Archivio degli articoli con tag: amore romantico

Ho tradotto questo breve post nel blog di Coral Herrera Gómez, studiosa di spicco nel mondo spagnolo e latino. Non sempre sono d’accordo con lei, ma credo vada ascoltata. Prima di pensare che “certe cose in Italia non succedono” (sicuro?) dobbiamo tener conto che Herrera si riferisce alle conseguenze dell’amore romantico in tutto il mondo.

Come si evince anche da questa intervista, non si tratta di eliminare il romanticismo, ma di rendersi conto delle trappole in cui la strumentalizzazione dell’amore romantico può far cadere chiunque, a prescindere dal genere. Le donne però sono più esposte a quest’influenza, dunque tendono a subire le peggiori conseguenze. Contrassegno con asterisco le affermazioni su cui rifletto a fine traduzione.

A cosa serve l’amore romantico?

Ecco alcuni degli usi perversi con cui gli uomini patriarcali abusano delle donne in tutto il mondo.

– L’amore romantico è l’arma perfetta per avere una domestica gratuita, disponibile 24 ore su 24, 365 giorni all’anno*. Viene utilizzato da moltissimi uomini che non hanno autonomia e hanno bisogno di una cuoca, di una donna delle pulizie, di un’infermiera, segretaria, psicologa, bambinaia. Inoltre, desiderano ricevere cure senza doverle dare, e desiderano che la donna li serva con un sorriso permanente, che sia accomodante e che copra i loro bisogni sessuali*.

– L’amore romantico viene utilizzato anche perché uno sembri un uomo rispettabile e un padre di famiglia.

– Viene usato per avere discendenti coi propri geni. La donna che ti permette di riprodurti si occuperà di tutta la cura e dell’educazione della prole, gratuitamente.

– L’amore romantico serve come intrattenimento per gli uomini annoiati, con un’autostima molto bassa, e affinché gli uomini possano sentirsi importanti, essenziali, necessari, ed essere trattati come degli dei.

– Serve a mettere in ginocchio le donne più autonome e potenti, e anche le più vulnerabili: con l’amore romantico, gli uomini patriarcali possono avere giovani amanti che hanno bisogno di aiuto per studiare all’Università, o per sfamare i loro bambini.

– L’amore romantico può servire anche alla donna per sostenersi, in alcuni casi, e per arricchirsi in altri: gli uomini patriarcali lo usano per imparentarsi con famiglie benestanti**, per defraudare le donne, per vivere come dei re, per chiedere soldi a credito in nome dell’amante, per fare affari con i loro risparmi e beni.

– I trafficanti lo usano anche per rapire ragazze e adolescenti per la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e riproduttivo: la tecnica più efficace per schiavizzare le donne povere è farle innamorare, per poi portarle fuori dal Paese per piazzarle nei campi di concentramento in Europa. La tecnica per far innamorare le donne è antichissima: gli uomini gonfiano la loro bassissima autostima in modo da far credere loro di essere uniche e speciali, bombardandole di regali, complimenti, promesse di futuro. Una volta che si sono innamorate, bisogna farle scendere dal paradiso all’inferno, distogliendo progressivamente le attenzioni e le lusinghe, perché [le vittime] comincino a soffrire e a sentirsi insicure.

In questo momento i signori patriarcali le hanno già ai loro piedi e possono manipolarle come vogliono. [Le vittime] si chiederanno mille volte perché lui si comporta così, e vivranno nella speranza che le tratti nuovamente come regine. Ecco perché ci mettono un po’ a capire che il loro ruolo è in realtà quello di serve. È urgente che le ragazze e le adolescenti riconoscano questi usi perversi dell’amore romantico, che ascoltino le vittime sottoposte allo sfruttamento domestico, lavorativo, sessuale e riproduttivo, abbiano il diritto di conoscere la verità sulla truffa romantica. Le ragazze devono armarsi di strumenti per lavorare sul proprio ego e sulla propria autostima e per raggiungere la propria autonomia emotiva ed economica. È l’unico modo perché l’amore romantico non le soggioghi e non distrugga le loro vite. Non possiamo continuare a educare le nuove generazioni di donne a diventare dipendenti dall’amore romantico: è una droga molto potente, che ci fa molto male. Dobbiamo proteggere tutte le donne dalla sottomissione chimica [sic] e formare reti di sostegno reciproco per salvare coloro che cadono sotto il potere di manipolatori, narcisisti, molestatori, truffatori, schiavisti e femminicidi.

Ne va della nostra vita.

* Questo si dimentica spesso quando si dice: “Lei resta [più tempo di me] in casa, quindi le toccano le faccende domestiche”. Tu dopo circa otto ore lasci il posto di lavoro, e a Dio piacendo avrai diritto a una pensione. Da una casalinga ci si aspetta che sia disponibile 24 ore su 24 vita natural durante, prendendosi cura prima dei figli e poi dei nipoti a meno di non pagare un’altra donna, spesso razzializzata, che lo faccia per lei. Non c’è equità.

