Archivi per la categoria: e comunque…

Una volta ho iniziato un’amicizia con una doppia bugia.

Ho fatto credere che sarei rimasta. E che per me era amicizia.

Altre volte ho intrecciato legami con gente che credeva in qualcosa (una divinità, o un’idea) in cui non credevo io. Non fatelo mai.

In qualche caso il “qualcosa” è sopraggiunto a legame già solido. Lì è dura sul serio.

Nel mio nuovo romanzo, Aurora deve affrontare un legame mai iniziato. Rimandato a mai più per via di sciocchezzuole come religione, matrimoni combinati, e obiettivi di vita che definire opposti è un eufemismo.

È successo anche a me, ma al contrario. L’amicizia archiviata come un simpatico ricordo si è ripresentata decenni dopo, con interrogativi da niente: ho scelto bene nella mia vita, ho sbagliato tutto? Oppure mi assesto sul metà e metà?

Legami storti. Amori, amicizie nati per sbaglio o proprio perché in quel momento erano necessari, prima che un viaggio, un lavoro, il matrimonio mai auspicato, li rendessero un aneddoto. O un punto interrogativo.

Un fiore spelacchiato che non può crescere più, ma non vuol saperne di avvizzire.

Scrivo questo perché a volte passo la vita a raddrizzare ciò che una me più giovane e scemotta mi ha lasciato storto, e a quel punto non so quale di noi due sia più scema: io che non lascio andare, o lei che ci credeva.

Entrambe non capiamo che nel nostro giardino storto, o magari nell’unica pianta da balcone risparmiata dai gatti, c’è spazio un po’ per tutto.

Pure per le erbacce.

E a volte, quando vogliono loro, scopri che tanto erbacce non erano.

Se no, pazienza. Avete visto che vento, tira?

Porterà altri semi.

I miei amici sì.

Se lo possono permettere. Nella precarietà dei licenziamenti di massa e dei lavori cancellati dall’AI, non possono concedersi le certezze dei genitori, ma i sogni sì.

Dopo i 30 sono gli unici ad avere ancora un ideale di donna a cui paragonano quelle, reali, che incrociano sulle app o nei loro viaggi zaino in spalla, in un mondo reso piccolo dalle compagnie low cost.

E rimandano la paternità a quando avranno il primo stipendio fisso: decisamente, ci sarà da aspettare.

Ho pensato a tutto questo mentre descrivevo il personaggio di Aqil, in Quando torni, avvisa.

Aqil esiste, come può esistere il personaggio di un romanzo: l’uomo che me l’ha ispirato ha profili social, e ci posta foto, a cui metto mi piace. Famiglia sorridente, posti visitati, tanto cibo di tutto il mondo, fotografato nelle pause dal lavoro.

Cosa c’è sotto, forse, lo so soltanto io.

Aqil non si è mai potuto permettere di essere romantico, o di “capire” che volesse fare nella vita. Da piccolo si è visto risolvere a tavolino il problema di scegliere la donna giusta: una lontana parente, da sposare a studi finiti.

Ma neanche gli studi, condotti a Londra, gli hanno dato occasione di esplorare gli stati di ebbrezza che si concedevano i suoi coinquilini: papà dal Kashmir mandava i soldi che bastavano a laurearsi e trovare un buon lavoro, per mantenere la famiglia. Tutta. Con una pressione del genere addosso, Aqil non faceva che studiare.

Le tentazioni? C’erano, ma lui non sempre le riconosceva. Nella sua vita precedente non c’era spazio per l’esplicito. Tutto era nascosto, o pianificato per tempo.

In tempi recenti l’ho rivisto: meno devoto, con più rimpianti e voglia di recuperare un tempo perduto che, però, gli suscita ancora un misto di curiosità e repulsione.

Forse gli succede ciò che affronta chiunque quando si guarda indietro e ripensa alle strade che non ha preso, alle decisioni che ha rimandato fino a negarsele per sempre.

Perché Aqil è stato felice, tanto, con la vita che gli è toccata in sorte. Ha amato la moglie scelta da altri più di quanto io abbia visto amare donne conosciute in una notte barcellonese e seguite liberamente, per un “sempre” che poi è durato poco.

Invidio Aqil? Per niente. Il lusso delle scelte mi è molto caro, a costo di sbagliarle tutte.

Ma dopo anni a confronto con tante culture,  capisco perché la vita  può scivolarti addosso più leggera, se sai fin dall’inizio cosa farne.

E un amore di qualsiasi tipo, ma che sia costante, e forgiato per durare, non mi sembra un destino così sacrificato.

Ad Aqil sì, però. 

Almeno ogni tanto.

Poi prende un altro volo, scatta un’altra foto al ramen in un localino di Osaka, e pensa quasi che va bene così.

Quando torni, avvisa è disponibile su Amazon a questo link. Fatemi sapere cosa ne pensate!

È da un po’ che scrivo solo romanzi.

Di giorno non faccio altro, più che un lavoro è un’ossessione.

Ho bisogno di riordinare dei fatti al limite del surrealismo che sono accaduti a me, a gente che conosco, e a qualcuno di cui ho letto.

