHIO! Magari si erano piazzati lì in mezzo proprio perché volevano essere investiti, è anche vero che alla gente piacciono, queste cose, e poi si sono pentiti, hai visto mai li riprendessero le telecamere, e poi ovvio, per come vanno le cose oggigiorno, sicuro che hanno denunciato per farsi un po’ di soldi.

E questa storia di guidare senza patente, parliamoci chiaro, chi non ha fatto questo tipo di cose, qualche volta? Se fosse una donna sicuramente non direste niente, vi accanite contro di lui perché è un uomo.

E la presunzione d’innocenza, dove la mettiamo?

E dagli con la corsa dei tori a Pamplona, che questa è un’altra questione e non c’entra niente!

Conosco un tipo che è stato denunciato da un vigilante per tentato investimento ed è finito in galera, senza prove né niente. Ed è un bravissimo ragazzo e sono convinta che non ha fatto nulla!

Feminazi, siete solo delle feminazi”.

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