** L’idea di mogli e compagne come di “lavoratrici sessuali gratuite” mi è sembrata stranissima finché non mi sono resa conto di quante donne si lamentino, in gruppi come Bridging the Gap, perché non desiderano più avere rapporti sessuali col proprio uomo o ne diminuirebbero la frequenza, ma temono di contrariarlo o di essere tradite/lasciate, o di creare un’atmosfera irrespirabile in casa. Molte parlano di stanchezza per le faccende domestiche che già si accollano, e di rancore per un uomo che ritiene che il tempo della compagna valga meno del proprio. D’altronde ciò che oggi intendiamo per rapporto sessuale è pensato per il piacere maschile, e il fatto che la penetrazione non favorisca quasi mai un’adeguata stimolazione clitoridea viene frainteso come un “Le donne vogliono fare meno sesso”.

*** Questo aspetto per me è sottovalutato: si parla soprattutto della “gold digger” donna perché le donne hanno meno potere economico, ma tantissimi uomini nella storia hanno usato i legami affettivi per entrare in certe società: dai normanni in Meridione, che si imparentavano con i nobili locali sposandone le figlie, passando per i fidanzati delle moderne celebrità. L’istituzione della dote prova quanto il matrimonio fosse un patto di interesse per entrambe le parti. Infine, vivendo a Barcellona vi assicuro che uomini senza i documenti in regola sono disposti a corteggiarvi, a sposarvi, e pure a pagarvi (a suo tempo erano 5.000 per una coppia di fatto, il doppio per un matrimonio) per ottenere tramite voi la cittadinanza europea. Le persone discriminate, svantaggiate in una società, usano qualsiasi mezzo per aiutarsi a prescindere dal genere.

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All’inizio eravamo solo fidanzati. Che volete, certe cose non si capiscono subito. A volte il destino ti fa fare giri inaspettati, prima di portarti alle mete che contano.

Il guaio era che venivamo entrambi da due relazioni mai nate, e ci eravamo lasciati depistare da quella caratteristica comune, che avevamo risolto con un semplice amore. Però, col tempo, c’eravamo resi conto che mancava qualcosa. Che poteva esserci molto di più della convivenza che avevamo iniziato, dei progetti di famiglia, dell’idea di comprare una casa… Provavamo ancora a ingannarci, perché a volte i sentimenti fanno paura, e allora ti racconti tante di quelle bugie, pur di non affrontarli.

Fu lui a prendere il coraggio a due mani: inutile far finta di nulla per non rovinare il rapporto. La nostra, santi numi, era amicizia! Fu l’inizio del sogno.

Adesso ci vediamo un paio di volte a settimana, e ci divertiamo tantissimo! Quando non cuciniamo (il bastardo fa risotti buonissimi), lui prende piatti da asporto in un locale che gli piace vicino casa mia, e ascoltiamo del reggae atroce che conosce solo lui, anche se ogni tanto gli piazzo a tradimento gli Smiths. A volte guardiamo qualche film, anche se devo stare attenta. Gli piace tantissimo il cinema basco, quello surreale in cui a un certo punto appare il diavolo, o addirittura un’attrice si presenta con una frangetta tagliata dritta: filmare un’acconciatura che fosse in voga meno di vent’anni fa è chiedere troppo, ma lui non vuole ammetterlo, e magari litighiamo e scatta una battaglia di cuscini. Il mio compagno ci sente da camera sua e si chiede se ci stiamo scannando, ma capisce che certe cose seguono un loro ordine naturale, e non c’è paragone tra l’amicizia e l’amore! Voglio dire, qual è il sentimento che dura di più, che cambia la vita, che ti accompagna per sempre? Appunto. Lo diceva anche Platone, nel mito degli amici squartati a metà. Mi meraviglio che, su quello, non ci abbiano ancora girato su un film basco!

E sì, scusate, avrei dovuto specificare nel titolo che per “storia” intendevo storia d’amicizia, ma tanto nel linguaggio comune le storie quello sono, no? D’altronde, se è così un motivo ci sarà.

(Vi abbiamo trasmesso: “Se parlassimo dell’amicizia come facciamo con l’amore romantico“.

Per i miti legati all’amore romantico, tra cui quello pericoloso che “ci si completa a vicenda”, cliccate qui e soprattutto qui.

Per un articolo – mio e di un amico! – che si occupa della gerarchizzazione dei rapporti insita nelle relazioni attuali, cliccate qui.

E adesso andate a casa dei vostri amici, delle vostre amiche, fate loro una carezza, e dite pure che questa carezza gliela manda il basilico!)

Spot- DENIM Musk - 1985 "PER L'UOMO CHE NON DEVE CHIEDERE MAI" (HQ) -  YouTube

Entrano tutti e otto.

Prima abbiamo visto dalla vetrata le camionette, due, parcheggiate fuori al bar: in effetti, lì in Plaça Urquinaona, ci sono sempre disordini durante le ricorrenze politiche.

“Si preparano” ha sdrammatizzato l’amica che sta pranzando con me nel bar.