Nessun dramma irreparabile, solo le contraddizioni di una città in cui avere una casa diventa un privilegio, e occuparla… una barzelletta.

Solo oggi, 6 novembre, il mio libro è gratis in formato ebook. Ecco il link.

Non fingerò di aver scritto un horror classico, il vero orrore è il precariato. E il barbiere assassino, a Barcellona, era una leggenda prima di Sweeney Todd.

Forse il vero mostro non è lui.

È da un po’ che scrivo solo romanzi.

Di giorno non faccio altro, più che un lavoro è un’ossessione.

Ho bisogno di riordinare dei fatti al limite del surrealismo che sono accaduti a me, a gente che conosco, e a qualcuno di cui ho letto.

Nessun dramma irreparabile, solo le contraddizioni di una città in cui avere una casa diventa un privilegio, e occuparla… una barzelletta.

Solo oggi, 6 novembre, il mio libro è gratis in formato ebook. Ecco il link.

Non fingerò di aver scritto un horror classico, il vero orrore è il precariato. E il barbiere assassino, a Barcellona, era una leggenda prima di Sweeney Todd.

Forse il vero mostro non è lui.

A me la serie sul Gattopardo è piaciuta, ma niente paura, non volevo parlarvi di questo.

È che a un certo punto Tancredi, che è infelice con Angelica ma almeno ha una moglie bella e ricca, dice a Concetta che “È andato tutto come doveva andare”.

A me ‘sta storia ha sempre fatto imbestialire.

Vi cito un’altra pietra miliare: Dirty Dancing. Non fate quella faccia, Baby fa al padre un discorso esemplare, una roba tipo: “Volevi che cambiassi il mondo, ma ciò che intendevi era che io sposassi uno di Harvard e fossi come te”.

Oppure in Dogma, la tizia che si sente dire “Dio ha un piano” grida: “Che c’era di sbagliato nel mio, di piano?”.

Amen, sorella.

Perchè quando io ho voluto essere ragionevole e cercarmi un lavoro, invece di scrivere, la crisi economica ha spazzato sia il lavoro che gli anni sottratti alla scrittura.

Da quando sono folle e faccio scelte che nessuno capisce, scrivo una bellezza e sono contenta.

E poi c’era il tipo catalano multiculturale, e simpatico, gentile frontman di un’associazione che promuoveva scambi culturali e commerciali (più commerciali, sospetto) tra Spagna e Asia. Quando conobbe il mio ex del Raval, e il riferimento da solo dovrebbe farvi capire che si trattava di un pakistano, mi manifestò il suo sgomento, senza spiegarmene il perché. Non riusciva neanche a credere che non capissi, ripeteva: ma tu fai studi di genere! 15 anni dopo, provo a tradurre: tu sei un’emancipata donna europea, che ci fai con un pitocco ignorante che probabilmente ti vuole in casa a figliare? (Ehm, no, era fiero del mio dottorato). Ed era stato questo tipo ad avvicinarci, in cerca di coppie miste. Le voleva, suppongo, miste ma non troppo. Con lui che di pakistano avesse solo la pelle, capi’? Uno che intanto si era “sgrossato”.

Non voglio essere assurda, negare che sia stata meglio con uomini più affini a me per gusti e aspirazioni (le origini c’entrano poco). Ma con loro è finita uguale, e senza i figli che quel tipo così diverso da me, invece, voleva.

Lo so, il mondo va così. Diciamo tanto che gli opposti si attraggono, ma gli studi ci dicono che finiamo per fare ciò che ci si aspetta da noi, con la gente a noi più vicina. E bene così.

Ma davvero le cose funzionano di più, se vanno “come dovevano andare”?

Non nego che abbiano più senso. Solo che forse non è tutto il senso che crediamo.

Forse non è abbastanza da giocarci la felicità.

Isabel Allende mi parla in inglese.

Lo fa da una piattaforma di corsi a cui mi sono abbonata l’anno scorso, perché avevano uno sconto notevole, ma poi non ho cancellato l’iscrizione perché sono un genio. E comunque volevo seguire le ultime lezioni di Allende.

Ci sono corsi di economia, bricolage, cucina. Tutti in inglese. La cucina non m’interessa perché non è quasi mai vegana, ma vabbè. Perché ti dico tutto questo?

Perché quando vivevo in Italia mi sfottevano. Per mille motivi: aspettavo l’autobus in piedi sul marciapiede, col libro in mano, mangiavo cinese con le bacchette “per farmi notare”, diceva uno, ma come fate a mangiare le zuppe con la forchetta? E mi vestivo sempre male, non importava come. Calzerotti? “Certe ragazze vengono all’università solo a fare la passerella” disse ad alta voce una tizia che mi passava accanto, credendosi chissà che moralizzatrice. Ero lì pure per prendermi la seconda laurea, ma vabbè.

