
I miei amici sì.
Se lo possono permettere. Nella precarietà dei licenziamenti di massa e dei lavori cancellati dall’AI, non possono concedersi le certezze dei genitori, ma i sogni sì.
Dopo i 30 sono gli unici ad avere ancora un ideale di donna a cui paragonano quelle, reali, che incrociano sulle app o nei loro viaggi zaino in spalla, in un mondo reso piccolo dalle compagnie low cost.
E rimandano la paternità a quando avranno il primo stipendio fisso: decisamente, ci sarà da aspettare.
Ho pensato a tutto questo mentre descrivevo il personaggio di Aqil, in Quando torni, avvisa.
Aqil esiste, come può esistere il personaggio di un romanzo: l’uomo che me l’ha ispirato ha profili social, e ci posta foto, a cui metto mi piace. Famiglia sorridente, posti visitati, tanto cibo di tutto il mondo, fotografato nelle pause dal lavoro.
Cosa c’è sotto, forse, lo so soltanto io.
Aqil non si è mai potuto permettere di essere romantico, o di “capire” che volesse fare nella vita. Da piccolo si è visto risolvere a tavolino il problema di scegliere la donna giusta: una lontana parente, da sposare a studi finiti.
Ma neanche gli studi, condotti a Londra, gli hanno dato occasione di esplorare gli stati di ebbrezza che si concedevano i suoi coinquilini: papà dal Kashmir mandava i soldi che bastavano a laurearsi e trovare un buon lavoro, per mantenere la famiglia. Tutta. Con una pressione del genere addosso, Aqil non faceva che studiare.
Le tentazioni? C’erano, ma lui non sempre le riconosceva. Nella sua vita precedente non c’era spazio per l’esplicito. Tutto era nascosto, o pianificato per tempo.
In tempi recenti l’ho rivisto: meno devoto, con più rimpianti e voglia di recuperare un tempo perduto che, però, gli suscita ancora un misto di curiosità e repulsione.
Forse gli succede ciò che affronta chiunque quando si guarda indietro e ripensa alle strade che non ha preso, alle decisioni che ha rimandato fino a negarsele per sempre.
Perché Aqil è stato felice, tanto, con la vita che gli è toccata in sorte. Ha amato la moglie scelta da altri più di quanto io abbia visto amare donne conosciute in una notte barcellonese e seguite liberamente, per un “sempre” che poi è durato poco.
Invidio Aqil? Per niente. Il lusso delle scelte mi è molto caro, a costo di sbagliarle tutte.
Ma dopo anni a confronto con tante culture, capisco perché la vita può scivolarti addosso più leggera, se sai fin dall’inizio cosa farne.
E un amore di qualsiasi tipo, ma che sia costante, e forgiato per durare, non mi sembra un destino così sacrificato.
Ad Aqil sì, però.
Almeno ogni tanto.
Poi prende un altro volo, scatta un’altra foto al ramen in un localino di Osaka, e pensa quasi che va bene così.
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