Poi gli agenti si sono soffermati a lungo fuori al locale, e adesso entrano tutti e otto: sette uomini nerboruti e marziali, e una donna che s’impone in un modo diverso, senza il bisogno di sembrare un carro armato.

Noi che eravamo già dentro il locale pensiamo subito che vogliano invitarci a uscire, per qualche motivo di sicurezza: anzi, la nostra è un’ipotesi di lusso, data la ricorrenza. Poi il più anziano degli agenti rompe il silenzio:

“Si può avere un caffè?”

Leggo l’evidente sollievo delle bariste, e percepisco pure il mio.

No, perché vi giuro che è stata un’entrata che Rambo scansati, e proprio adesso che l’amica e io stiamo parlando di un personaggio mitologico, metà steroide e metà messaggio WhatsApp visualizzato senza rispondere. Ebbene sì, mi riferisco al duro che piace, all’uomo che non deve chiedere mai. (“Il bello e dannato” sarebbe una definizione troppo hipster, specie se consideriamo il contenuto dell’omonimo film; ma possiamo immaginarcelo comunque in una versione più bellicosa, con meno capelli e più addominali.)

Prima che entrassero gli agenti, l’amica e io discutevamo della propensione che avevamo in passato a sceglierci tipi molto “convinti”, o almeno storie che promettessero montagne russe. Le due cose, che ve lo dico a fare, vanno insieme. Tant’è vero che, quando ti ritrovi accanto un tizio gentile e premuroso, a volte non senti di provare “i sentimenti giusti”: quelli che secondo l’amore romantico sarebbero gli unici possibili.

Niente di nuovo sotto il sole: avete letto Donne che amano troppo, di Robin Norwood? Uno dei sintomi che l’autrice indica per definire una donna che ama troppo (cioè, che ama a detrimento di sé stessa) è la tendenza a trovare noiosi gli uomini che si interessano a lei, che promettono affetto e un certo impegno nella relazione. Alcune, per traumi regressi e mancanza di autostima, funzionerebbero solo con le montagne russe.

E questo è quello che ho creduto finora. Aggiungo come postilla che a me è capitato di trovare uomini persi in amori impossibili, dunque incapaci a loro dire di cominciare una storia tranquilla con me: e se uno considera ME una tizia sana di mente che prometta una storia tranquilla, immaginatevi come sta messo nella sua vita.

Adesso, però, con la mia faccia sotto i piedi di Robin Norwood, permettetemi di dissentire su una sua teoria: quella per cui le alternative al tipo tossico (come il nice guy, o tipo gentile) avrebbero l’unico problema di risultare noiose. E invece no, c’è dell’altro.

Sul bello e dannato ho scritto molti post, di cui non sempre vado fiera: resta il fatto che per me è un mediocre che non ce l’ha fatta. Cioè, sta talmente a problemi che non riesce neanche a comportarsi come l’uomo medio che è. Incarta la sua mediocrità in pose da uomo “che non deve chiedere mai”, come in una pubblicità degli anni ’80, ma, scava scava, quello trovi.

Sì, ma dall’altra parte cosa c’è? Cara Norwood, lo hai visto il tipo gentile? Quello affettuoso, che promette impegno… La questione è: l’impegno di chi? Perché la gentilezza e disponibilità del tipo cambia spesso con il tempo, e fin qui…, ma quell’ombra di protettività che all’inizio è tanto caruccia può diventare possessività. La sollecitudine con cui lei si alza a sparecchiare dopo che lui ha cucinato il risottino pentastellato (peccato sia più difficile vederlo preparare una frittatina per pranzo) può diventare la regola fissa di distribuzione delle faccende in casa: tu fai il Cannavacciuolo della situazione una o due volte al mese, e io sparecchio sempre.

In questo quadro, il duro che piace non è poi tanto peggio, anzi è una piccola boccata d’aria: porta sempre con sé le stesse stronzate, ma per un po’ è divertente. Per un po’ c’è la sfida, la seduzione, l’altalena emotiva… No, non sono impazzita: proprio perché credo che queste cose siano benefiche come una peperonata alle due di notte, trovo sia importante individuarne il fascino, per decostruirlo. Poi arriva la parte orrenda in cui ci devono raccogliere col cucchiaino, ma a quella ho dedicato vari post a cui vi rimando.

Insomma, la mia nuova teoria è: se a certe donne “piace macho” (come cantano le due divine che posto qui sotto) è perché l’alternativa non è poi tanto meglio. Spesso dall’altra parte trovano il tipo che si crede in diritto di avanzare pretese “perché è gentile”. Oppure è premuroso i primi tempi e poi si lascia accudire. Oppure è proprio perfetto, eh, il compagno ideale, ma a quel punto ci penserà il mondo del lavoro coi suoi soffitti di cristallo, i pavimenti appiccicosi, il lavoro di cura non retribuito, a schiacciare l’assennata di turno che “si è scelta bene il partner”. Già, perché sapete qual è il colmo del tipo gentile, del “nice guy” che si lamenta di non essere preso in considerazione?