Elegante? La volta che mi acchittavo, gli spostamenti diventavano proibitivi perché a sentire i miei (che non escono mai) mi avrebbero rapinata a destra e a manca. Ma perché, prima non correvo pericolo? “Prima ti vestivi come una zingara!”. Che come commento è razzista di brutto, ma anche le zingare in strada mi chiamavano zingara, per sfottere le mie gonnellone psichedeliche.

Ah, e quando lessi un libro di testo in lingua originale, la più simpatica del corso di dottorato (che sarà scaduta da un po’, ormai) fece un gesto come a dire: “Sei fuori?”. Dopo la discussione della tesi mi fecero i complimenti per lo spagnolo e lei sbottò: “Sì, ma ha dimenticato l’italiano”. “Io almeno lo conoscevo” suggerì mia zia dalle retrovie. Ma era troppo tardi.

Qui a Barcellona mi sfottono per i motivi opposti, eh: per gli standard locali vesto tipo Soraya di Persia! E all’inizio non guardavo serie, solo perché non sapevo neanche cosa fossero, e mi venne detto: “Sono cose troppo terra terra, per te?”.

Paese che vai, sfottò che trovi. Ma io sono come te. Anche tu avrai chissà quante stranezze, almeno agli occhi altrui, e avrai desiderato come me di nasconderle.

Sai che ti dico? Evviva chi non lo fa perché smette di illudersi: ci sfotterebbero uguale. E che culo se trovi un posto in cui, magari per i motivi sbagliati, perché la gente ha altri caxxi o ha visto di tutto, o entrambe le cose, ma puoi uscire così colorata da polverizzare gli occhiali da sole, o vestita solo di un cerotto sul pube, senza che ti cachino (sì, italiane, ci hanno ingannate, esistiamo pure se non ci trattano come pornazzi in 3D).

Io quel posto l’ho trovato e ho avuto il privilegio di restarci pure. Per chi non gode della mia fortuna schifosa, si tratta di fare la solita operazione che sappiamo, e che non facciamo mai: trovarcelo in testa, quel posto.

In testa. Vedrete che è più spazioso di un marciapiede di provincia su cui aspettate l’autobus, e intanto, che orrore!, vi viene lo sfizio di aprire un libro.

Lo so perché lo facevo anch’io.

Trovavo banale chiunque mi accogliesse nella sua vita, o nella sua giornata, con un sorriso più o meno tranquillo e un po’ di fiducia. Per la gente così non ero una minaccia, e se lo ero, ero scongiurabile.

Io non sapevo scongiurare le minacce, specie se avevano sembianze umane: credevo che me le attirassi.

Non è vero. Le persone come quella che ero, come quella che un po’ sarò sempre (ma ho imparato a mantenerla tranquilla), vanno in giro per il mondo senza capire che il mondo non deve girare come dicono loro. Che se scrocchi di tutto, dai passaggi alle energie altrui, qualcuno potrebbe prendersela senza per forza essere egoista.

È un concetto che magari afferri al volo, quando è a te che si accollano. Ma il tuo caso è diverso, tu non puoi dare una mano! La vita ti ha trattato male, e spesso è vero, e allora credi che tutto ti sia dovuto, e questo è falso. Te ne accorgi presto, e te lo nascondi all’istante.

Sono le altre persone a essere banali, con la loro pretesa di fidarsi di te: magari si aspettano che se oggi le tratti bene lo farai anche domani, altrimenti chiederai almeno scusa.

E se hai il privilegio, la fortuna di diventare una di loro, una che ti apre la porta e poi decide se puoi restare, con reciproca soddisfazione, se questo succede allora sì che ti troveranno banale. Caxxo ridi, la mamma ha fatto gli gnocchi? Caxxo respiri, scherzi, vivi?

La vita è sofferenza, e chi si permette di dissentire può pure andare fuori!

Ok, tesoro. Ti assicuro che uscendo chiuderò la porta.

Ma dove trovate un altro manoscritto che viene letto oralmente aggratisss ogni giorno, e che *non* piace a un noto social?

Anzi, Fb lo trova “ampiamente sgradito”, censurando perfino l’immagine della tizia stramba che appare nel video… Sarà il livello di zerbinaggine narrato a raggiungere livelli di guardia!

Fossi in voi mi fionderei a riascoltare tutto dall’inizio

Ci ascoltiamo in giro! 😉

(Sempre ad alto sgradimento…)

In questo video provo un effetto un po’ cafone di TikTok: non so se è per accentuare la difficoltà del momento o per sdrammatizzarla. Una risata è sempre stata la mia arma di difesa più potente.

Basta smettere di credere che dobbiamo difenderci da tutto.

Dal dolore, per esempio, non sempre bisogna farlo. Spero che il video renda bene l’idea.

Intanto giro i prossimi, senza smettere di squagliarmi per il sudore!

Ho le prove.

Il video di oggi parla della volta in cui ho scoperto un segreto sul dolore.

Un segreto di Pulcinella, magari, ma io non c’ero ancora arrivata! Infatti me l’ha dovuto rivelare una vocina interiore che neanche sapevo di avere…

https://vm.tiktok.com/ZGeTMDTj3/

Featuring: una spettatrice curiosa che si è affacciata sul set.

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora