
Stretta è la soglia, larga è la via…
Che volete da me, non riesco a essere nostalgica.
Magari avrei voluto che i miei vent’anni fossero stati sereni come i trenta, questo sì. Ma sto dormendo da due giorni di fronte alla mia antica facoltà, e tutto quello che riesco a pensare è: “Cosa posso prendermi, oggi, da Napoli?”.
Va detto che la città è generosa, a parte gli “smoothies” a 3.50 per un bicchiere pieno a metà.
Per esempio, mi è piaciuta l’offerta del sindaco di accogliere la nave Aquarius. L’ha appena fatto anche la sindaca di Barcellona, sto a posto.
Nella mia facoltà ho trovato questa scritta che percorre le pareti di quella che per me, una volta, era solo l’anticamera della biblioteca: “Ognuno di noi deve dare qualcosa, in modo che alcuni di noi non siano costretti a dare tutto”.
La vita, tipo. Per garantire il consenso a qualche politico senza scrupoli, e regalare una sensazione illusoria di sicurezza a chi pensa che i problemi arrivino dal mare.
Peccato che invece vengono da stanze chiuse, spesso molto vicine, in cui chi ha molti soldi decide come fare per mantenerli, costi quel che costi.
E chi non ne ha abbastanza da “stare quieto” cerca capri espiatori alla sua portata. Storia vecchia. Ho letto su Facebook:
“Sono calabrese, ero disoccupato e ho provato a raccogliere arance, ma uno mi ha detto che lavoro, in quel frutteto, non ce n’era. Era tunisino”.
Una volta spiegai a un collega catalano che i ricercatori italiani in Catalogna erano tanti perché, nelle nostre università, non c’era lavoro. “Be’, neanche qui ce n’è!” aveva sbottato lui, non troppo scherzoso. Temeva gli rubassi il posto. Sapete com’è finita? Quel posto non l’ha avuto nessuno dei due. È stato eliminato per mancanza di fondi.
“Il sindaco di Napoli si sta solo facendo pubblicità, marciando su un fatto di cronaca”.
Un amico mi dice che è dal secondo mandato che il sindaco di Napoli sembra fare pochi gesti plateali, e molti cambiamenti di facciata. Non so se sia vero, spero di no. So che, pubblicità o meno, un bambino nato in Catalogna ora è anche napoletano, e che intanto l’offerta di accogliere la nave c’è.
Certo, vorrei che tutto ciò fosse “normale amministrazione”.
Alcuni di noi lo vorrebbero.



Immagino che anche le vostre vite non scherzino, ma la mia è piena di aneddoti.
In realtà non me lo dicono più, che parlo troppo. Non so se si sono rassegnati o se sono migliorata io, ammesso che parlare meno significhi migliorare. Per me il limite è quando le parole eccedono il contenuto, cioè quando hai già detto quello che dovevi, e vuoi solo continuare a sentire la tua voce.
Quando in tasca ho più biglietti da visita di agenti immobiliari che biglietti della metro, lo sto rifacendo: cerco la svolta. Tipo una casa da abitare e affittare per metà, in una città che costruisce le case o per viverci o per farci i soldi. Di solito finisco per rinunciare e prendermi un gelato, in attesa di tempi migliori.
Certi commenti di veterani a Barcellona, di quelli che hanno studiato alla “scuola della strada“, mi fanno ripensare al Fertility Day: a quei tempi, in una delle tante baruffe su Facebook, un utente anziano intonava un inaspettato inno stevejobsiano all’intraprendenza personale, chiedendomi “perché non me la creo io, la possibilità di avere figli”. Che per lui chiudeva tutto l’argomento. Smettete di lamentarvi, giovani perdigiorno, rimboccatevi le maniche (il più inflazionato dei cliché) e createvi le possibilità che volete.