Che prima di tutto se le inventa lui, queste donne che non fanno altro che mettersi con gente sbagliata (spoiler: quello giusto è lui). Perché non sono affatto la maggioranza, quello è un mito che il tipo di turno usa per giustificare la propria insicurezza nel vedersi respinto: lo dice una che per un po’, in circostanze affini anche se non analoghe, si è detta che gli uomini preferivano donne più rassicuranti di lei, e la verità è che non possiamo piacere a tutti.

Poi i tipi gentili si inventano un altro mito: sono loro a finire dietro a donne disturbate! Donne che, per capirci, hanno qualche problema che le spinge ad “attrarre” persone sbagliate. Il tipo gentile, ovviamente, può guarirle. Anche qui, però, si sbaglia: le persone distruttive provano ad attaccarsi un po’ a chiunque, non è questione di attirarsele. Semmai ci si può chiedere perché certa gente le rispedisce al mittente e altra no. A quel punto sì che ci sarebbe da fare un lavoro: ma con qualche terapeuta, semmai, non con uno che sembra taaanto interessato a guarirti a modo suo.

Infine, il tipo gentile può essere un campione in trasformismo: a volte si cala la maschera e… tataaan, ecco il duro che ci va giù di gelatina. Il trasformismo dipende dalla tizia. Ho conosciuto un tipo che era molto interessato a salvare delle bellezze molto nordiche dalle loro insicurezze, e mi diceva in faccia che, purtroppo, nella vita reale doveva accontentarsi di… quelle come me. Almeno aveva smesso di provare attrazione solo per quelle fighe. D’altronde, un altro tizio che per fortuna ho solo visto cinque minuti in vita mia mi ha insegnato che “con le donne è bello solo quando è una sfida”. Dunque sì, c’è il caso Dr. Jekyll e Mr Hyde: il tizio che fa il duro con alcune e l’agnellino con altre, a seconda del capitale erotico delle fortunelle.

E allora scusate, ma se queste sono le alternative non mi sembra che ci sia una scelta tanto più saggia dell’altra. Ovvio poi che il duro vada mandato affanculo per principio, e tra mille pernacchie. Poi, se proprio ci teniamo, ci prepariamo a taaanto dialogo con uno disponibile, sulle nostre reali aspettative e necessità: sperando che la disponibilità sia genuina e non interessata, e limitata ai primi tempi della relazione.

Oppure ho un’idea ancora migliore: che si smetta di insegnare fin dall’infanzia che accompagnarsi a qualcuno sia l’unico modo di vivere, o il migliore per l’umanità. Così stare insieme diventa un obbligo e non una scelta.

Ma su questo torneremo presto.

Credo sia un buon giorno per ripubblicare quest’intervista che mi ha concesso Judith Muñoz-Saavedra. Insieme a lei, con la supervisione di Laura Guidi, coordineremo un numero de La camera blu – Rivista di Studi di Genere, dedicato al romanticismo e alla decostruzione dell’amore romantico. Vi lascio qui il call for papers, da inoltrare a chi si occupi della questione a livello accademico:

http://www.serena.unina.it/index.php/camerablu/announcement/view/109

San Violentín, o Sant Violentí, è una festa che in tanti celebrano con le migliori intenzioni, che non stigmatizzerò: un’occasione per festeggiare l’amore.
Sì, ma quale amore?
Che sia la gioia e il lavoro di scoprirsi ogni giorno, e non una recita prestabilita di ruoli scolpiti nel tempo, un modo d’infiocchettare la triste realtà che troppo spesso le donne (è ancora una festa molto etero!) continuano a dipendere dal compagno da un punto di vista economico ed emotivo.
Che amore sia, quindi: ma di quegli amori che liberano, e non costringono.

Buona giornata!

ilblogdelbasilico

Risultati immagini per feminist disney princess Si ha sempre l’età per NON morire di amore romantico.

Ce lo spiega Judith Muñoz Saavedra, professoressa del Dipartimento di Didàctica i Organització Educativa (DOE) all’Universitat de Barcelona, ed esponente della corrente di docenti che si occupa di proporre modelli culturali alternativi a quelli, spesso nocivi e a volte letali, che ci vengono inculcati fin dall’infanzia. La Catalogna, la Spagna, il mondo latino affrontano queste tematiche da molto tempo e hanno prodotto un materiale didattico sterminato. Spero quindi che l’intervista che mi ha concesso Judith (qui in versione originale) possa fornire degli spunti a chi in Italia prova a fare lo stesso, e invogliare chi non lo fa a cominciare!

In che senso l’amore romantico “uccide”?

La retorica dell’amore romantico rinforza i ruoli tradizionali di genere e giustifica diverse forme di violenza maschilista. Noi donne viviamo circondate di messaggi che negano la nostra autonomia; ci…

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Una volta uno mi mollò senza neanche dirmelo, e poi spiegò: “Non sei abbastanza quadrata“.

Questa informazione, se non leggete tutto l’articolo, non ha niente a che vedere con la seguente domanda:

“I soldi possono comprare l’amore?”.

Questo era il titolo della discussione su un forum online che frequento poco.

In realtà l’autore era il capo di una società che offriva prestiti, ma prima che fosse eliminato le risposte si erano divise in due categorie: una, portata avanti soprattutto da giovani donne, è che l’amore è un sentimento meraviglioso che si nutre solo di arcobaleni e unicorni; un’altra, la preferita degli uomini di mezza età che erano lì per acchiappare, era che bisogna essere concreti, e i soldi senz’altro aiutano.

Nonostante siamo imbevuti di Jane Austen, coi suoi damerini a caccia di fanciulle con dote, tutti hanno dato per scontato che si parlasse di amore delle donne verso gli uomini: pure quelli che crederebbero più agli unicorni che al soffitto di cristallo (qui in una curiosa definizione Treccani, che non nomina mai le donne).

Per tutto il resto c’è Deborah Levy, scrittrice sudafricana che in una conferenza di martedì scorso al CCCB mi ha ricordato una sensazione che conosco bene: il risentimento che può avere un uomo verso una donna con più soldi. Lo si può rivestire di lotta politica (ah, l’intersezionalità), come fa il “compagno” Gigi D’Alessio contro l’altezzosa – e cornutissima – moglie del Vomero: ma continua a sembrare una rivalsa più o meno consapevole, verso donne che non garantiscono la sicurezza virile prevista dal pacchetto “anima gemella”. Ho un solo problema con Levy e altre scrittrici bianche, d’influenza anglosassone, nate col boom: spesso i loro uomini sono assurdamente più insicuri e ciechi dei loro nipoti, nonostante sembri il contrario. Una cosa però non sembra cambiare, soldi o meno: anche i più colti e sensibili sono autorizzati dalla società a scappare come rudimentali maschi alfa, quando è ormai chiaro che non è tutto arcobaleno e unicorni.

Il punto è che l’amore è un sentimento a cazzo di cane, dunque un miracolo.

E qui vengo alla risposta che ho dato al quesito iniziale: risparmiandovi il preambolo che ho scodellato sull’amore romantico come sostituto del welfare, dicevo che l’amore è un sentimento così “random” (la discussione era in inglese) che neanche i soldi lo possono suscitare con certezza.

Va da sé che poi gli ormoni devono lasciare il posto alla stabilità – almeno nelle relazioni come le intendiamo noi – e ho sperimentato sulla mia pelle che l’amore si può “provocare”: almeno in una versione a fuoco lento, sempre più vicina all’amicizia che ai film ridicoli che ci siamo sciroppati fin dall’infanzia.

Ma l’attrazione iniziale che fa nascere l’amore, che dà ai primi tempi la benzina che porterà al resto, è talmente imprevedibile che per qualcuna chissà, la propizia sul serio la vista di un figo in una macchina buona, così come per certi comici spaventati (e) guerrieri “sotto la quarta non è amore“. Ma la verità, un po’ spaventosa e tutt’altro che scontata, è che non lo sappiamo.

E qui, adesso che l’avete dimenticato, torniamo al tipo che mi lasciò per quell’increscioso problema geometrico.

Nei mesi di digiuno e insonnia che seguirono, riflettei molto su quel “non essere quadrata”, e mi chiesi cosa volesse dire. Pensai sul serio alle mie abitudini, al fatto che non avessi orari prevedibili e affidassi alla creatività gran parte delle mie prerogative. Tempo dopo vidi la fortunata che mi aveva sostituita a mia insaputa: era quadrata. Vale a dire, era una bellezza di quelle interessanti, longilinee e mai scontate, ma sul serio potevi tracciarle una diagonale tra fronte e mento e dividerle la faccia in due triangoli isosceli.

Cioè, per innamorarsi a quello serviva davvero una tipa “quadrata”, nel senso più letterale del termine.

E magari un giorno avranno dei figli, festeggeranno le nozze d’oro, ma qualsiasi cosa abbiano costruito intanto – e gli arcobaleni qui non c’entrano, è lavoro e costanza – è cominciata perché lei era “abbastanza quadrata” da accendere quella cosa a cazzo di cane che neanche i soldi riescono a comprare.

Ed è un miracolo: lo dico sul serio. Un capolavoro che va contro ogni statistica, e tentativo di ragionarci su.

Per questo va goduto fino in fondo, checché ne dicano quelli del forum che erano #teamsoldi, e che per l’età e il mestiere che facevano erano la smentita vivente della loro stessa teoria.

Continuo però ad avere un dubbio, che è il nodo centrale di un progetto di cui vi parlerò, e che mi ha portato perfino a difendere insieme a un indiano il matrimonio combinato consenziente, davanti a una catalana schifata.

Il mio quesito è: siamo sicuri che vogliamo affidare cose serie come i figli, le aspirazioni, le affinità, a un fenomeno così aleatorio? O, come dicevo qui: possibile che di tutte le forme umane di relazionarsi, abbiamo eletto a norma la più complicata?

Come direbbe lo youtuber qui sotto, in un marcato accento argentino: sono domande a cui nessuno mai darà risposta.

 

IMG_20180308_200650“La taglia 34 mi stringe la patata, la taglia 36 mi stringe la clitoride, la taglia 38 mi stringe la figa!”.

E in catalano e spagnolo, per dire, le frasi precedenti sono a rima baciata! (Tranne la prima, che è un’assonanza.)

Per me questo coro allegro fuori al Corte Inglés di Plaça Catalunya è stato il momento più alto della manifestazione di 200.000 persone (secondo la Guardia Urbana, eh!) che ha coronato lo sciopero generale in Catalogna. Mai così riuscita, nonostante i successi precedenti: pensate che i miei, in visita per l’occasione, hanno aspettato due ore, con la suspense del caso, che il loro aereo partisse!

Non sono mancate critiche: sul mansplaining ha detto già tutto Zerocalcare. Invece, alcune donne che legittimamente hanno deciso di non scioperare ci hanno deliziate con frasi tipo “tu fai sciopero e intanto ti serve il caffè una donna che lavora / una donna ripulisce i manifesti che butti a terra”. Adesso, c’è chi non ha ben chiaro cosa sia uno sciopero generale, o inzacchera inutilmente le strade (già abbiamo visto, peraltro, che le fioriere contano più delle persone). Ma vedere solo questi casi, rispetto alla stragrande maggioranza, fa troppo televisione italiana alle manifestazioni antifasciste! Insicurezza? Coda di paglia? Rammarico (a volte) per non aver avuto il coraggio di scioperare? Quando io non ho scioperato per i “prigionieri politici”, l’anno scorso, non ho né dato spiegazioni, né fracassato le gonadi al prossimo.

Vabbe’, mi consolo con un’immagine che mi è tornata in mente ieri: l’incontro con una donna che ho conosciuto in Italia, molti anni fa.

La prima cosa che ho visto di lei è stata… il suo accompagnatore, perché in realtà volevo uscirci io, e da un bel po’. Anzi, mi rimase a lungo la fantasia che, arrivando cinque minuti prima all’appuntamento, avrei cambiato il mio destino. E invece li ho trovati lì soli (era il primo incontro anche per loro), e si capiva subito che non sarebbe finita lì. Che anzi sarebbe stata una fiamma dura a spegnersi, e avrei dovuto aspettare paziente che lo facesse, perché alle nostre tre vite potesse applicarsi l’unica soluzione possibile: la mia.

Quanto tempo perdiamo, noialtre, ad aspettare.

Ovvio che la mia soluzione non si è affatto realizzata, ma almeno sono sopravvissuta all’amore romantico.

Lo ha fatto anche questa donna, che ora ha la sua vita, e dei successi degni di lei.

E io?

Come al solito, io speriamo che me la cavo.

(Canzone gettonatissima fuori al Corte Inglés.)

https://m.youtube.com/watch?v=sOu3Dy5A4ME

 

Risultati immagini per marriage life funny   Conosciamoci al contrario, dico io. Tra innamorati, intendo.

Conosciamoci quando non stiamo dando “il meglio di noi” e lo sappiamo, quando abbiamo abbassato la guardia perché pensiamo di stare a casa nostra, liberi di dividerci le doppie punte davanti a Netflix e a quella tazza di surrogato del caffè che in Italia ci costerebbe l’esilio (ma abbiamo già provveduto da noi).

Mettiamoci fissi nella stessa casa, con calosce pelusciose ai piedi e occhi pesti, col bagno in disordine e tante, tante cose da dire su dove l’altro riponga le tovaglie per i pasti quotidiani (sempre troppo vicine a quelle delle occasioni speciali).

Insomma, scopriamoci nelle situazioni più quotidiane, e non quando siamo belli e impomatati, e pronti per uscire insieme un sabato sera, col solito rituale del paga lui, la prima sera al massimo un bacio, vediamo chi chiama per primo.

Che ve ne pare, della mia idea?

Lo so, penserete che sarebbe un disastro.

In realtà, più che altro, non è fattibile: prima di metterci una persona “estranea” in casa, la dobbiamo, appunto, conoscere!

Ma se l’amore dev’essere basato su un’idealizzazione dell’altro, sul corteggiamento più stereotipato e la visita obbligatoria dall’estetista, preferisco i calzini bianchi sul pigiama. Certa che tra quelli e la tutina da casa firmata Calvin Klein ci siano tante, bellissime vie di mezzo.

Si dice anche che gli amanti trasformati in partner fissi siano un disastro per questo, perché ci piacevano proprio per la scappatoia alla routine che ci offrissero.

Quando diventano essi stessi routine, che ce ne facciamo?

Boh, magari proviamo a tollerarli in questo loro aspetto “pantofolaio” e vediamo se ci piacciono anche così.

L’amore romantico uccide, dicono da queste parti. Nella maggior parte dei casi, più che altro, delude.

Io guarderei con sospetto a tutto quello che somigli a un protocollo con ruoli ben distribuiti, e che suonino come un prendere o lasciare.

Ecco, quella roba lì è più pericolosa della verdurina tra i denti.

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta  A proposito delle nostre insanabili divergenze, il mio ex pakistano mi regalò una grande perla nel suo spagnolo creativo: “No es problemo. Problemo es niño sin pierna”. I veri problemi, dunque, sono altri: un bambino senza una gamba, per esempio. Perché si sa, l’amore vince su tutto. Sulle origini, la lingua parlata, il ceto sociale. Su tutto.

Tranne che sul frigorifero.

Aprendo il mio tre mesi dopo la sua massima filosofica, il signor “no problemo” sbraitava: “Cerveza! Jamón!”. Sì, gli risposi. Ho della birra e del prosciutto. E saranno lì finché non deciderò io. D’altronde gli avevo garantito che alla circoncisione del figlio che voleva da me sarebbe stata invitata anche la polizia: mammà, come massima imposizione di fede, gli avrebbe tutt’al più messo addosso la tutina del Napoli. Non è un problemo, vero?

Sei anni dopo, il mio ragazzo è andato alla manifestazione indipendentista dell’11 settembre  (un braccio separato da quella principale), e io sono rimasta a casa a sferruzzare. Poi ho fatto cyclette. Poi ho letto Tolstoj. Dall’ipad (qualche problemo?). È che lui mi ha fregato: dall’Italia è arrivato solo anarchico, poi è diventato anche “indepe”. Forte delle lezioni ricevute con l’ex di cui sopra, avevo evitato a priori ragazzi pur interessanti con una certa fede politica, perché sapevo che prima o poi le farfalle nello stomaco si sarebbero bruciate alla luce della llibertat.

Quando non condividi una parte così importante della vita del tuo compagno, ci vuole una bella dose di rispetto e sicurezza di sé per andare avanti.

Nel caso mio e dell’indepe, il primo c’è tutto: capisco perfettamente le buone intenzioni di chi, di fronte a una monarchia governata dal PP, aspira a un esperimento politico che porti la giustizia almeno nella propria terra d’origine, o d’adozione. La seconda, purtroppo, mi suggerisce inevitabilmente che questa nuova entità politica avrà poco da invidiare all’altra, quanto a ingiustizie. Tanto vale lavorare con quello che si ha.

Ma so che c’è gente che ha lasciato l’Italia in nome di un amore romantico che vincesse tutto, e adesso si trova in difficoltà davanti a questo e altri scogli. È che non ci siamo nati, con certe fedi, difficile farcele venire. C’è chi si converte per reale convinzione, chi lo fa per quieto vivere, per integrarsi. Spero sempre che i primi superino i secondi.

Una cosa dovremmo invece superare tutti: questa visione romantica dell’amore che trionfa. Quando ci pensiamo, perdiamo sempre di vista le infinite lotte, o meglio le fatiche quotidiane, dietro a questo trionfo. Che spesso rischia di diventare una vittoria di Pirro: un sacrificare le proprie idee all’inerzia dei giorni insieme. O un convincersi di quello che fa più comodo credere per non sentirsi più stranieri, esclusi, messi da parte.

Il mio lavoro a maglia vuole essere una gonna. Di solito le faccio a uncinetto, ai ferri è una nuova sfida.

Lo so, ci sono sfide più esaltanti, nella vita.

Ma le più importanti sono quelle che ci interessano davvero.

 

 

Risultati immagini per diddle invito Circola il post di una moglie arrabbiata perché suo marito sia stato invitato a una festa senza di lei.

Ai tempi della mia adolescenza, nelle feste tra amici si usava molto il “+1”: se invitavi qualcuno a una festa, dovevi includere anche la sua “dolce metà”. O tutto il pacchetto o niente. Erano una cosa sola. Sopra la busta dell’invito campeggiavano questi due segni aritmetici che, in qualche occasione, diventavano te.

“Questa saresti tu” mi spiegò infatti il mio primo ragazzo, mostrandomeli in occasione della prima festa insieme.

Non vi dico, coi diciottesimi al liceo, il casino per organizzare i regali. In classe mia si era stabilito che i +1 non sborsassero nessuna quota (davano la loro cinquemila lire all’amato bene, che pensava a sganciare i diecimila delle grandi occasioni). Magari, però, se t’invitava qualcuno di un’altra classe, scoprivi che per quei fighetti dalle mani bucate dovevate pagare entrambi…

Immaginatevi cosa succedeva per gli inviti in pizzeria, considerando che noi terroni siamo soliti offrire a tutta la comitiva!

Una volta, però, niente +1. Me lo ricordo ancora. Era proprio un compleanno in pizzeria, di uno che, come si suol dire, era più amico mio che del mio tipo. Che ci rimase molto male. Per lui, andare ovunque fossi io era un diritto, per il semplice fatto che lui senza di me non volesse andare da nessuna parte.

“Io senza tuo padre non volevo uscire proprio” ammetteva anche mia madre, non giovando molto alla causa.

Insomma, ero la strega che a 16 anni, 17, 18, pretendeva di fare cose da sola.

Aveva ragione, il mio ragazzo, sull’invito in pizzeria? No. Il +1 è cortesia, è consuetudine, mai obbligo. A non rispettarlo si mancava forse di delicatezza, ma si aveva tutto il diritto di non voler pagare due pizze, invece di una sola.

In fondo era malato il sistema alla base di queste questioni d’etichetta: considerarti una sola carne con la persona che ti accompagnava in quel momento.

Quando infatti, intorno ai 20, rinunciai a sta storia del “fidanzato” ufficiale, misi in crisi la mia comitiva: come dovevano considerare eventuali “amici” a cui mi accompagnassi? Nel dubbio, fecero quello che avevano sempre fatto: considerarmi un tutt’uno con loro. Invitarmi insieme a loro. E i ragazzi che mi piacevano mi stavano alla larga, non solo per indifferenza alle mie (in)discutibili grazie. Credo fosse apparso anche un +1, su qualche invito.

Perché vi racconto tutto questo pippone? Perché le regole di umana convivenza sono così complicate che forse, per stabilire chi faccia torto a chi, servono più fattori.

Succede in tutto: in amore come al volante (concedi la precedenza a un’auto che venga da destra, ma in controsenso?), passando per gli affitti a Barcellona (puoi rivendicare i cinque giorni di tempo previsti per pagare, se sei in subaffitto?).

Quando il sistema di fondo si basa su premesse sbagliate (possesso, controllo, arroganza, ingordigia… paura, insomma) stai entrando in un campo minato in cui “fare la cosa giusta” non è così semplice.

Forse uno dei fattori da considerare, in questo guazzabuglio, è l’onestà. Facciamo quello che ci pare, ma mettendolo in chiaro fin dall’inizio. E andiamo pure da soli ai compleanni, anche se il nostro appiccicoso partner non lo farebbe.

Lo so, non sempre capiranno. Avranno grandi difficoltà.

Ma non volevamo fare la rivoluzione?

No, volevamo solo “trovare pace”.

Embe’, per quella certe battaglie ci vogliono.

Risultati immagini per vignette ciniche sull'amore No, ragazzi, grazie della fiducia! Mi spiace che adesso, nel seguito a questo post, pensiate davvero che scriva qualcosa di ragionevole e sensato. Io mi limiterei a riprendere il discorso sull’amore in crisi, sui motivi facilmente confessabili (un trasferimento, un cambiamento di vita) e su quello più difficile da ammettere (non siamo più presi come all’inizio). La soluzione più facile? Si diceva, dare per buono il motivo confessabile, colpevolizzare chi dei due lo abbia generato e filare via alla ricerca del vero ammmore, il cui ideale immacolato, con questo escamotage, rimane intatto.

La mia soluzione forse vi deluderà, ma è allo stesso tempo la più semplice e la più difficile: affrontare la parte inconfessabile! Sì, ammettere che anche il più “indistruttibile” degli amori si possa distruggere col tempo.

Sento di aver vinto in una sola frase diversi premi G. A. C., quindi lasciatemi specificare: bisogna valutare in tutta onestà se il nostro amore non giustifica più gli sforzi per coltivarlo. Scusate il linguaggio materialista, ma credo che quasi tutti coloro che siano andati oltre i tre mesi di adorazione reciproca (e in case separate) sappiano che tali sforzi sono tanti. Solo dopo questo lavoro di sincerità potremo capire se il problema confessabile non sia, in realtà, un alibi.

Appurato che non lo sia, che l’altra persona ci ami ma voglia davvero trasferirsi, lasciare tutto per rinchiudersi in monastero in Nepal, farsi asportare i genitali piuttosto che figliare, allora sì che si tratta di decidere.

Non dico per forza scegliere, come si sceglie in un aut aut, tipo “o resti/ci riproduciamo/torni ateo o ci lasciamo”, ma almeno decidere. Avere il coraggio di dirci:

  1. “Tu vorresti affrontare un rapporto a distanza, o è meglio lasciarci?”. (“Sì/No/Forse”).
  2. “Piuttosto che avere figli mi castro. Ti va bene o preferisci cercare qualcuno che ne voglia?”. (“Sì/No/Forse”).
  3. Nam myōhō renge kyō” (e qui si potrebbe rispondere con “Afammocc’ “, noto mantra napoletano).

Decidere! Dio mio, che brutta parola.

Non è più facile dirci che, se i suoi progetti sono cambiati nel tempo, vuol dire che non ci amava abbastanza da continuare quelli iniziati con noi? In altre parole, non è meglio perdere un amore, piuttosto che perdere l‘amore?

Peccato che non sia possibile perdere qualcosa che, così come ce l’immaginiamo, non è mai esistito.

Non fraintendetemi: esiste l’amore.

Ma l’amore eterno che si alimenta da solo e non conosce crisi, soprattutto quello che sopravvive senza problemi alla nostra paura di decidere, mi sa che non è mai esistito.

Se esiste, si nasconde così bene che non vale la pena cercarlo. Perché lui non cerca noi.

E come avrebbe detto nostra nonna: “Chi ti vuole, ti cerca”.